Kazakistan, Ucraina, Bielorussia: nell'Est venti di guerra sotto il tallone della Russia
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Kazakistan, Ucraina, Bielorussia: nell'Est venti di guerra sotto il tallone della Russia

Sullo sfondo delle tensioni in Ucraina, Russia e Stati Uniti sono pronti ad avviare i negoziati che iniziano lunedì a Ginevra e discutere di posizionamento di missili e di esercitazioni militari

Kazakistan, Ucraina, Bielorussia: nell'Est venti di guerra sotto il tallone della Russia
Rivolta nel Kazakistan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Gennaio 2022 - 16.55


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Bielorussia, Kazakistan, Ucraina. E prim’ancora, Kirghizistan e  Nagorno-Karabakh I venti dell’Est sono venti di guerra. Che la diplomazia internazionale fatica a contenere.

Occhi su Ginevra

Sullo sfondo delle tensioni in Ucraina, Russia e Stati Uniti sono pronti ad avviare i negoziati che iniziano lunedì a Ginevra e discutere di posizionamento di missili e di esercitazioni militari, ha fatto sapere un alto responsabile della Casa Bianca. Diplomatici americani e russi si riuniscono in Svizzera per ridurre le tensioni dopo le accuse a Mosca sulla preparazione di una nuova invasione dell’Ucraina.

Le mosse prima del vertice: la Russia 

A 24 ore dall’inizio dell’incontro di Ginevra, le parti si “posizionano” diplomaticamente. Inizia Mosca, che si dice “delusa” dai “segnali” fatti pervenire dagli Stati Uniti e anche dall’Ue sull’Ucraina. “Noi non accetteremo alcuna concessione. E’ fuori discussione”, ha dichiarato alle agenzie di stampa russe il viceministro degli Esteri, Serghei Riabkov, che prenderà parte ai negoziati ginevrini. “Siamo delusi dai segnali venuti in questi ultimi giorni da Washington, ma anche da Bruxelles”, ha aggiunto.

Le mosse prima del vertice: Usa e Ue 

 “La Russia ha detto di sentirsi minacciata dalla prospettiva di posizionamento dei sistemi missilistici offensivi in Ucraina. Gli Stati uniti non hanno alcuna intenzione di fare una cosa simile. Ed ecco un settore dove possiamo trovare un accordo se la Russia accetta di prendere impegni reciproci”, ha spiegato in forma anonima una fonte americana. “Ci apprestiamo a questi colloqui con realismo e ottimismo”, ha aggiunto.

Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha parlato con l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, sottolineando l’importanza di coordinare le azioni a sostegno della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina e ha ribadito la minaccia di una “risposta severa” contro Mosca in caso di aggressione a Kiev. Non si è fatta attendere la risposta di Mosca, arrivata dal vice ministro degli Esteri, Sergei Riabkov, il quale ha escluso qualsiasi “concessione” agli Usa nei colloqui in Svizzera e ha espresso la “delusione” di Moscaper i segnali giunti in questi giorni da Washington, ma anche da Bruxelles”. Il viceministro degli Esteri Riabkov, che prenderà parte ai negoziati ginevrini, ha dichiarato alle agenzie di stampa russe: “Noi non accetteremo alcuna concessione. E’ fuori discussione”.

La politica delle sanzioni.

Secondo il New York Times, l’amministrazione Bidene i suoi alleati stanno predisponendo una serie di “dure sanzioni” finanziarie, tecnologiche e militari contro la Russia, che diventerebbero effettive nel giro di “poche ore” in caso di invasione dell’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno discusso di recente il pianoassieme agli alleati: tra le misure considerate, l’embargo verso Mosca della tecnologia made in Usa e il sostegno militare agli ucraini, che si troverebbero impegnati al confine contro l’occupazione russa. Queste manovre, ricorda il quotidiano newyorkese, generalmente non vengono anticipate, ma i consiglieri del presidente Biden hanno l’obiettivo di far capire a Mosca a cosa andrà incontro se dovesse passare dalle minacce alle vie di fatto nelle prossime settimane.  

Gli incontri a Ginevra verranno condotti, da parte americana, dal vice segretario di Stato, Wendy Sherman, diplomatico di grande esperienza che negoziò l’accordo sul nucleare con l’Iran nel 2015. Da tempo il presidente russo, Vladimir Putin, ha chiesto alla Nato di rinunciare a qualsiasi mira di espansione a Est, e di escludere ufficialmente la possibilità di far entrare tra gli alleati del patto atlantico la stessa UcrainaBiden ha già detto che su questo punto non è disposto a trattare.   Prima del botta e risposta, il governo Usa aveva fatto trapelare un certo ottimismo in merito ad una possibile “intesa” con Mosca sul dispiegamento di missili in Europa e sulle manovre militari. “Siamo aperti a parlarne perché crediamo che si possano fare progressi, sempre in un contesto di coordinamento con i nostri alleati, ha detto un alto funzionario dell’amministrazione Biden in una telefonata con la stampa a cui era presente anche l’agenzia Efe.  

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Il Cremlino ha già annunciato di voler concordare con Washington e con la Nato un nuovo quadro per la sicurezza in Europa, in modo tale che gli Stati Uniti si uniscano alla loro moratoria unilaterale sul posizionamento di missili a corto e medio raggio nel continente e l’Alleanza allontani le sue manovre militari dai confini russi. La fonte americana ha però ribadito che Washington non scenderà a patti sul possibile avvicinamento dell’Ucraina alla Nato.

Nella loro conversazione della scorsa settimana, il presidente Usa, Joe Biden e il suo collega russo, Vladimir Putin, hanno riconosciuto che “ci sono aree in cui si possono compiere progressi significativi” e altre in cui “può essere impossibile arrivare ad un accordo“. Sherman e Riabkov guideranno le delegazioni a Ginevra. La priorità della Russia è il dialogo con gli Stati Uniti, ma Mosca ha anche concordato con l’Alleanza Atlantica un vertice a Bruxelles mercoledì prossimo, nell’ambito del Consiglio Nato-Russia.

Dossier Kazakistan

Intanto, resta alta la tensione in Kazakistan, dopo le violente proteste dei giorni scorsi in cui, secondo il ministero dell’Interno, 26 dimostranti e 18 poliziotti sono stati uccisi, mentre oltre 4.400 manifestanti arrestati. La data di riapertura dell’aeroporto internazionale di Almaty, la seconda città più grande del Kazakistan, non è stata ancora fissata. “L’aeroporto internazionale di Almaty è chiuso a tempo indeterminato, secondo il servizio stampa dell’aeroporto”, hanno riferito i media locali. Sabato scorso era stato riferito che l’aeroporto sarebbe stato chiuso fino al 10 gennaio.

Caschi blu Csto a Nur-Sultan e Almaty

Un contingente per il mantenimento della pace dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (Csto) è stato dispiegato vicino a Nur-Sultan, la capitale del Kazakistan, e ad Almaty, ha affermato sabato un rappresentante della stessa Csto.”Si potrebbe dire che tutti i contingenti nazionali della Csto sono ora arrivati sani e salvi e hanno proceduto allo svolgimento delle missioni. Si stanno concentrando in gran parte intorno alla capitale e all’interno della capitale del Kazakistan, e nella regione più pericolosa, Almaty, che secondo il presidente del Kazakistan era effettivamente sottoposto a sei ondate di vari attacchi estremisti”, ha dichiarato sabato sul canale YouTube Solovyov Live Igor Panarin, consulente del segretariato della Csto per la cooperazione politica

La situazione nel Paese

Le violenze nel Paese hanno preso il via contro il caro-gas fino a diventare poi espressione del malcontento verso lo Stato. Molti nelle strade hanno urlato slogan per chiedere la definitiva uscita di scena di Nazarbayev. Dopo le dimissioni nel 2019, è stato nominato ‘leader della nazione’ e ha mantenuto grande potere in qualità di capo del Consiglio di sicurezza nazionale. Forse in un tentativo di placare le proteste, Tokayev nei giorni scorsi l’ha rimosso dall’incarico. Per giorni, nel corso delle manifestazioni, Nazarbayev è rimasto in silenzio e si sono diffuse voci di una sua presunta uscita dal Paese. Invece, il suo portavoce ha fatto sapere che si trova nella capitale e “chiede a tutti di raccogliersi attorno al presidente” Tokayev “per superare le sfide attuali e garantire l’integrità del Paese”.

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Ieri l’ex capo dell’intelligence del Kazakistan e alleato dell’ex presidente Nazarbayev, Karim Masimov, è stato arrestato alto tradimento. Accusa legata al tentativo di rovesciare il governo, nel contesto delle violente proteste innescate dall’aumento del prezzo del gas. Ad annunciare l’arresto è stata la Commissione per la sicurezza nazionale, presieduta sinora dallo stesso Masimov.

Una scelta di campo

La “rivolta del gas” s’internazionalizza, ha titolato ieri  Globalist. Di grande interesse in proposito l’analisi di Davide Cancarini su il Fatto quotidiano.it: “La vera sorpresa della vicenda – annota Cancarini – si è avuta quando il presidente kazaco Kassym-Jomart Tokayev ha invocato il supporto militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) per tenere a bada le mobilitazioni, fattesi ora dopo ora sempre più partecipate e accese. Si tratta di un’alleanza di sicurezza guidata dalla Russia e composta, oltre a quest’ultima, da Kazakistan, Bielorussia, Armenia, Kirghizistan e Tagikistan. Esiste dal periodo immediatamente successivo al dissolvimento dell’Unione Sovietica, ma fin dalla sua nascita si era dimostrata estremamente carente (per usare un eufemismo) dal punto di vista operativo. E le occasioni di intervento non sono mancate, basti pensare alle rivoluzioni del 2005, 2010 e 2020 in Kirghizistan o al conflitto tra Armenia e Azerbaigian del 2020 legato al Nagorno-Karabakh. Ma l’inazione questa volta non c’è stata. Poche ore dopo la richiesta del successore di Nursultan Nazarbayev, circa 4mila militari provenienti da vari Paesi aderenti all’organismo, ma soprattutto russi, sono infatti giunti sul territorio kazaco. Scatenando da più parti critiche, arrivate anche dagli Stati Uniti, e sicuramente creando ulteriore insofferenza nella popolazione kazaca che in larga parte vede negativamente la sudditanza rispetto alla Russia.

Difficile capire il loro effettivo ruolo sul terreno, ma il significato geopolitico di tale operazione è difficilmente sottostimabile. Inutile nascondere che Csto è in sostanza sinonimo di Russia e che probabilmente proprio Vladimir Putin uscirà vincitore dalla vicenda. Innanzitutto perché l’intervento militare non dovrebbe protrarsi a lungo, dispendio limitato che accresce ancora di più il valore del risultato politico ottenuto da Mosca. Il Kazakistan è infatti da decenni un alleato di ferro del Cremlino, con particolare riferimento al settore energetico e della sicurezza, ma quanto sta accadendo nel Paese centro asiatico porterà questo legame a un livello ancora superiore. In sostanza, Tokayev ha sacrificato la sovranità nazionale kazaca mettendo nelle mani di Putin la sopravvivenza del suo regime.

E si può star certi che quest’ultimo saprà far pesare in maniera più o meno esplicita il suo ruolo nella tenuta – per ora presunta, ma con il passare delle ore altamente probabile – del governo di Nur-Sultan. Sulla falsariga di quanto l’inquilino del Cremlino fa con l’Europa sul fronte energetico, sfruttando politicamente, ogni volta che ne ha l’occasione, il ruolo di principale fornitore di gas naturale dell’Ue. Non va dimenticato inoltre che Russia e Kazakistan condividono uno dei più lunghi confini terrestri al mondo – 7mila chilometri – e che la parte settentrionale del territorio kazaco è un’area da sempre a maggioranza russofona. Insomma, i modi per ottenere compensazione a Putin non mancano.

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La Cina, dal canto suo – rimarca ancora Cancarini –  rimane per ora alla finestra. L’appoggio ufficiale di Xi Jinping a Tokayev è arrivato durante una telefonata tra i due, ma senza dubbio la decisione del presidente kazaco di guardare immediatamente alla Russia per ottenere aiuto non è passata inosservata a Pechino. Il Kazakistan è infatti molto vicino anche alla Repubblica Popolare. A livello innanzitutto logistico, con le Vie della Seta cinesi che hanno nel Paese uno snodo fondamentale. Non a caso, proprio dal territorio kazaco, Xi ha lanciato il progetto nel 2013 e dall’indipendenza del Paese centro asiatico i cinesi vi hanno investito decine di miliardi di dollari. Ma anche a livello energetico: circa un quinto del gas naturale importato dalla Cina deriva o comunque transita per il Kazakistan e Pechino ha in Nur-Sultan uno dei principali fornitori anche di petrolio e rame. Le autorità cinesi hanno mostrato ottimismo circa la tenuta di questi scambi nel breve periodo, ma molte compagnie internazionali, tra cui la Chevron, hanno dichiarato grandi difficoltà nel portare avanti le proprie operazioni nel mezzo della tempesta politica e sociale kazaca. La vicinanza di Cina e Kazakistan è anche sul fronte della sicurezza. La Repubblica centro asiatica è infatti anche uno dei membri fondatori della Sco – Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – a guida cinese. Che ha uno scopo diverso dalla Csto, esplicitamente un’alleanza difensiva, ma alla quale comunque Tokayev avrebbe potuto rivolgersi per un supporto. Soprattutto considerando che il presidente kazaco ha parlato di (non meglio precisate) ‘infiltrazioni terroristiche’dietro alle mobilitazioni e che la Sco ha tra i suoi obiettivi principali proprio l’attività di antiterrorismo.

Sulla base anche di queste considerazioni, la decisione di Tokayev di invocare l’intervento della Csto sembra una vera e propria scelta di campo (geo)politica. Anche perché dal punto di vista strettamente militare, è difficile pensare che poche migliaia di soldati possano fare la differenza in un Paese, come il Kazakistan, dove i tagli al budget non hanno mai riguardato le forze di sicurezza. Il presidente kazaco ha probabilmente visto in Putin l’unico alleato in grado di garantirgli il mantenimento del potere, sia rispetto all’insofferenza della popolazione che a quella di altri membri della nomenklatura. Il risultato sembra essere stato raggiunto, perlomeno nel breve periodo. Ma è più avanti che i veri costi occulti di questa scelta emergeranno con forza”, conclude Cancarini. 

Il risultato, aggiungiamo noi,  è che cambiano i Paesi  dell’ex impero sovietico che finiscono in “an”, ma il dominus resta sempre lo stesso: regna al Cremlino  Il suo nome è Vladimir Putin.

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