Altro che Stato islamico 2.0: i Talebani vanno a lezione dai Pasdaran iraniani
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Altro che Stato islamico 2.0: i Talebani vanno a lezione dai Pasdaran iraniani

Quello a cui guardano gli “studenti coranici” è il modello iraniano. I Talebani vanno a lezione dai Pasdaran. E della loro “Holding”, un potere nel potere.

Talebani, Afghanistan
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1 Settembre 2021 - 17.09


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Globalist lo aveva scritto quando tutta la stampa mainstream, i geopolitici da salotto mediatico e gli esperti del nulla spaccatisi in questa circostanza per provetti islamisti, parlavano e scrivevano dell’Emirato islamico proclamato in Afghanistan dai Talebani, come una sorta di Stato islamico 2.0. Balle. Perché quello a cui guardano gli “studenti coranici” è il modello iraniano. 

I Talebani vanno a lezione dai Pasdaran. E della loro “Holding”, un potere nel potere. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc),che ha condotto un sondaggio nella regione Sud-Ovest del Paese, il 58% delle tasse imposte ai coltivatori andavano nel 2019 in mano ai talebani, il 15% ai potentati locali, il 10% a gruppi antigovernativi, il 9% a polizia e pubblici ufficiali, l’8% ad altri. La regione del Sud-Ovest (tra Helmand e Kandahar) è stata scelta per il sondaggio perché è quella da cui proviene la maggior parte dell’oppio, ed è storicamente sotto il controllo dei talebani.

 Il Financial Times ricostruisce le fonti del finanziamento dei Talebani, al di là del traffico d’oppio ed eroina, I “vincitori” di Kabul hanno sempre guadagnato di più dai dazi sul trasporto attraverso i loro territori di beni quali carburante e sigarette. “La fonte primaria” delle finanze talebane “è la tassazione di beni legali” ha detto a Ft David Mansfield, analista di Afghanistan per il think tank britannico Overseas Development Institute. “Le droghe non sono una fonte significativa di finanziamento per i talebani come sostengono in molti, una convinzione che ha portato a una comprensione distorta dell’economia e della ribellione”.

Un esempio della governance economica talebana è il tratto di strada che collega la capitale Kabul al valico di confine del 78° miglio nella provincia sudoccidentale di Farah, alla frontiera iraniana. La strada ha oltre 25 checkpoint governativi con pedaggi in vari posti di blocco. Di contro, i talebani che controllano lo stesso tratto di strada hanno un unico check point e rilasciano una ricevuta, quindi è necessario un solo pagamento. Ibraheem Bahiss, consulente per l’Afghanistan dell’International Crisis Group, afferma che i talebani si sono presentati agli afghani come migliori amministratori. “Hanno sempre più cooptato infrastrutture statali per offrire migliori servizi di consegna” ha detto Bahiss a Ft, spiegando che in alcune aree i militanti islamici si sono preoccupati di fare sì che insegnanti e infermieri si recassero al lavoro. Negli ultimi anni i talebani hanno ampliato la loro base impositiva rispetto alle secolari oshr, una decima sui raccolti, e zakat, imposta religiosa del 2,5% sui redditi destinata ai poveri. Nella provincia di Nimroz, i dazi sui beni in transito, come veicoli e sigarette, rappresentava l’80% delle entrate dei talebani, secondo Odi. 

Operazioni minerarie illegali e tasse sui carburanti importati sono fonti ulteriori di finanziamento. Secondo la società di consulenza Alcis le tasse sui carburanti importati dall’Iran hanno fruttato ai talebani 30 milioni di dollari lo scorso anno. Negli ultimi anni sono cresciuti anche i proventi dalla produzione di metanfetamine, che rivaleggia ormai i ricavi dall’oppio. La pianta di efedra che cresce spontanea sugli altipiani dell’Afghanistan centrale viene usata per produrre metanfetamine, secondo il Centro europeo per il monitoraggio di droghe e dipendenze. L’Afghanistan resta il maggior produttore di oppio al mondo nonostante i nove miliardi di dollari spesi in operazioni antidroga dall’invasione Usa del 2001. La coltivazione del papavero da oppio si  è diffusa negli ultimi vent’anni, aumentando solo lo scorso anno del 37%.

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Il potere dei Pasdaran

Secondo uno studio recente, i Pasdaran controllerebbero addirittura il 40% dell’economia iraniana: dal petrolio al gas e alle costruzioni, dalle banche alle telecomunicazioni. Un’ascesa che si è verificata soprattutto sotto la presidenza di Ahmadinejad, ma che è proseguita sotto quella di Rouhani. I Pasdaran fanno direttamente capo alla Guida Suprema della Repubblica islamica dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei. E sempre la Guida Suprema controlla direttamente la Setad, una fondazione con 95 miliardi di dollari di asset presente in tutti i comparti dell’economia. La Setad di Khamenei, ovvero “Setad Ejraiye Farmane Hazrate Emam”, “Sede per l’esecuzione degli ordini dell’Imam”, rimarca Alberto Negri, tra i più validi conoscitori del “pianeta-Iran” “fu costituita nel 1989 dall’Imam Khomeini, con il compito di gestire le proprietà sequestrate negli anni caotici post rivoluzionari per poter aiutare i poveri e i veterani della guerra durata otto anni contro l’Iraq (un milione tra morti e invalidi). All’epoca dello Shah 100 famiglie introdotte alla corte dei Palhevi controllavano l’80% dell’economia che oggi è passata nelle mani dell’élite al potere.  Doveva rimanere in vita solo un paio d’anni ma nel corso del tempo si è trasformata in un colosso immobiliare – 52 miliardi di asset – che ha acquistato partecipazioni in decine di aziende in quasi tutti i settori: finanza, petrolio, telecomunicazioni, dalla produzione di pillole anticoncezionali all’allevamento degli struzzi. Tra portafoglio immobiliare (52 miliardi di dollari) e quote societarie, 43 miliardi, la Setad ha un valore nettamente superiore alle esportazioni petrolifere iraniane dello scorso anno. Le Bonyad, le Fondazioni esentasse, sono il cuore dell’economia: detengono almeno il 30-40% del Pil e hanno sottratto spazio ai privati favorendo soltanto alcuni di loro, quelli vicini alla cerchia del potere che ricordiamolo è comunque sempre a geometria variabile, a seconda delle stagioni politiche…”. Se si somma il potere diretto di Kamenei a quello, altrettanto pervasivo e radicato della “Pasdaran Holding”, si ha un quadro sufficientemente nitido su un regime teocratico-militare che si è fatto, per l’appunto, sistema. Un sistema che i Talebani vorrebbero riprodurre nel loro Emirato.

Prospettive di governo

Il nuovo governo dei talebani in Afghanistan “senza alcun dubbio, sarà un governo islamico. Qualunque sia la combinazione, che sia islamico è garantito”. Lo ha detto il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, in un’intervista alla Cgtn, canale in lingua inglese del network statale cinese Cctv.  Mujahid ha aggiunto di sperare che le discussioni e le consultazioni sulla formazione dell’esecutivo portino a una buona conclusione. Il governo che i talebani stanno elaborando per l’Afghanistan ha come modello quello della Repubblica  islamica dell’Iran. Lo riferisce la Cnn citando proprie fonti, secondo le quali Hibatullah Akhundzada sarà riconosciuto come il leader  supremo dell’Afghanistan. Autorità religiosa alla quale viene  riconosciuta la più alta carica del Paese, Akhundzada avrà quindi il  potere di decidere la linea politica, annullare le leggi e anche  rimuovere il presidente. Al leader supremo viene riconosciuta l’ultima parola su tutte le questioni di stato. Akhundzada, che ha guidato i Talebani dal 2016, lavorerà principalmente da Kandahar.  “Il leader supremo dei Talebani Hibatullah Akhundzada, che non ha mai fatto un’apparizione pubblica e la cui ubicazione è rimasta in gran parte sconosciuta, sarà molto probabilmente il leader supremo, che  presiederà un Consiglio supremo”, ha riferito la Cnn citando proprie  fonti.     

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Altro che “non si tratta”

Intanto,  sono iniziati in Qatar i colloqui fra Londra e i talebani destinati nelle intenzioni del governo di Boris Johnson a cercare di assicurare un corridoio di uscita dall’Afghanistan a cittadini britannici e afghani rimasti indietro dopo il ritiro militare occidentale, ma intenzionati a lasciare il Paese. “Il rappresentante speciale del primo ministro per la transizione afghana, Simon Grass, è a Doha e sta incontrando alti rappresentanti talebani per sottolineare l’importanza di un passaggio sicuro dall’Afghanistan ai cittadini britannici e a quegli afghani che hanno lavorato con noi negli ultimi 20 anni”, ha  dichiarato Downing Street  

Biden mantiene il punto

“Era ora di finire questa guerra. C’è un mondo nuovo e dobbiamo difendere gli Usa da nuove minacce. La nostra strategia deve cambiare. Non avevamo bisogno di continuare una guerra di terra”, ha detto ieri il presidente Usa Joe Biden nel suo discorso alla nazione sulla fine della presenza Usa in Afghanistan. “Il mondo sta cambiando – ha aggiunto -, dobbiamo affrontare le sfide di questo secolo e la competizione con la Cina o la Russia, continuando a combattere il terrorismo”. 

Intanto a Bruxelles si è tenuto il Consiglio straordinario dei ministri degli Interni. Aiuti umanitari all’Afghanistan e ai Paesi confinanti per evitare una crisi migratoria, la linea europea. Vi sosterremo nel vostro paese, il messaggio agli afghani da parte di Austria, Danimarca e Repubblica Ceca..  

Parla Borrell

 “La presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan è, prima di tutto, una tragedia per gli afghani”, ma anche “un duro colpo per l’Occidente” che deve” servire da campanello d’allarme per chiunque abbia a cuore l’Alleanza Atlantica”. Questa la valutazione dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, in un intervento pubblicato sul New York Times. Europa e Usa “sono stati uniti come mai prima in Afghanistan”, spiega Borrell, che sottolinea tuttavia come alla fine “i tempi e la natura del ritiro” siano stati definiti a Washington. Gli eventi in Afghanistan devono, tuttavia, servire ad approfondire l’alleanza con l’America”, prosegue Borrell, spiegando come “un’Ue strategicamente più autonoma e militarmente capace sarebbe in grado di affrontare meglio le sfide future nel vicinato europeo e oltre” e sarebbe anche “un vantaggio” per Usa e Nato.  Un compito quanto mai “urgente”, secondo l’Alto rappresentante che esorta Ue e Usa a “riformulare il proprio impegno” in Afghanistan, non da ultimo dialogando con i talebani, e a”sostenere il popolo afghano, in particolare le minoranze, le donne e le ragazze”. “Cina, Russia e Iran avranno maggiore influenza nella regione, mentre Pakistan, India, Turchia e monarchie del Golfo si riposizionano. Non possiamo lasciare che siano gli unici interlocutori con l’Afghanistan dopo il ritiro occidentale. L’Europa, insieme agli Stati Uniti, deve riformulare il proprio impegno. Non da ultimo con gli stessi talebani”, scrive Borrell. “Dopo non essere riusciti a impedire la loro presa del Paese, ora dovremo occuparci di loro, soppesando attentamente le nostre opzioni e lavorando per un approccio internazionale coordinato. Ciò deve essere soggetto, ovviamente, a condizioni chiare sul loro comportamento, in particolare al rispetto dei diritti umani”, sostiene il capo della diplomazia dell’Ue. “Alcuni eventi catalizzano la storia: la debacle in Afghanistan è uno di questi – conclude Borrell -. Noi europei dobbiamo imparare la lezione”. 

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La delusione di Sassoli e la “lezione” di Putin

 “Siamo rimasti molto delusi dalle conclusioni del Consiglio Affari interni di ieri. Abbiamo visto Paesi fuori dall’Unione europea farsi avanti per offrire accoglienza ai richiedenti asilo afghani, ma non abbiamo visto un solo Paese membro fare altrettanto”. Cosi il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, nel discorso di apertura del Forum Strategico di Bled, in Slovenia.”Non possiamo fare finta che la questione afghana non ci riguardi, perché abbiamo partecipato a quella missione condividendone obiettivi e le finalità”, ha aggiunto Sassoli.

 “Le truppe statunitensi sono state presenti per vent’anni in Afghanistan e per vent’anni hanno cercato, si può dire senza offendere nessuno, di civilizzare la gente che ci vive, d’introdurre le loro norme e i loro standard di vita nel senso più ampio della parola, compresa l’organizzazione politica della società. Il risultato è una tragedia, una perdita sia per chi l’ha fatto – per gli Stati Uniti – e ancora di più per la gente che vive in Afghanistan. Il risultato è stato nullo, se non negativo”, ha detto il presidente russo Vladimir Putin in un incontro con gli studenti della scuola del Centro infantile tutto russo “Ocean”, citato da Interfax. 

Quanto alla Cina, Pechino auspica che il nuovo governo a cui stanno lavorando i talebani in Afghanistan soddisfi “le urgenti aspirazioni del proprio popolo e le aspettative generali della comunità internazionale”. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, in risposta a una domanda sulla formazione del governo degli studenti coranici al potere a Kabul, che potrebbe essere annunciato già nei prossimi giorni. Il portavoce ha poi ribadito che la Cina chiede ai talebani una struttura politica “aperta e inclusiva” e una politica interna ed estera “moderata e stabile e completamente separata da varie organizzazioni terroristiche”. La Cina, ha aggiunto infine Wang, continuerà ad avere una politica “amichevole” con l’Afghanistan e a rispettarne la sovranità, l’integrità  territoriale e l’indipendenza, senza interferire nelle questioni interne e fornendo assistenza per la pace e la ricostruzione.  

Per il Papa il fatto che l’Occidente abbia posto fine a vent’anni di occupazione in Afghanistan è ‘legale’, anche se ”l’eco che ha in me è un’altra cosa”. Riguardo  al concetto di lasciare la popolazione afghana a se stessa, il Papa,  in una intervista a Cope, chiarisce che il nocciolo della questione è  ”come dimettersi, come negoziare una via d’uscita. Da quanto si vede, qui non sono state prese in considerazione tutte le eventualità – a  quanto pare, non voglio giudicare. Non so se ci sarà o meno una  revisione, ma sicuramente c’è stato molto inganno da parte forse delle nuove autorità. Dico inganno o tanta ingenuità, non capisco. Ma qui  vedrei la strada”. 

Una strada  tutta in salita. 

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