Tripoli è lontana da Parigi. E l’unanimità dei “Conferenzieri” deve fare i conti con i “Grandi assenti”: il Sultano di Ankara e lo Zar di Mosca.
Parigi ci prova
Sostegno “unanime” affinché le elezioni in Libia si tengano il 24 dicembre, sanzioni Onu in caso di boicottaggio del percorso che porterà il Paese nordafricano alle urne e il ritiro dei mercenari e delle forze straniere dai territori. E sullo sfondo l’appello pubblico di Mario Draghi all’Unione europea per un’intesa sugli sbarchi “continui” di migranti che rendono insostenibile la situazione italiana. La Conferenza di Parigi sulla Libia, svoltasi ieri, ha tentato di tenere insieme i tre principali punti affrontati. Ad iniziare dalle elezioni, sulla cui data, “la comunità internazionale sostiene” il calendario, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron. “La chiave adesso per il buon svolgimento è il ruolo delle autorità libiche nelle prossime settimane per favorire un processo inclusivo – ha aggiunto il presidente francese – Le prossime 6 settimane saranno fondamentali”. “Non tutti possono vincere le elezioni, bisogna mettersi d’accordo prima perché il risultato sia accettato da tutti”, ha aggiunto la cancelliera tedesca Angela Merkel. Leader e capi di Stato e di governo si sono confronti anche su sanzioni Onu per proverà a bloccare le urne e soprattutto sulla presenza di mercenari e truppe in territorio libico. Uno dei più più complicati da sbrogliare, anche per l’assenza di Erdogan, coinvolto in prima persona insieme alla Russia. Macron ha invitato a un ritiro “senza ulteriore ritardo” perché “minacciano la stabilità e la sicurezza del Paese e dell’intera regione”. Ricordando il ritiro di 300 mercenari al servizio di Haftar deciso giovedì, il presidente francese ha sottolineato: “È solo l’inizio: anche Turchia e Russia devono ritirare senza indugio i loro mercenari e le loro forze militari, la cui presenza minaccia la stabilità e la sicurezza del Paese e dell’intera regione”. Anche Draghi ha ribadito che “il ritiro di alcuni mercenari stranieri prima delle elezioni aiuterebbe a rafforzare la fiducia fra le parti”. Il premier italiano ha quindi sollecitato che si proceda subito – “nei prossimi giorni, non nelle prossime settimane” – a mettere a punto la legge elettorale per consentire il voto nei tempi auspicati. E dopo le elezioni, i passi da compiere devono quindi essere la riforma del sistema di sicurezza e il reintegro dei combattenti libici: “L’Italia è pronta a fornire il proprio sostegno”, ha assicurato il presidente del Consiglio. Da parte della Turchia “ci sono ancora riserve” ha spiegato Merkel, ma la Russia “ha ammesso che possa essere fatto in modo reciproco”. La cancelliera ha sottolineato come sia “positivo” che un primo gruppo di mercenari si sia ritirato, si tratta di “un processo progressivo”.
In conferenza stampa Draghi si è soffermato anche sul tema direttamente legato alla stabilità libica, quello del flusso di migranti verso le coste siciliane e calabresi. “Questi sbarchi continui in Italia rendono la situazione insostenibile: l’Ue deve trovare un accordo su questo fronte”, è stato il suo appello. “Noi stessi dobbiamo riuscire a investire di più in Libia, a spendere più denaro per creare condizioni più umane” sul fronte dell’immigrazione “che spesso non ha origine in Libia ma dai Paesi vicini”, ha aggiunto. Uno dei quattro pilastri per la stabilizzazione della Libia è quello “dei diritti umani, una questione che va affrontata lavorando tutti insieme”, ha concluso il presidente del Consiglio.
I convitati di pietra
Ovvero Vladimir Putin e Racep Tayyp Erdogan.
Secondo gli analisti della Nazioni Unite, contractor militari russi sono impegnati in Libia in operazioni “su vasta scala” — dal training al fronte — per sostenere le ambizioni politiche armate di Haftar. Ci sarebbero tra gli 800 e i 1200 uomini del gruppo Wagner, che operano attivamente in Libia almeno dal 2018. Tra questi ci sono anche una quarantina di cecchini in prima linea sul fronte tripolino. Sono ex forze speciali che mesi fa hanno fatto la differenza pro-Haftar, e da quando hanno un po’ allentato le attività il capo miliziano dell’Est ha iniziato a indietreggiare.
Nel report ci sono le immagini di questi professionisti della guerra e prove tecniche circostanziali, come la presenza in Libia di granate Vog-25 da 40 mm, che sono state utilizzate dagli agenti Wagner nell’Ucraina orientale e in Siria.
Le analisi sono state effettuate dagli esperti dell’Onu che monitorano le sanzioni contro la Libia — sottoposta a embargo dal 2011, misura costantemente violata su entrambi i fronti, e ora oggetto del controllo della missione navale europea Irini attivata da pochi giorni. Il report è la prima ampia analisi delle Nazioni Unite sui mercenari russi, ed è stato visto da Bloomberg in anteprima.
Un’entità collegata a Wagner si è impegnata in una “campagna altamente sofisticata ed estesa sui social media” per sostenere Haftar e le sue operazioni a terra, ha osservato il gruppo di analisti onusiani, aggiungendo che le “operazioni psicologiche” sono vietate sotto l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite. Uno sforzo simile è stato intrapreso per sostenere Saif Al-Islam Gheddafi, il figlio del defunto dittatore, considerato il cavallo su cui Mosca ha puntato in Libia.
Ora, non è certo un segreto che in Russia non si muova foglia che lo “Zar” non voglia: e la recente “scomparsa” dal campo di battaglia dei mercenari russi, era un messaggio molto chiaro che un adirato Putin ha indirizzato ad Haftar: se credi di potercela fare da solo, accomodati pure, ma scordati del sostegno russo, diretto o indiretto. Haftar ha capito e si è adeguato. Per il capo del Cremlino, l’ex ufficiale, neanche tra i più capaci, di Muammar Gheddafi, può al massimo aspirare ad essere, per Mosca, l’Assad libico, vale a dire lo strumento di una politica imperiale russa nel Mediterraneo.
I soldi che circolano in Est Libia sono stampati in Russia. Il danaro stampato a Tripoli può circolare soltanto in Tripolitania. Gli interessi sono evidenti.
La torta petrolifera
Ciò che sta davvero accadendo in Libia è la “Grande spartizione” tra il Sultano e lo Zar. Russi e turchi sono pronti a spartirsi la Libia e a esercitare la loro crescente influenza nel Mediterraneo Occidentale. E’ questo che dicono le manovre aeronavali turche a largo delle coste libiche e lo schieramento dei jet russi nella base di Jufra che, secondo alcuni, hanno parzialmente sostituito i mercenari della Wagner. Ankara vuole insediarsi in Tripolitania, Mosca punta a farlo in Cirenaica. Ma dopo mesi di una campagna militare impantanata, la Russia ha ritirato il suo supporto decidendo di negoziare con Ankara i futuri assetti del paese e le relative zone di influenza. Tutto è dunque deciso? Non ancora, si legge in una documentata analisi analisi dell’Ispi, perché ci sono temi su cui i due paesi, entrambi impegnati in Libia, si trovano su sponde decisamente opposte: la Russia vuole fermare l’avanzata delle forze di Tripoli prima che raggiungano Sirte e, soprattutto, vuole garantirsi un avamposto militare in Cirenaica. Ankara frena, e dalla sua posizione di forza cerca di assicurarsi la base di Al Watyah e il porto di Misurata, rispettivamente a ovest e a est di Tripoli. Dagli equilibri che si raggiungeranno dipende l’assetto della Libia di domani che, ancora una volta, non si deciderà né a Tripoli né a Bengasi, prosegue il documento. Da tempo infatti quella in Libia si è trasformata in una guerra per procura dove sono gli attori esterni, regionali, e globali, ha determinarne gli scenari e i possibili compromessi.
Un progetto di spartizione della Libia che, secondo indiscrezioni, sarebbe partito allora e finalizzato in un vertice segreto tenutosi a Malta a fine ottobre 2020. La posta in gioco non è solo il controllo degli idrocarburi gestiti dalla Noc (National Oil Corporation) con importanti contratti all’Eni, è in gioco, ma l’intero asse mediterraneo.
Siriani contro siriani
Fonti americane hanno rivelato a inizio maggio 2020 che Mosca stava contrattando con Damasco una fornitura di uomini e armi per Haftar in Libia. A maggio sarebbero stati reclutati circa 900 uomini e altri 650 sono in campi di addestramento siriani, pronti a essere inviati a combattere in Libia per 1.000-2.000 dollari al mese. Si tratterebbe, secondo Reuters, di ex membri dell’Esercito libero siriano che si sono arresi al regime di Bashar al-Assad e che combatteranno contro circa 4.500 ex compagni assoldati per la Libia da Erdogan.
Per Mosca ,il caos in Libia è un’opportunità per riguadagnare influenza nell’area. La Russia è interessata a stabilire un “testa di ponte” nel Nord Africa per ottenere una quota del settore della ricostruzione e all’influenza sull’industria degli idrocarburi, in particolare il mercato del gas. Sebbene non vi siano interessi nazionali vitali americani in gioco in Libia, la sua instabilità costituisce una minaccia crescente per gli interessi statunitensi nella regione anche considerato l’atteso arrivo nell’area dei cinesi con interessi simili a quelli della Russia.
Quelli della “Sadat”
Quanto a Erdogan, per la sua campagna in Libia si affida in particolare ai mercenari della compagnia militare privata Sadat, etichettata da alcuni come “l’esercito ombra di Erdogan” in Libia, dove è attiva già dal 2012 (stesso anno in cui è stata fondata). Si tratta di gruppi di contractor formati da ex militari, con la benedizione dei servizi segreti turchi (Mit). Alla testa di Sadat è Adnan Tanriverdi, comandante in pensione dell’esercito, che ha specificato che la compagnia “fornisce sostegno e addestramento militare in 22 Paesi del mondo islamico e dell’Asia Centrale”.
Sadat è stata impegnata in operazioni spesso clandestine, come l’addestramento delle milizie siriane da opporre al regime di Bashar al-Assad. L’intervento di Sadat nei Paesi coinvolti nelle “primavere arabe” è servito a Erdogan per spingere nell’orbita turca realtà in profondo cambiamento, come appunto quella libica, molto spesso attraverso la raccolta di informazioni e interventi diretti circoscritti.
La Turchia per avere la meglio sul campo in Libia si affida anche ai mercenari siriani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani negli ultimi mesi Ankara ha portato sul fronte a Tripoli 9.600 mercenari e altri 3.300 li sta addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio, vi sono circa 180 minori di età compresa tra 16 e 18 anni. Molti siriani arruolati militavano in milizie jihadiste per lo più affiliate alla Fratellanza Musulmana ma anche veterani delle milizie di al-Qaeda e probabilmente dello Stato islamico.
Ankara, con un successo politico-militare in Libia, acquisirebbe una posizione più importante sul mercato europeo del gas e sarebbe in grado di influenzare le consegne attraverso il gasdotto Green Stream (gestione Eni) che attraversa la Libia occidentale verso l’Italia. Inoltre, la Turchia sarebbe in grado di controllare anche i flussi migratori dal Mediterraneo orientale verso l’Europa. Ciò aumenterà in modo significativo la sua capacità di esercitare pressioni sull’Ue come già ha fatto nei mesi scorsi al confine con la Grecia e la Bulgaria. La Turchia potrebbe continuare a espandere la sua influenza politica ed economica verso la Tunisia, l’Algeria e gli Stati del Sahara meridionale. Erdogan è convinto di uscirne vincitore, e per questo sta profondendosi in sforzi militari ed economici.
Affari miliardari per il Sultano
Nel 2011, anno della caduta di Gheddafi, i cittadini turchi residenti in Libia erano circa 25.000. Fredde in precedenza, le relazioni tra Ankara e Libia si rafforzarono quando, a seguito dell’embargo militare decretato dagli Usa alla Turchia per l’intervento a Cipro nel 1974, fu la Libia a garantire all’aviazione turca i pezzi di ricambio per i caccia di fabbricazione statunitense in dotazione. D’allora, l’incidenza turca in Libia è cresciuta esponenzialmente.
Quando l’allora primo ministro e attuale presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdogan, nel settembre 2011 fece visita a Tripoli, ricevette un’accoglienza da star da parte dei libici. Oggi, la Libia è il terzo partner commerciale della Turchia in Africa. Sono innumerevoli i trattati bilaterali tra i due paesi, tra i quali vanno ricordati l’Accordo per il rafforzamento della cooperazione economica e tecnica (1975) e l’Accordo bilaterale per gli investimenti e la protezione (2009).
Non basta. La Turchia è tra i maggiori investitori in Libia. Sono stati firmati accordi per realizzare progetti d’intervento in Libia, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari. In termini di quantità di lavoratori impiegati nella realizzazione di opere all’estero da parte della Turchia, la Libia è il secondo mercato dopo la Russia.
La crisi siriana ha fortemente indebolito le rotte del petrolio da Arabia Saudita, Iran, Iraq e stati del Golfo. E questo ha portato Ankara a puntare decisamente, nella “battaglia del petrolio”, al sud del Mediterraneo e dunque alla Libia. Mentre altri patteggiavano sotto traccia con milizie o andavano alla ricerca, in terra libica, di improbabili uomini forti a cui affidare il ruolo di gendarme del Mediterraneo, la Turchia ha sviluppato una penetrazione a trecentosessanta gradi, dalla cultura all’alimentazione.
I turchi hanno aperto a pioggia ristoranti e negozi, mentre diciannove miliardi di dollari sono stati investiti nel campo delle costruzioni attraverso la Turkey Contractors’ Association. Quel che è certo è che ora Erdoğan giocherà qualche asso nella manica per ribadire la presenza necessaria di Ankara sul tavolo libico. E questa carta potrà essere, inevitabilmente, quella dei Fratelli musulmani. Una carta fondamentale, condivisa dalla Turchia e dal Qatar, alleati in Medio Oriente e anche nella partita libica.
Alla luce di tutto questo, una domanda sorge spontanea: ma i “Conferenzieri” di Parigi credono davvero di poter stabilizzare la Libia alla faccia del Sultano e dello Zar?