Dopo 18 anni di guerra Biden conferma la fine della missione militare in Iraq
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Dopo 18 anni di guerra Biden conferma la fine della missione militare in Iraq

Il presidente ha ribadito l'accordo con il premier iracheno Mustafa al-Kadhimi per la conclusione ufficiale della missione di guerra statunitense nel paese mediorientale.

Guerra in Iraq
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27 Luglio 2021 - 10.33


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Una guerra che ha solo destabilizzato un’area, fatto crescere il terrorismo.

Adesso dopo  diciotto anni dopo l’invasione dell’Iraq decisa dall’amministrazione Bush, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha confermato quanto annunciato e sigla l’accordo con il premier iracheno Mustafa al-Kadhimi per la conclusione ufficiale della missione di guerra statunitense nel paese mediorientale.

L’annuncio è avvenuto nello Studio Ovale della Casa Bianca dove Biden ha ricevuto al-Kadhimi per il primo incontro faccia a afaccia fra i due leader, come parte di un dialogo strategico sul futuro dell’Iraq e sulla collaborazione con Washington. “Il nostro ruolo in Iraq” ha detto Biden “sarà di disponibilità, per continuare ad addestrare, ad assistere, ad aiutare e a gestire la minaccia dell’ISIS quando si presenta, ma entro la fine dell’anno non saremo presenti come missione di combattimento”.

Così il presidente democratico, che aveva già annunciato il ritiro delle ultime forze statunitensi dall’Afghanistan entro la fine di agosto, mette fine nei primi mesi del suo mandato alle missioni di guerra avviate da George W. Bush.
“Oggi ho incontrato il primo ministro dell’Iraq Mustafa al-Kadhimi nello Studio Ovale” ha scritto Joe Biden su Twitter con una foto dei due leader seduti. “Noi riaffermiamo il nostro impegno ad espandere la cooperazione attraverso nuove iniziative concentrare sull’istruzione, la salute, e l’ambiente, oltre al sostegno per la democrazia e il rafforzamento della giustizia in Iraq”.

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Attualmente ci sono ancora 2500 soldati statunitensi su suolo iracheno, con la missione di contrastare quel che resta del Califfato nel paese. Il futuro ruolo statunitense dovrebbe limitarsi all’addestramento delle forze di sicurezza e dell’esercito iracheno; un cambiamento più di facciata che di sostanza, perché in concreto è quello a cui già si dedicano per lo più i soldati presenti in iraq.

La coalizione guidata dagli Stati Uniti che invase l’Iraq nel marzo del 2003 per rovesciare il dittatore Saddam Hussein, sostenendo che aveva in suo possesso armi chimiche di distruzione di massa (mai trovate) è rimasta sul terreno anche per combattere l’emergenza dell’Isis in Iraq come nella vicina Siria sconvolta dalla guerra civile.

“Nessuno dirà ‘missione compiuta’, qui si tratta di assicurare la sconfitta permanente dell’Isis” affermano fonti della Casa Bianca, in chiaro riferimento al giorno del maggio 2003 in cui George W. Bush si presentò sulla portaerei Abraham Lincoln in tenuta mimetica per tenere un discorso trionfale sotto lo striscione ‘Mission accomplished’. Gli Stati Uniti dichiararono formalmente conclusa la “guerra” in Iraq (ma non la missione di guerra) nel dicembre 2011 sotto la presidenza Obama. Dal 2003 al 2015, gli Stati Uniti avrebbero speso qualcosa come 819 miliardi di dollari per la guerra irachena.

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Impossibile invece calcolare il costo per la popolazione, anche solo in termini di vite umane; l’anno più letale fu il 2006 con un totale di 29.517 vittime civili certificate. Da allora il numero dei morti è lentamente sceso: 4.162 civili hanno perso la vita nel 2011; nel 2021 sono state censite 330 morti fra i civili. Le cifre sono del sito Statista.com, che però avverte che la natura della guerra in Iraq rende impossibile censire tutte le morti di civili; i numeri sono quindi probabilmente sottostimati.

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