L'Afghanistan tra fughe e tradimenti: così hanno fatto rinascere l'Emirato islamico
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L'Afghanistan tra fughe e tradimenti: così hanno fatto rinascere l'Emirato islamico

La bandiera bianca dei talebani sventola sul pennone del palazzo presidenziale di Kabul,  "consegnato" ufficialmente ieri ai ribelli dopo la fuga del presidente Ashraf Ghani. Come si è arrivati a questo?

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16 Agosto 2021 - 17.24


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La bandiera bianca dei talebani sventola sul pennone del palazzo presidenziale di Kabul, “consegnato” ufficialmente ieri ai ribelli dopo la fuga del presidente Ashraf Ghani. Secondo al Jazeera, che ha mostrato in diretta le immagini dal palazzo, tre funzionari governativi erano presenti alla “cerimonia”. Un responsabile della sicurezza dei talebani ha detto che “non c’è stato alcuno spargimento di sangue durante il passaggio di consegne” e che “una consegna pacifica delle strutture del governo è in corso in tutto il Paese”.

Il portavoce e negoziatore talebano Suhail Shaheen ha detto all’Ap che il gruppo militante sta tenendo colloqui volti a formare un “governo islamico aperto e inclusivo” in Afghanistan. 

Baradar, “serenità a tutta la nazione”

 I talebani sono pronti a proclamare l’Emirato islamico che 20 anni fa era stato abbattuto dall’intervento occidentale. In un nuovo video, il mullah Baradar Akhund promette “serenità” alla nazione e di occuparsi dei bisogni della gente. “Questa è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone”, dice nel video, citato dalla Bbc, seduto nel palazzo presidenziale circondato da miliziani armati. “Il modo in cui siamo arrivati era inatteso e abbiamo raggiunto questa posizione che non ci aspettavamo”, dice ancora Akhund. 

Ressa e spari all’aeroporto di Kabul

Le forze statunitensi hanno sparato in aria all’aeroporto di Kabul, dove migliaia di afghani hanno invaso le piste nel tentativo di fuggire dal loro Paese. Lo ha riferito un testimone alla Afp. “Ho molta paura. Sparano colpi in aria. Ho visto una ragazza che veniva schiacciata e uccisa”, ha detto il testimone all’agenzia. Un funzionario, citato dalla Bbc, ha detto: “La folla era fuori controllo. Gli spari avevano la sola funzione di calmare il caos”. Gli spari si sentono in diversi video che ritraggono la folla in preda al panico che affolla le piste dell’aeroporto di Kabul. Le truppe statunitensi hanno preso il controllo dell’aeroporto, dove, secondo le notizie diffuse, viene data priorità all’evacuazione del personale diplomatico su aerei militari, dopo il fermo dei voli commerciali. Washington ha reso noto di aver portato in salvo il personale della sua ambasciata. Poi le truppe hanno sospeso temporaneamente le evacuazioni dalla capitale per sgomberare le piste dell’aeroporto Hamid Karzai. Lo ha riferito un alto ufficiale della Difesa Usa. Almeno cinque persone sono rimaste uccise all’interno dell’aeroporto. Lo riferisce Sky News che cita testimonianze che arrivano dalla capitale afghana e riporta di immagini della zona dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai riservata al traffico aereo civile che testimoniano il caos con afghani che cercano di salire su una scaletta e persone che cadono. “Abbiamo ricevuto persone ferite da proiettili dopo gli scontri in aeroporto di ieri. Ci sono stati conflitti a fuoco perché molti cercavano di salire sugli aerei senza visti né passaporti. Anche noi abbiamo avuto notizia di vittime”. Lo dice Alberto Zanin, coordinatore medico del Centro per vittime di guerra di Emergency 

Biden parlerà presto

 Joe Biden parlerà “presto” sull’Afghanistan ed è preparato a guidare la comunità internazionale sui diritti umani in quel Paese: lo ha annunciato il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan in una intervista alla Abc.   

Intanto, l’ormai defenestrato  presidente afghano, Ashraf Ghani, ha spiegato su Facebook di aver abbandonato il Paese per evitare ai cittadini di Kabul un bagno di sangue. “Oggi, mi sono imbattuto in una scelta difficile: dover affrontare i talebani armati che volevano entrare nel palazzo o lasciare il caro paese alla cui protezione ho dedicato la mia vita a proteggere negli ultimi vent’anni”, ha scritto Ghani. Sarebbe giunto in Uzbekistan l’ex presidente afghano Ashraf Ghani. Secondo Al Jazeera sarebbe a Tashkent con la moglie e alcuni membri dello staff. Ghani ha inoltre affermato che, se avesse affrontato i talebani, “ci sarebbero stati innumerevoli connazionali uccisi”, “la città avrebbe dovuto affrontare la distruzione” e il risultato sarebbe stato “un grande disastro umano”. “I talebani ce l’hanno fatta a rimuovermi, per evitare il bagno di sangue, ho pensato che fosse meglio partire”, scrive ancora Ghani, “i talebani hanno vinto il giudizio di spada e pistole e ora sono responsabili della tutela dell’onore, della ricchezza e dell’autostima dei connazionali. Ma hanno guadagnato la legittimità nei cuori? Mai nella storia il solo potere ha dato legittimità a nessuno e mai glielo darà”. Ghani ha quindi auspicato che i talebani superino la “nuova prova storica” proteggendo “il nome e l’onore dell’Afghanistan”. E'” necessario che i talebani garantiscano tutte le persone, le nazioni, i diversi settori, le sorelle e le donne dell’Afghanistan per conquistare la legittimità e il cuore del popolo”, conclude Ghani, 

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Mosca: talebani ci promettono un Afghanistan civilizzato 

I talebani hanno promesso alla Russia che costruiranno un Afghanistan “civilizzato”, “libero dal terrorismo e dal traffico di droga”. Lo sostiene l’ambasciatore russo a Kabul Dmitry Zhirnov, citato da Interfax. La leadership russa prenderà poi “una decisione sul riconoscimento del regime del movimento talebano a seconda di quanto responsabilmente governerà il Paese”. Lo ha detto il rappresentante speciale del presidente russo per l’Afghanistan Zamir Kabulov.

I talebani hanno già messo in sicurezza il perimetro esterno dell’ambasciata russa a Kabul, ha spiegato  ancora Kabulov. “Hanno già messo sotto protezione il perimetro esterno dell’ambasciata russa a Kabul”, ha dichiarato, citato dalla Tass. “Il nostro ambasciatore è in contatto con i rappresentanti della leadership talebana. Domani, come mi ha detto proprio dieci minuti fa, incontrerà il coordinatore della leadership talebana per garantire la sicurezza, compresa la nostra ambasciata”, ha sottolineato l’inviato di Putin.  Kabulov ha anche escluso che l’ascesa dei talebani possa spiegarsi con qualsiasi sorta di accordo con gli Stati Uniti. “Credevamo che l’esercito afghano – qualunque esso sia – avrebbe mostrato resistenza per qualche tempo. Tuttavia, sembra che siamo stati troppo ottimisti sulla qualità delle truppe addestrate dagli americani e dalle forze della Nato: sono fuggiti al primo sparo”, ha sottolineato Kabulov.

 L’apertura di Pechino

Secondo la Cina, la situazione in Afghanistan “ha subito grandi cambiamenti e rispettiamo desideri e scelte del popolo afghano”. La guerra, dice la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, “dura da oltre 40 anni: fermarla e raggiungere la pace non è solo la voce unanime degli oltre 30 milioni di afghani, ma anche l’aspettativa comune di comunità internazionale”. Pechino nota che ieri i talebani “hanno affermato che la guerra è finita e che negozieranno un governo islamico aperto e inclusivo, oltre a intraprendere azioni responsabili per garantire la sicurezza di cittadini afghani e missioni straniere”.

 Atterrato volo con italiani a Roma  

Sono circa 70 le persone a bordo del Kc767 dell’Aeronautica Militare partito ieri sera da Kabul e atterrato a Fiumicino intorno alle 14:30. Si tratta del primo volo di evacuazione nell’ambito del ponte aereo messo a punto dalla Difesa dopo la rapida avanzata dei Talebani in Afghanistan. A bordo personale diplomatico e una ventina di ex collaboratori afghani del contingente italiano, come aveva annunciato il ministro Guerini. Nei prossimi giorni altri voli riporteranno in Italia i connazionali rimasti nel Paese e gli altri afghani da accogliere. All’aeroporto di Kabul un team della Difesa si sta occupando degli imbarchi. 

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Draghi: “Al lavoro con Ue, tutelare i diritti umani”

 Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ringrazia le forze armate per le operazioni che stanno permettendo di riportare in Italia i nostri concittadini di base in Afghanistan. Lo rende noto Palazzo Chigi.   

“L’impegno dell’Italia è proteggere i cittadini afghani che hanno collaborato con la nostra missione – dice Draghi – Il Presidente è in continuo contatto con il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. L’Italia è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne”. 

Il titolare della Farnesina, a quanto si apprende, ha sentito telefonicamente il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per fare il punto sugli sviluppi di quanto sta accadendo in queste ore in Afghanistan 

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce oggi per discutere della situazione in Afghanistan. I membri discuteranno dell’escalation nel Paese dopo che i talebani sono entrati nella capitale Kabul. 

 Domani riunione straordinaria ministri Ue Riunione straordinaria domani in videoconferenza dei ministri degli Esteri Ue sull’Afghanistan. Lo annuncia su Twitter l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri Josep Borrell. “In seguito agli ultimi sviluppi in Afghanistan – scrive – e dopo intensi contatti con i partner negli ultimi giorni e ore, ho deciso di convocare una riunione straordinaria in videoconferenza dei ministri degli Esteri Ue domani pomeriggio per una prima valutazione”. 

Il “Who’s who” degli “emiri” afghani

Haibatullah Akhundzada, il leader generale: il mullah è stato nominato alla guida dei talebani nel maggio 2016. La sua è stata una rapida ascesa al potere, pochi giorni dopo la morte del suo predecessore, Akhttar Mansour, ucciso da un drone americano in Pakistan. Prima della sua nomina, circolavano poche informazioni su questo erudito, massimo esperto di questioni giuridiche e religiose, meno di strategia militare. Secondo diversi analisti, il suo ruolo alla guida del movimento sarebbe stato più simbolico che operativo, ma in realtà Akhundzada è riuscito ad ottenere in tempi rapidi una promessa di lealtà da Ayman al-Zawahiri, il capo di Al Qaeda. Quest’ultimo lo ha sopranominato “l’emiro dei credenti”, consentendogli di affermare la sua credibilita’ nella galassia jihadista.  Akhundzada – figlio di un teologo, nativo di Kandahar, culla dell’etnia pashtun e dei talebani, nel Sud dell’Afghanistan – ha anche avuto successo nel difficile compito di unificare il gruppo, molto diviso da una violenta lotta per il potere dopo la morte di Mansour e la rivelazione del decesso nascosto del fondatore, il mullah Omar. Nel corso degli ultimi anni Akhundzada è riuscito a mantenere la coesione del gruppo, pur rimanendo molto discreto, limitandosi a diffondere messaggi in occasione delle principali feste islamiche.  

Abdul Ghani Baradar, il co-fondatore: nato nel 1968 nella provincia di Uruzgan (Sud), cresciuto a Kandahar, ha combattuto contro i sovietici negli anni ’80. Dopo che i russi furono cacciati nel 1992 e il Paese venne travolto dalla guerra civile, Baradar istituì una madrasa a Kandahar con il suo ex comandante e presunto cognato, Mohammad Omar, deceduto nel 2013 e la cui morte è stata nascosta per due anni. Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del Paese e alla creazione di un emirato. Baradar è considerato l’artefice della vittoria militare del 1996 così come di quella odierna. Nei cinque anni di regime talebano, fino al 2001, ha ricoperto una serie di ruoli militari e amministrativi e quando l’Emirato cade, occupa il posto di vice ministro della difesa. Nel 2001, dopo l’intervento Usa e la caduta del regime talebano, Baradar avrebbe fatto parte di un piccolo gruppo di insorti pronti alla firma di un accordo con il quale riconoscevano l’amministrazione di Kabul, ma si è trattata di un’iniziativa infruttuosa. Nel 2010, quando è stato arrestato a Karachi, in Pakistan, Baradar era allora il capo militare dei talebani. Durante il suo esilio, durato in tutto 20 anni, ha saputo mantenere la leadership del movimento. Nel 2018, è stato liberato su espressa richiesta e pressione di Washington e ha firmato gli accordi di Doha. Ascoltato e rispetto dalle diverse fazioni talebane, è stato successivamente nominato capo del loro ufficio politico, stabilito in Qatar, da dove Baradar ha portato avanti i negoziati con gli americani, che hanno portato al ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan e ai fallimentari negoziati di pace con il governo afghano. Ora è il principale candidato alla presidenza del nuovo governo ad interim afghano. Soli pochi giorni fa ha lasciato Doha per raggiungere Kabul.

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 Sirajuddin Haqqani, capo della rete Haqqani: figlio del celebre comandante della jihad antisovietica, Jalaluddin Haqqani, Sirajuddin è il numero 2 dei talebani e il leader della potente rete che porta il nome della sua famiglia. La rete Haqqani, fondata dal padre, è ritenuta terroristica da Washington, che l’ha sempre considerata una delle fazioni più pericolose per le truppe Usa e Nato durante due decenni. La rete è nota per il suo utilizzo dei kamikaze, che hanno messo a segno gli attentati tra i più devastanti perpetrati in Afghanistan negli ultimi anni. Sirajuddin Haqqani è stato accusato dell’uccisione di alcuni importanti dirigenti afghani e di aver trattenuto degli occidentali, ostaggi poi liberati dietro pagamento di un riscatto o in cambio di prigionieri. È successo, ad esempio, con il soldato americano Bowe Bergdahl, tornato libero nel 2014 in cambio di cinque detenuti afghani nel carcere di Guantanamo. Conosciuti per la loro indipendenza, la loro abilità a combattere e a realizzare fruttuosi affari, gli Haqqani sarebbero responsabili delle operazioni dei talebani nelle zone montuose dell’Est dell’Afghanistan e avrebbero una forte influenza sulle decisioni prese dai vertici del movimento. 

Il Mullah Yaqub, l’erede: il trentenne Mohammad Yaqub è il figlio del defunto mullah Mohammad Omar, a capo della potente commissione militare dei talebani che stabilisce le linee strategiche nella guerra contro il governo afghano. Yaqub gode di un forte ascendente e dell’eredità del padre, oggetto di un vero culto, che fanno di lui una figura unificatrice all’interno del movimento ampio e diviso. Tuttavia ci sono molte speculazioni sul suo ruolo preciso all’interno del movimento, con alcuni osservatori che hanno considerato la sua nomina a capo della commissione nel 2020 come puramente simbolica.  

 

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