In Libia in mille a rischio della vita nei lager del governo finanziato dall'Italia
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In Libia in mille a rischio della vita nei lager del governo finanziato dall'Italia

Secondo l’Unicef, la sicurezza e il benessere di almeno 1.000 donne e bambini tenuti in centri di detenzione a Tripoli, in Libia, è a rischio immediato. 

Migranti in Libia
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13 Ottobre 2021 - 17.40


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Mille tra donne e bambini. Mille a rischio vita in centri di detenzione a Tripoli. Centri controllati da quel governo che l’Italia riconosce, da quei miliziani che l’Italia finanzia. 

Bambini imprigionati

 Secondo l’Unicef, la sicurezza e il benessere di almeno 1.000 donne e bambini – fra cui cinque minorenni non accompagnati e almeno 30 bambini molto piccoli – tenuti in centri di detenzione a Tripoli, in Libia, è a rischio immediato. 

 Fra le migliaia di migranti e richiedenti asilo che sono stati coinvolti in recenti arresti di massa, ci sono circa 751 donne e 255 bambini. 

 “I bambini migranti e rifugiati in Libia continuano ad affrontare gravi violazioni dei loro diritti, fra cui la detenzione arbitraria”, ha dichiarato Cristina Brugiolo, Rappresentante speciale dell’UNicef in Libia ad interim. “I bambini sono tenuti in condizioni devastanti e disumane in questi centri di detenzione. Possiamo desumere che il numero reale di bambini tenuti nei centri sia molto più alto, visto che, secondo le notizie ricevute, diversi ragazzi vengono messi in celle con uomini adulti”. 

I centri di detenzione hanno ricevuto numeri di gran lunga maggiore rispetto alla loro capacità. Nel centro di detenzione più grande della Libia, “Al Mabani”, ci sono oltre 5.000 persone – quattro volte la sua capacità ufficiale – fra cui 100 bambini e 300 donne. Di queste, 1.772, fra cui 43 bambini e 106 donne, sono state trasferite nel centro di detenzione “Ain Zara”. 

l’Unicef e altri operatori umanitari esortano le autorità libiche a proteggere i bambini e prevenire la loro separazione dai loro genitori, persone che si prendono cura di loro e famiglie. 

L’Unicef chiede il rilascio immediato di tutti i bambini in centri di detenzione in Libia. 

Bambini soldato

La Turchia “ha favorito” il reclutamento “in cambio di denaro” di bambini soldato siriani, per combattere al fianco del Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Sarraj contro le truppe dell’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar. È la durissima accusa emersa in un rapporto elaborato da una missione indipendente in Libia voluta dal Consiglio Onu per i diritti umani. Il documento, datato primo ottobre, prende in esame gli eventi nel Paese africano dal 2016 a oggi. Ankara ha respinto al mittente ogni accusa. 

Nel passaggio intitolato “Bambini”, lo studio degli esperti delle Nazioni Unite afferma che Ankara “ha facilitato il reclutamento di ragazzini fra i 15 e i 18 anni”, per farli combattere nella guerra fra il Gna e l’Lna. “Le prove – prosegue il testo – hanno stabilito che dalla fine del 2019 ha favorito il reclutamento dietro pagamento in denaro di giovani siriani fra i 15 e i 18 anni, un dato evidente in base al loro aspetto fisico”. 

“Questi mercenari infantili – aggiunge – sono stati utilizzati per diverse funzioni, comprese le unità di combattimento, e in alcuni ruoli di sostegno come le guardie”. Se disobbedivano agli ordini, a dispetto della giovane età venivano “confinati” come gli altri militari e “alcuni di loro sono [anche] rimasti feriti”. “Vi sono motivi ragionevoli – scrivono i membri della commissione – per credere che la Libia possa non aver rispettato i suoi obblighi ai sensi della Carta africana dei diritti e del benessere dell’infanzia, che vieta sia il reclutamento di minori che la partecipazione diretta dei bambini alle ostilità, compresi quelli che non fanno parte delle Forze armate dello Stato”. 

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Vi sono inoltre “elementi” per ritenere che la Libia non abbia rispettato gli obblighi ai sensi della Convenzione sui diritti del fanciullo “coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati”. Inoltre, conclude il documento, sia la Libia che la Turchia “potrebbero aver violato” i dettami del Protocollo opzionale alla convenzione sui diritti dell’infanzia sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (Opac e Crc) contro il “reclutamento e uso” dei minori nella guerra. 

Immediata la replica di Ankara che, attraverso una fonte al ministero degli Esteri rilanciata da Bbc Turchia, respinge le accuse definendole “completamente infondate” e “senza alcuna base concreta”. Dal governo turco arriva quindi l’invito a concentrarsi su “crimini di guerra reali” come “fosse comuni e violazioni accertate ai diritti umani”. La missione di ricerca Onu sulla Libia ha concluso la sua prima visita nel Paese ad agosto; dopo i suoi incontri con funzionari libici di alto rango a Tripoli, ha pubblicato la versione finale del rapporto.

Bambini senza un tetto

Nei giorni scorsi, centinaia di persone hanno tenuto un sit-in a Tripoli, in Libia, davanti all’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che questa settimana ha temporaneamente sospeso le sue attività a causa della crescente pressione migratoria.   Davanti all’edificio dell’Unhcr decine di migranti e rifugiati, compresi bambini piccoli, dormono per terra da diversi giorni nella speranza di essere assistiti 

“Per la nostra sicurezza, chiediamo di essere evacuati”, era  scritto su uno striscione. “La Libia non è un Paese sicuro per i rifugiati”, si legge in un altro.  Lo scorso fine settimana le autorità libiche avevano lanciato un raid in un povero sobborgo della capitale libica, Tripoli, dove vivono principalmente migranti e richiedenti asilo, arrestando quasi 5.000 persone ma anche causando un morto e almeno 15 feriti secondo l’Onu. L’operazione era stata svolta ufficialmente in nome della lotta al narcotraffico. 
 “Siamo al capolinea”, afferma una donna fuggita da uno dei tanti centri di detenzione teatri di violenze e maltrattamenti. 
“Ci hanno attaccato, umiliato, molti di noi sono rimasti feriti”, ha detto. “Siamo tutti estremamente stanchi. Ma non abbiamo un posto dove andare, veniamo addirittura cacciati dai marciapiedi”. 
 Secondo l’Oim “ci sono quasi 10.000 migranti intrappolati in difficili condizioni nei centri di detenzione libici”. L’agenzia Onu conferma poi l’uccisione, ieri, di 6 migranti durante un tentativo di fuga. Secondo un sottosegretario libico – riferiscono i media locali – circa duemila migranti sarebbero riusciti a fuggire. 

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Ultima voce

Un comitato di rifugiati, provenienti dal Nord e dal Sud del Sudan, ha redatto un appello per domandare il rilascio delle persone arrestate nei raid dei giorni scorsi, ed il rispetto dei propri diritti. “Mi hanno chiesto aiuto nell’amplificare il loro messaggio, ed è per questo che ho lavorato alla traduzione del testo affinché queste parole ottengano la massima diffusione”, scrive l’autore sul portale Ultima Voce.it.

Globalist ha accolto questo appello

Cari lettori

Siamo un gruppo di rifugiati e attivisti del Sud e del Nord del Sudan. Stiamo scrivendo questa lettera per sollevare le nostre preoccupazioni e paure riguardo ai nostri fratelli, sorelle, mariti, mogli e bambini che sono attualmente detenuti nei centri di detenzione.

Questo accade nonostante siano persone di interesse per l’ufficio dell’Unhcr Libia, ovvero richiedenti asilo e rifugiati.

Continuiamo a chiedere alle autorità competenti della Libia e all’organizzazione delle Nazioni Unite di rilasciarli immediatamente e di non deportarli in paesi in cui le loro vite sono minacciate.

Vorremmo anche portare alla vostra attenzione il fatto che siamo rifugiati e non criminali come descritto dai media, secondo cui i rifugiati commettono crimini o sono coinvolti in altre attività illegali, essere un rifugiato non è un crimine e non dovrebbe esserlo in Libia.

Sappiamo che la repressione degli ultimi giorni è avvenuta sulla base di rapporti non verificati secondo cui la zona di Gargaresh è sede di traffici di droga e prostituzione, ad ogni modo questo non significa che donne incinte e bambini siano criminali.

Le autorità devono ammettere che essere rifugiato è solo uno status temporaneo, non una nazionalità, nessuno sceglie di essere un rifugiato. La maggior parte di queste persone è stata costretta a lasciare le proprie case a causa di circostanze al di fuori del controllo umano.

Chiediamo inoltre all’UE, che ha finanziato ampiamente la guardia costiera libica, di adeguare le leggi che regolano questi fondi, nel rispetto dei diritti umani.

L’UE ha l’obbligo legale di garantire che le sue azioni non violino i diritti umani.

Le violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di detenzione erano ben note agli Stati membri e alle istituzioni dell’UE durante la progettazione della cooperazione con la Libia.

L’UE, utilizzando la porta sul retro, sta finanziando ed equipaggiando le milizie e le guardie costiere.

Da molti anni, l’UE e alcuni Stati membri destinano milioni di euro in programmi per rafforzare la capacità della Guardia costiera libica di intercettare le barche in partenza dalla Libia, con la piena consapevolezza che tutti le persone vengono automaticamente messe in detenzione arbitraria a tempo indeterminato senza controllo giudiziario.

Chiediamo inoltre al governo libico di rispettare e seguire le regole e gli accordi che garantiscono la presenza dell’Unhcr in Libia come organizzazione.

Abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo una grande mancanza di rispetto verso i documenti forniti ai rifugiati e ai richiedenti asilo in Libia, che attestano che si tratta di persone di interesse per l’Unhcr e pertanto dovrebbero essere protetti, e in nessuna circostanza devono essere respinti verso un paese dove la loro vita è minacciata

In realtà stiamo osservando l’opposto di quanto affermato nel documento che ci viene rilasciato, in quanto un rifugiato non può utilizzare il documento per spostarsi da una regione all’altra della Libia senza rischiare di essere sottoposto a detenzione forzata, rapine, tortura e lavori forzati.

Chiediamo inoltre a paesi come Australia, Asia, Stati Uniti, Canada e Stati europei di offrire più quote per i reinsediamenti, i ricongiungimenti familiari, i visti per cure mediche e per lavoro e borse di studio per i rifugiati che sono attualmente bloccati in Libia.

Infine, ma non meno importante, chiediamo al Ministro dell’Interno libico di autorizzare i voli umanitari per evacuare i rifugiati e i voli di ritorno volontario umanitario, per ripristinare i loro obblighi di favorire l’uscita dei rifugiati dal paese. 

Infine, chiediamo al governo e alle autorità libiche di emanare un decreto per tutti i posti di blocco, i luoghi di lavoro, le scuole che consenta un passaggio sicuro a chiunque sia in possesso del documento di rifugiato/richiedente rilasciato dall’Unhcr in Libia”.

Medici Senza Frontiere ha raccolto le parole di tante persone che hanno denunciato di aver subito durante i blitz delle autorità libiche che hanno portato al loro arresto, “gravi violenze fisiche, compresa la violenza sessuale”. “Stiamo assistendo alle forze di sicurezza adottare misure estreme per detenere arbitrariamente le persone più vulnerabili in condizioni disumane in strutture gravemente sovraffollate”, ha affermato Ellen van der Velden, responsabile delle operazioni di Msf per la Libia: “Intere famiglie di migranti e rifugiati che vivono a Tripoli sono state catturate, ammanettate e trasportate in vari centri di detenzione. Tante persone sono state ferite o persino uccise, mentre le famiglie sono state divise e le case distrutte”. Shara Zawiya e Al-Mabani i centri di detenzione visitati da Medici Senza Frontiere: a Shara Zawiya, hanno trovato più di 550 donne, alcune delle quali incinte, che insieme a bambini e neonati sono stati stipati in celle piccolissime. Ad Al-Mabani gli uomini sono costretti a stare in piedi a causa del sovraffollamento, mentre centinaia di donne e bambini sono costretti a stare all’aperto senza un posto all’ombra.

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Presidente Draghi, ministro Di Maio, non avete niente da dire? Il silenzio è complice. L’inerzia un crimine contro l’umanità. Continuare a finanziare aguzzini in divisa, collusione con torturatori seriali. Globalist non smetterà mai di ricordarvelo. 

 

 

 

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