Lo aveva anticipato Rid, la Rivista Italiana Difesa diretta da Pietro Batacchi. E una conferma viene ora da un documentato articolo su Repubblica di Gianluca Di Feo
“L’Italia – scrive Di Feo – ha deciso di armare i suoi droni Reaper, trasformando così gli aerei senza pilota da ricognizione in bombardieri teleguidati. La scelta del ministero della Difesa – anticipata dal mensile specializzato Rid – è stata presentata nel Documento programmatico pluriennale redatto nello scorso luglio, che contiene i piani di sviluppo delle forze armate. All’interno del documento l’iniziativa di armare i droni è stata “mimetizzata” usando vari sinonimi e termini tecnici. Il capitolo che la descrive – ad esempio – è stato intitolato “Aggiornamento del payload MQ-9”, dove MQ-9 è la sigla che indica i droni Reaper. E spiega: “In particolare, il velivolo garantirà incrementati livelli sicurezza e protezione nell’ambito di missioni di scorta convogli, rendendo disponibile una flessibile capacità di difesa esprimibile dall’aria. Introdurrà, inoltre, una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza”. L’operazione – che prevede anche un aggiornamento dei sensori e degli apparati di trasmissione – prevede l’investimento di 168 milioni di euro. Concretamente, l’Italia decide di dotarsi del sistema d’arma più discusso di questi decenni, protagonista della “guerra globale contro il terrorismo” come esecutore degli attacchi contro i leader di Al Qaeda e Isis, ma anche responsabile di errori che hanno provocato centinaia di vittime innocenti e creato situazioni di grande tensione tra gli Stati Uniti e alcuni Paesi, come il Pakistan”.
L’anticipazione di Rid
Risale al febbraio scorso. “Leonardo e l’Esercito Italiano – rivela Rid – hanno concluso la competizione, denominata Utilizzo innovativo di sistemi unmanned in contesto operativo, volta ad individuare progetti innovativi per l’impiego dei droni in teatro. Questo contesto, avviato a partire da novembre 2019 e alla sua prima edizione, vede coinvolti appunto Leonardo SpA e il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino ed ha lo scopo di risolvere problematiche operative dell’Esercito, tramite l’utilizzo di sistemi senza pilota, a guida autonoma. Il concorso, rivolto agli Ufficiali frequentatori della Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, ha visto inizialmente la presentazione di 67 progetti incentrati su sistemi unmanned di diverse categorie. Ogni partecipante, definite le esigenze operative, ha potuto proporre una o più soluzioni per rispondere alle necessità individuate che, secondo la propria esperienza tecnico-professionale e preparazione universitaria, possono permettere di migliorare le capacità operative nei contesti Nazionali ed esteri nei quali l’Esercito è chiamato a operare. I progetti, ideati e presentati dagli Ufficiali frequentatori della Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, hanno preso in esame molteplici scenari operativi: dalle comunicazioni, alla bonifica mine, passando per la sorveglianza, all’attività di ricerca con drone, fino alla logistica e al trasporto. La commissione esaminatrice, formata da militari e rappresentanti dell’azienda, ha infine selezionato i 5 progetti seguenti: ‘Mini drone per Force Protection a livello Compagnia’ (Cap. Giuseppe William Ciurlia del 145° corso di SM); “Progetto PROPHETA Ponti Radio Autonomi” (Cap. Michele Brunelli del 145° corso di SM); ‘UAV- Unmanned Aerial Vehicle autonomo con Intelligenza Artificiale” (Ten. Nicola Giuri del 197° corso Ingegneri); Drone patrolling (Ten. Gianmatteo Cannavacciuolo del 197° corso Ingegneri) e “Il Drone Trasportatore” (S.Ten. Luigi Macchione del 198° corso Cavalleria). Per Leonardo il concorso, pensato per i giovani ufficiali dell’EI, si colloca nell’ambito delle iniziative ideate per il ‘mondo dei droni’ e fa subito venire in mente il Leonardo Drone Contest, competizione, quest’ultima tra gli studenti ed i ricercatori delle università italiane”.
Il Gigante cinese ci prova
E’ notizia di questi giorni: violazione della legge sulla movimentazione di materiali di armamento e della normativa cosiddetta “golden power” che tutela le aziende italiane strategiche. Sono i reati contestati dalla Guardia di Finanza di Pordenone a una azienda italiana che produce droni militari, aeromobili e veicoli spaziali la cui maggioranza – hanno accertato le indagini – è stata rilevata, attraverso una società offshore, da due importanti società statuali cinesi. L’azienda fornisce tra l’altro le forze armate italiane, è dunque soggetta a specifici controlli e vigilanza. Sei manager, tre italiani e tre cinesi, sono stati denunciati. “L’acquisto della società pordenonese presentava diverse finalità: verteva sull’acquisizione della sua tecnologia, anche di tipo militare, e sulla sua delocalizzazione all’estero”, ha dichiarato il colonnello Stefano Commentucci, comandante della Guardia di Finanza di Pordenone.
L’azienda – che, appunto, tra l’altro progetta e produce sistemi U.A.V. “Unmanned Aerial Vehicle” di tipo militare e certificati per gli standard “stanag” Nato – è già stata oggetto di indagine della stessa Guardia di Finanza di Pordenone per una presunta violazione dell’embargo internazionale nei confronti dell’Iran per una vendita di droni militari alla Repubblica islamica. Successivi approfondimenti hanno accertato che l’azienda nel 2018 fu acquisita per il 75% da una società estera di Hong Kong e che fu valutata con un valore delle quote notevolmente rivalutato rispetto a quello nominale (90 volte superiore: 3.995.000 euro contro 45mila euro). Secondo gli investigatori, l’acquirente è riconducibile a due importanti società governative della Repubblica Popolare Cinese. Un subentro societario perfezionato in modo da non far emergere il nuovo socio, con ritardi nelle comunicazioni amministrative e omettendo di informare preventivamente la presidenza del Consiglio dei Ministri dell’acquisto della maggioranza dell’azienda, violando la cosiddetta “golden power” che attribuisce speciali poteri alle autorità italiane sugli assetti societari di realtà strategiche in vari settori.
L’acquisto non avrebbe avuto scopi di investimento ma l’acquisizione di know-how tecnologico e militare, che ha spinto a pianificare il trasferimento della struttura produttiva nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio dell’intelligenza artificiale cinese vicina a Shanghai. Le Fiamme gialle hanno anche accertato l’esportazione per oltre un anno in Cina di un U.A.V. militare per la “Fiera internazionale dell’import a Shanghai” (nel 2019). L’apparecchiatura militare era stata dichiarata agli uffici doganali di esportazione non come “sistema U.A.V.” o “drone”, ma falsamente come “modello di aeroplano radiocomandato“. “Si tratta di condotte per le quali molti Stati, tra cui l’Italia, hanno posto limiti che derogano ai principi di concorrenza e di libertà di investimento – ha precisato il colonello Commentucci – Per i prodotti connessi a materiali di armamento, la Legge n. 185/1990 attribuisce allo Stato una specifica funzione di controllo per esportazione, importazione, transito, trasferimento intracomunitario e intermediazione, nonché la cessione delle licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva con la previsione di applicazione di sanzioni penali in caso di inosservanza”.
Settore in crescita
Da un documentato rapporto del 2018, curato per da Enrico Piovesana per l’Osservatorio Mil€x:” Dai primi UAV (Unmanned Aerial Vehicles) da ricognizione tattica lanciabili da catapulta come il Mirach 26 e Mirach 150 (in servizio dal 2000 fino a pochi anni fa), ai loro più moderni successori come lo Strix e il Bramor (con la loro caratteristica forma a “V”) e al più grande Shadow 200. Dai Micro e Mini UAV spalleggiabili dell’Esercito ad ala rotante (Sixton, Asio e Spyball) e ad ala fissa (Crex-B e Raven), ai giganteschi droni NATO Global Hawk da ricognizione strategica basati a Sigonella.
Dai progetti europei (che tali rimarranno) come l’avveniristico drone stealth nEUROn o il MALE 2025 appena presentato a Berlino – passando per il progetto nazionale del P1HH – fino agli ormai famosi e famigerati droni americani Predator e Reaper (“predatori” e “mietitori”), finora usati dall’Italia solo in missioni di ricognizione ma che stanno per essere armati con bombe e missili. Scelta, quest’ultima, estremamente delicata dal punto di vista etico e politico che, incredibilmente, non è mai stata dibattuta ne tantomeno autorizzata dal Parlamento.
Finora sembrava che la questione, dopo il via libera del Pentagono nel 2015, fosse stata accantonata, ma documenti ufficiali della Difesa citano chiaramente uno stanziamento iniziale da 19,3 milioni di euro (0,5 nel 2017, 5 nel 2018) per “capacità di ingaggio di precisione sistema APR Predator B”. Ciò significa una cosa sola: la procedura di armamento è iniziata. Alla luce di ciò, il Parlamento dovrebbe urgentemente affrontare questo tema, poiché la detenzione di droni armati implicherebbe dal punto di vista tecnico e politico una flessibilità di impiego bellico infinitamente maggiore rispetto ai tradizionali cacciabombardieri pilotati, che comporterebbe una rivoluzione copernicana della postura militare italiana.
L’impatto complessivo di tutti questi programmi sulle casse pubbliche dell’Italia è stato, finora, di poco meno di 700 milioni di euro: i due terzi circa di tale somma sono stati spesi per l’acquisto dei Predator, Reaper e Global Hawk statunitensi.
Il Covid non ferma quelle spese
La spesa militare italiana si attesta nel 2021 a poco meno di 25 miliardi di euro, secondo le stime anticipate dall’Osservatorio Mil€x. Si tratta di valutazioni effettuate secondo la nuova metodologia elaborata dall’Osservatorio e ricavate dai dati definitivi dagli stati di Previsione finanziari dei Ministeri coinvolti e che evidenzia una crescita annua superiore all’8%.
Il dato verrà ulteriormente precisato e definito nelle prossime settimane in occasione dell’uscita del nuovo Annuario 2021 di Mil€x che ingloberà ulteriori dati provenienti dalle documentazioni ufficiali attualmente ancora non disponibili (in particolare il Documento programmatico pluriennale DPP della Difesa e la ripartizione dei costi per le missioni militari all’estero).
“A riguardo dei dati che diffondiamo oggi è doveroso sottolineare come non sia possibile una immediata comparazione con le precedenti stime di Mil€x – sottolinea Francesco Vignarca fondatore dell’Osservatorio – in quanto la nuova metodologia cambia radicalmente la considerazione di alcune voci. Abbiamo comunque realizzato un quadro con i riconteggi per gli ultimi tre anni, in modo da delineare le tendenze, in decisa crescita, decise con le ultime tre Leggi di Bilancio”.
In particolare il totale complessivo si modifica in maniera rilevante con la nuova valutazione di costi per l’Arma dei Carabinieri: storicamente Mil€x – su indicazioni ufficiali della Difesa – includeva nella spesa militare la metà dei capitoli di bilancio ad essi assegnati, mentre attualmente viene estrapolata una quota (di molto inferiore) dalle indicazioni specifiche che il DPP rilascia sull’uso prettamente militare dei Carabinieri nelle missioni internazionali.
Il totale per il 2021 così valutato è dunque pari a 24,97 miliardi di euro, provenienti in larga parte dal bilancio del Ministero della Difesa dedicato ad usi militari. A tale bilancio – che per questa quota specifica arriva a sfiorare i 18 miliardi di euro, con una crescita di 1 miliardo e mezzo rispetto al 2020 – si devono aggiungere poi i fondi del Ministero per lo Sviluppo economico destinati all’acquisizione di sistemi d’arma, la ripartizione del Fondo Missioni militari allocato sul MEF estrapolata sulla base degli anni precedenti e i costi delle pensioni militari pagate dall’INPS (estrapolazione da dati DPP). Viene infine anche aggiunto il contributo diretto al bilancio della NATO, anche se non è del tutto chiaro dai fondi di quali Ministeri venga preso il che potrebbe dunque vedere una futura eliminazione di tale cifra se già ricompresa nei Bilanci del Ministero della Difesa.
L’Osservatorio Mil€x ha inoltre valutato alcuni elementi di spesa militare indiretta legati ai nuovi fondi di natura militare in sede di Unione Europea e ai costi della presenza di basi statunitense sul territorio italiano. Una stima che andrà analizzata e confermata in seguito, in quanto derivante da vecchie valutazioni e documentazioni statunitensi, ma che viene proposta come elemento di riferimento generale.
La crescita delle spese militari rispetto al 2020 è complessivamente significativa ed ammonta all’8,1%, mentre è addirittura del 15,7% l’aumento rilevato rispetto al 2019. Sono in particolare i costi per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma ad aver provocato tale innalzamento, soprattutto perché si iniziano ad incamerare le quote per la difesa previste nei Fondi pluriennali di investimento governativi (di cui circa il 25% ha destinazione militare, secondo una recente analisi diffusa dal nostro Osservatorio). Per la prima volta il totale complessivo destinato dall’Italia all’acquisto di nuovi armamenti supera i 7 miliardi di euro (la cifra è di poco inferiore ai 7,3 miliardi.