La Spezia: non è quello il nostro "SeaFuture"
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La Spezia: non è quello il nostro "SeaFuture"

Dopo i droni, i carri armati. E dopo i carri armati, la mega mostra militare. Globalist ha raccontato con articoli e interviste un fatto che la stampa mainstream ha preferito silenziare.

Seafuture 2021
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25 Settembre 2021 - 12.42


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Dopo i droni, i carri armati. E dopo i carri armati, la mega mostra militare. Globalist ha raccontato con articoli e interviste un fatto che la stampa mainstream ha preferito silenziare. Per pigrizia o per tornaconto: il potere crescente e invasivo dell’apparato militare-industriale. Che è tutt’altro che un concetto astratto, ideologico, ma qualcosa di concreto e trasversale.

La mega mostra

Nel documentare i fatti, è di prezioso supporto l’instancabile lavoro della Rete italiana pace e disarmo e, in essa, di due analisti di straordinaria preparazione quali Francesco Vignarca e Giorgio Beretta.

Ed ora veniamo alla mostra. La manifestazione “SeaFuture 2021 – rimarca in un report Ripd- di La Spezia è diventata la nuova esibizione navale-militare in sostituzione della Mostra navale bellica che si teneva a Genova negli anni ottanta: un evento promosso dal comparto militare navale e una piattaforma di affari per le aziende del settore “difesa e sicurezza” ammantato di sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica. 

La settima edizione di SeaFuture. in programma dal 28 settembre all’1 ottobre prossimi all’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia organizzata da Italian Blue Growth S.r.l. in collaborazione con la Marina Militare, conferma il radicale mutamento della manifestazione: da evento ideato nel 2009 come “la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare”, nel corso degli anni è stata trasformata nell’unica mostra militare in Italia dove gli operatori principali sono le aziende del settore militare insieme alla Marina Militare. L’evento ha così rimpiazzato la ‘Mostra navale italiana’, di fatto la ‘Mostra navale bellica’, che si è tenuta a Genova negli anni ottanta: non a caso i principali sponsor di SeaFuture 2021’ sono proprio le maggiori aziende del comparto militare come Fincantieri (Strategic sponsor), Leonardo (Platinum sponsor), MBDA (Gold sponsor), Elettronica Group, Orizzonte Sistemi Navali e Cabi Cattaneo (Silver sponsor) e gran parte dei “media partner” sono agenzie e riviste del settore militare. 

Come per la precedente edizione, anche quest’anno l’“importanza strategica” dell’evento viene attribuita allo “sviluppo di opportunità di business” per le imprese nazionali, gli Enti e le Agenzie del ‘comparto difesa’. E la rilevanza internazionale dell’evento è promossa attraverso l’invito alle Marine Militari di paesi esteri [] ed in particolare ai rappresentanti delle Marine Militari di numerosi paesi dell’Africa e del Medio Oriente che – come riportava il comunicato ufficiale della precedente edizione – “potrebbero essere interessate all’acquisizione delle unità navali della Marina Militare italiana non più funzionali alle esigenze della Squadra Navale, dopo un refitting effettuato da parte dell’industria di settore”: un salone dell’usato militare ben lontano dall’innovazione e dalla sostenibilità”.

Il j’accuse “disarmista”

“Consideriamo insopportabile – denuncia la Rete – che la Marina Militare che per più di 150 anni ha inquinato la città e il porto della Spezia usando il mare come discarica di liquami e rifiuti tossici anche radioattivi, tuttora presenti, intenda dare lezioni sulla sostenibilità ambientale utilizzando gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite per il proprio green-washing: un’operazione di facciata per continuare a nascondere l’inquinamento prodotto da strutture come l’Arsenale Militare (sede dell’evento Seafuture) tuttora in buona parte ricoperto di eternit e amianto. 

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Riteniamo inaccettabile l’invito a partecipare all’evento rivolto dagli organizzatori ai rappresentanti delle Forze armate di paesi esteri belligeranti, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, delle libertà democratiche e del diritto internazionale umanitario.

 Reputiamo inqualificabile misconoscere che nei porti italiani vengono imbarcati sistemi militari e continuano a transitare armamenti destinati a paesi in guerra ed a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, in aperto contrasto con le norme nazionali e internazionali sul commercio di armi.

 Consideriamo inammissibile la tendenza, che abbiamo evidenziato già dalle scorse edizioni, ad assimilare nell’ambito militare anche le iniziative riguardanti la “Economia Blu” e, soprattutto, la totale mancanza di attenzione al problema della “transizione ecologica” a favore delle tematiche relative ai Fondi Europei per la Difesa (European Defence Fund) a cui è stato dedicato, non a caso, il principale evento online e finora organizzato da ‘Seafuture 2021’

Riteniamo soprattutto intollerabile la completa disattenzione al problema centrale del Mediterraneo: le migrazioni. “Il Mediterraneo è diventato il cimitero più grande dell’Europa” – ha detto di recente papa Francesco invitando ad “abbattere il muro dell’indifferenza”, muro che i promotori di SeaFuture intendono invece ignorare se non contribuire ad innalzare.

Esprimiamo, infine, forte preoccupazione riguardo al possibile coinvolgimento degli studenti delle scuole secondarie in Seafuture per la mancanza di un’informazione completa e pluralistica sul significato dell’evento e della sua trasformazione in rassegna promossa dal comparto militare.

Denuncia e proposta

Nelle nostre coscienze e nella nostra visione, il futuro dell’industria navale e del mare non possonocontinuare a dipendere dalla produzione e dal commercio di sistemi militari sostenuti sottraendo risorse al settore civile. Il Mediterraneo deve essere un ponte di incontro tra i popoli e le culture, tra i centri di ricerca e tutte le realtà interessate a promuovere la tutela del mare, la sostenibilità ambientale, il turismo responsabile e lo sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli. Per questo nei giorni di ‘SeaFuture 2021’ promuoveremo una serie di eventi, manifestazioni e convegni di approfondimento per chiedere che: SeaFuture sia riconvertito alla sua mission originaria: una fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo delle tecnologie civili inerenti al mare, per promuovere la sostenibilità ambientale e sociale. Se necessario, alle esigenze del comparto militare-industriale sia dedicato uno specifico evento al di fuori di SeaFuture, evento da riservarsi agli operatori professionali del settore, italiani ed esteri, in rigorosa osservanza delle restrizioni sulle esportazioni di sistemi e tecnologie militari ai sensi delle normative italiane e internazionali. Come previsto dalla legge n.185 del 1990 siano predisposte ‘misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa’, salvaguardando e incrementando l’occupazione, liberando così i lavoratori dal ricatto occupazionale che li costringe a cooperare con un sistema militare-industriale che alimenta i conflitti, produce nuove vittime, provoca migrazioni e nuove povertà, soprattutto fra i popoli del Sud del mondo”.

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Presidente Draghi, così non va

“Il Governo Draghi – rimarca Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal – pare intenzionato a continuare a fare affari militari con al Sisi visto che ha avallato l’invio delle seconda Fremm all’Egitto e, soprattutto, ha confermato la Headline sponsor a Fincantieri per la fiera degli armamenti Edex 2021 che si terrà al Cairo dal 29 novembre al 2 dicembre 2021 e che una delegazione militare dell’Egitto è attesa a SeaFuture, la fiera navale che si terrà a La Spezia dal 28 settembre al 1 ottobre”. 

E la fregata va. 

Nove aprile 2021. Così Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo: “La seconda fregata multimissione Fremm, facente parte dell’accordo di vendita per due navi militari perfezionato durante il 2020, sta partendo alla volta dell’Egitto. Secondo indiscrezioni raccolte dalle nostre organizzazioni la nave, il cui nome è stato mutato in Bernees e con il numero di immatricolazione egiziano 1003, dovrebbe completare oggi l’imbarco degli armamenti. In programma per domani invece il momento finale della consegna alle forze armate di al-Sisi dopo la cerimonia di cambio bandiera avvenuta in queste ultime ore: la nave era, infatti, inizialmente destinata alla Marina Militare italiana con il nome “Emilio Bianchi” assegnato al varo del gennaio 2020. Anche se non dovesse concretizzarsi nella giornata di domani la consegna appare comunque imminente: da circa metà febbraio dai cantieri navali presso La Spezia sono state eseguite diverse uscite in mare di collaudo finale e soprattutto di addestramento per l’equipaggio della Marina Militare egiziana.

Questa notizia conferma in maniera evidente come non ci sia stato alcun cambio di rotta rispetto alle decisioni dello scorso anno e che anche il Governo Draghi, cui è in capo la responsabilità dell’autorizzazione finale alla consegna, dopo la concessione della licenza di vendita nel 2020 da parte del Governo Conte, ha deciso di continuare a sostenere il regime egiziano con forniture militari. Una scelta che Amnesty International Italia e Rete Italiana Pace e Disarmo continuano a condannare e a considerare non solo inaccettabile e insensata, ma anche contraria alle norme nazionali ed internazionali sul commercio di armi che l’Italia ha sottoscritto e che dovrebbe rispettare. ‘La vendita di queste navi configura una serie di problemi e violazioni che le nostre organizzazioni hanno segnalato da tempo – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore delle campagne di Ripd – cui nelle ultime settimane si è aggiunta anche l’evidenza di una perdita economica non indifferente, al contrario di quanto sostenuto da diversi esponenti politici come giustificazione dell’accordo’.  La coppia di navi è infatti costata allo Stato italiano – che ora attende i rimpiazzi – circa 1,2 miliardi di euro compresi gli interessi pagati sui mutui, ma secondo notizie di stampa l’accordo di rivendita avrebbe un valore di soli 990 milioni di euro, senza contare i costi di smantellamento dei sistemi di standard Nato già installati.

Come già ripetuto più volte nel corso del 2020 (non appena trapelata l’intenzione del Governo italiano di concedere a Fincantieri autorizzazioni per la rivendita di queste due navi inizialmente destinate alla Marina militare italiana) le nostre organizzazioni ribadiscono i contenuti della mobilitazione #StopArmiEgitto chiedendo il massimo sostegno da parte dell’opinione pubblica e della società civile”.

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Ma quella dei rapporti con l’Egitto non è una questione solo italiana. La conclusione di affari militari con il regime di al-Sisi suscita preoccupazione e sdegno anche a livello europeo, come è stato ricordato anche in un’importante Risoluzione approvata al Parlamento Europeo il 18 dicembre scorso, in cui si invita l’UE a procedere ad un riesame approfondito dei rapporti con l’Egitto, stabilendo chiari parametri di riferimento che subordinino l’ulteriore cooperazione con il Paese al conseguimento di progressi nelle riforme delle istituzioni democratiche, dello Stato di diritto e dei diritti umani. Una preoccupazione resa ancora più forte dagli sviluppi di un caso “gemello” a quello di Patrick Zaki, l’arresto del giovane egiziano Ahmed Samir Santawy, studente presso l’Università Europea di Vienna e attualmente in carcere con le stesse accuse che pendono su Zaki e su molti degli oppositori che al-Sisi vuole mettere a tacere: terrorismo e diffusione di notizie false volte a minare l’ordine pubblico.

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

Chi costruisce il suo potere su un sistema repressivo così radicato e tentacolare, non teme certo le parole. Ma le sanzioni, sì. Soprattutto economiche, vista la grave crisi in cui versa l’Egitto e il malessere e la rabbia sociali che il regime del presidente-carceriere prova a contenere con un mix di repressione e promesse che restano tali. Sanzioni mirate, dunque. Mirate ai conti bancari, all’estero, di quella nomenklatura militare-affaristica che si è arricchita sotto Mubarak e continua a farlo con al-Sisi. E poi, stop alla vendita di armi ad un regime che le usa per reprimere nel sangue le proteste interne e per dettar legge, in competizione con la Turchia del “sultano” Erdogan, in Libia, in Siria, nel Nord Africa tutto. 

Alla mostra di La Spezia vi saranno anche rappresentanti del regime del presidente-carceriere. Per fare affari. Senza alcun vincolo in materia di rispetto dei diritti umani. Pecunia non olet

 

 

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