"Finché c'è guerra c'è speranza": così la politica con l'elmetto arricchisce i fabbricanti d'armi
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"Finché c'è guerra c'è speranza": così la politica con l'elmetto arricchisce i fabbricanti d'armi

Approvato un Ordine del giorno collegato al cosiddetto “Decreto Ucraina” proposto dalla Lega e sottoscritto da deputati di Pd, Fi, Iv, M5S e FdI che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento

"Finché c'è guerra c'è speranza": così la politica con l'elmetto arricchisce i fabbricanti d'armi
Armi in Ucraina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Marzo 2022 - 12.34


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Nella vagonata di paginate dedicate dai giornali alla guerra d’Ucraina, la notizia, tranne le solite, encomiabili, eccezioni, è stata marginalizzata dalla stampa mainstream. Eppure la notizia è indicativa di ciò che può passare in questi tempi in cui in tanti hanno calzato l’elmetto.

Più spese militari

La notizia: ieri mattina la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari) un Ordine del giorno collegato al cosiddetto “Decreto Ucraina” proposto dalla Lega Nord e sottoscritto da deputati di Pd, Fi, Iv, M5S e FdI che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Prodotto lnterno Lordo. Nella parte dispositiva del testo approvato si legge come tale risultato dovrebbe essere raggiunto “predisponendo un sistema di aumento stabile nel tempo che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione “mentre nell’immediato si debba agire per “incrementare alla prima occasione il Fondo per le esigenze di difesa nazionale”.

“Ciò significherebbe – come decodifica Enrico Piovesana su Osservatorio Mil£x –  citando le cifre fornite dal Ministro della Difesa Guerini, passare dai circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Nel corso della stessa seduta è stato anche approvato l’Ordine del giorno a firma Gagliardi che chiede un “incremento della spesa annuale complessiva del settore difesa in misura non inferiore al 3,5 per cento del totale del bilancio finale dello Stato”. Allo stato attuale delle cose, anche considerando il totale della spesa pubblica compresi gli interessi sul debito, ciò configurerebbe una spesa minima di circa 26,5 miliardi di euro quindi abbastanza prossima al livello attuale di spesa militare (e molto inferiore alla linea derivante dal rapporto del 2% con il PIL).

Ricordiamo che l’indicazione di spesa di almeno il 2% del PIL in ambito NATO deriva da un accordo informale del 2006 de Ministri della Difesadei Paesi membri dell’Alleanza poiconfermato e rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014in Galles (obiettivo da raggiungere entro il 2024), in cui si è anche indicata una quota del 20% di tale spesa da destinarsi ad investimenti in nuovi sistemi d’arma. Queste dichiarazioni di intenti al momento non stono mai state ratificate formalmente dal Parlamento italiano con un voto avente forza legislativa e quindi non costituiscono un obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato. Inoltre la quota indicata del 2% rispetto al PIL non ha mai avuto una giustificazione specifica e di natura militare (dettata da esigenze operative) ma è stata usata come spinta alla crescita della spesa. Va infine notato che collegare preventivamente un livello di spesa pubblica con un parametro che comprende anche la produzione di ricchezza privata, ed è soggetto a fluttuazioni indipendenti dalle decisioni fiscali, rende del tutto aleatoria e scollegata da reali esigenze la definizione tecnica e concreta di tale spesa”.

Crescita continua

Francesco Vignarca è tra i più stimati analisti di spese militari. E lo conferma con questo report per Osservatorio Mil£x: 

“Anche per il bilancio previsionale dello Stato per il 2022 continua la robusta crescita del budget per il Ministero della Difesa e della spesa militare complessiva. Le discussioni sui fondi in discussione in Parlamento non intervengono dunque su decisioni di spesa derivanti dal passato (in particolare dai fondi pluriennali di investimento destinati in grande misura alla Difesa) che mettono a disposizione del comparto militare circa 850 milioni di euro in più.

L’aumento per l’anno 2022 ancora una volta netto e rilevante viene trainato dal bilancio proprio del Ministero della Difesa che sfiora complessivamente i 26 miliardi di euro (25.935 milioni per la precisione) con una crescita di 1.352 milioni di euro (+5,4% rispetto al 2021). Ancora più del solito si tratta, come già accennato, di un aumento derivante da decisioni prese in passato: già il bilancio a legislazione vigente prevedeva per il Ministero della Difesa un totale complessivo di 25.904 milionidunque solamente ritoccato per circa 31 milioni dalle decisioni in discussione in manovra (Sezione I della Legge di Bilancio).

Le voci interne del Bilancio della Difesa vedono aumenti tra i 150 e i 200 milioni di euro per Marina Militare e Carabinieri, una flessione di 90 milioni per l’Aeronautica Militaree una sostanzialeconferma del budget per l’Esercito. Ben più robusto l’aumento di stanziamento per i capitoli complessivamente afferenti a Stato Maggiore e Segretariato Generale della Difesa (insieme agli uffici politici e di bilancio): circa un miliardo e duecento milioni di euro in crescitadeterminati soprattutto, come vedremo, da stanziamenti per il procurement di nuovi sistemi d’armamento. Come da sempre sottolineiamo, l’importototale del Bilancio della Difesa è solo il punto di partenza per valutare la spesa militare italiana complessiva, che deve registrare in più cifre iscritte presso altri ministeri (principalmente il fondo per le Missioni militari all’estero che viene istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e i fondi che il Ministero per lo Sviluppo Economico mette a disposizione per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma) e deve invece vedere sottratta per coerenza di destinazione e tipologia di utilizzo la grande maggioranza del bilancio dell’Arma dei Carabinieri (per lo specifico ruolo che gioca tale struttura, in particolare la parte forestale) che viene considerata solo per la componente legata alle missioni all’estero. La nuova Metodologia dell’Osservatorio Mil£x sulla spesa militare, aggiornata e migliorata nel 2021, prevede inoltre altre considerazioni (quota parte costo basi USA, ammortamenti mutui su spesa armamenti MISE, impatto delle pensioni militari) portando ad una valutazione tendenziale della spesa militare complessiva “diretta” per il 2022 di circa 25,82 miliardi di euro(che diventano 26,49 miliardi con ulteriori costi indiretti). Ciò significa un aumento di 849 milioni rispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2021 con una crescita percentuale del 3,4% rispetto all’anno precedente e di addirittura dell’11,7% sul 2020 e del 19,6% sul 2019.

Come è evidente dalle voci principali, ancora una volta siamo di fronte ad un aumento legato in particolare a nuovi investimenti in sistemi d’arma con fondi che oltretutto vengono sempre più messi direttamente a disposizione della Difesa, mentre si riduce la quota parte destinata ad investimenti militari sul bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico.

Come ogni anno i dati sono raggruppati in macro voci e non forniscono alcun dettaglio su quali siano i sistemi d’armamento che verranno acquisiti (come invece viene poi fatto nel Documento Programmatico Pluriennale del Ministero della Difesa) ma la destinazione è chiara: sui capitoli specificamente legati all’investimento troviamo poco oltre i 5,39 miliardi di euro (in crescita di ben 1,3 miliardi) allocati nel Bilancio del Ministero della Difesa e 2,89 miliardi complessivi (- 350 milioni rispetto allo scorso anno) in quello del Ministero per lo Sviluppo Economico, che comprendono tra gli altri fondi anche 105 milioni per gli interessi sui mutui accesi dallo Stato per conferire in anticipo alle aziende le cifre stanziate per specifici progetti d’arma pluriennale. Ciò porta dunque ad unnuovo record di fondi destinati all’acquisto di nuove armi che arrivano ad un totale di 8,27 miliardi, superiore di un miliardo (+13,8%) alla cifra complessiva del 2021 (che a sua volta costituiva un massimo storico) e con un salto del 73,6% negli ultimi tre anni (+3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019).

Questo ultimo dato è conseguente alla quantità senza precedenti di nuovi programmi di riarmo che il Ministero della Difesa sta sottoponendo al Parlamento a ritmo serrato e che quindi saranno avviati il prossimo anno.

Il trascinamento verso l’alto delle spese militari è dunque determinato dall’acquisto di nuove armi con un effetto sempre più marcato dei fondi pluriennali di investimento definiti con tempistica precedente all’impatto della pandemia (e quindi nemmeno debitori dei soldi derivanti dal Pnrr) ma non toccati in alcun modo dal Governo negli ultimi due Bilanci dello Stato”.

Fin qui Vignarca

L’Europa militarizzata

Di grande interesse è il report di Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd). “A pochi giorni dalla decisione dei leader europei di aumentare drasticamente le spese militari al vertice di Versailles, un nuovo rapporto dello European Network Againsta Arms Trade ENAAT (di cui Rete Italiana Pace e Disarmo fa parte) e del Transnational Insitute rivela come i primi programmi di difesa dell’UE, del valore di quasi 600 milioni di euro, siano inficiati da conflitti d’interesse, accuse di corruzione e siano notevolmente al di sotto degli standard etici e legali più elementari.

Il Rapporto rileva che nove dei 16 rappresentanti dell’organo consultivo dell’UE che ha portato alla creazione del bilancio militare erano affiliati all’industria delle armi. Otto di queste entità – Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA, Saab, Fraunhofer e TNO – hanno finora ricevuto oltre 86 milioni di euro o il 30,7% del totale, anche se l’importo finale sarà probabilmente molto più alto una volta che l’intero bilancio sarà assegnato. “Il processo decisionale dell’UE è stato indirizzato da aziende altamente lucrative che sfruttano gli spazi politici per il proprio guadagno” avverte Niamh Ní Bhriain, coordinatore del programma al Transnational Institute. Cinque degli otto maggiori beneficiari – Leonardo, Safran, Thales, Airbus e Saab – sono stati coinvolti in numerose accuse di corruzione, mentre i sette maggiori beneficiari sono coinvolti in esportazioni di armi altamente controverse verso Paesi che vivono conflitti armati o dove sono in vigore regimi autoritari e le violazioni dei diritti umani sono diffuse. “Il fatto che l’UE potrebbe finanziare entità coinvolte in affari di armi controverse, produttori di armi nucleari, o che sono stati esposti per corruzione, solleva seri interrogativi sulle procedure di approvazione dell’UE”, sottolinea Alexandra Smidman, ricercatrice associata di Shadow World Investigations.

L’UE sta finanziando nuovi sistemi d’arma che spesso si basano su tecnologie “intelligenti” come i sistemi automatici senza equipaggio o l’intelligenza artificiale, che rimangono in gran parte non regolamentati dall’UE. “Questi progetti sono controversi perché potrebbero potenzialmente cambiare la condotta della guerrarendendo le leggi della guerra obsolete”, avverte Pere Brunet, ricercatore del Centro Delàs per gli studi sulla pace.
Eppure i controlli applicati dall’UE per approvare il finanziamento di armi letali non rispettano nemmeno i più elementari standard legali ed etici, con l’ufficio del Mediatore che esprime preoccupazione per l’assenza di una valutazione dettagliatadella loro conformità al diritto internazionale. “Questa è una deregolamentazione de facto di uno dei bacini di denaro più letali di Bruxelles”, aggiunge Joaquin Rodriguez, professore associato all’Università Autonoma di Barcellona.


Il rapporto dettaglia la mancanza di trasparenza e di controllo democratico nel modo in cui vengono approvati i finanziamenti della Commissione europea.“Dato che questi progetti sono destinati a creare armi e altri sistemi militari che potrebbero essere usati dagli eserciti in Europa e oltre, è necessaria una rigorosa supervisione pubblica”, dice Laëtitia Sédou, responsabile del programma della Rete europea contro il commercio di armi.
La gran parte dei finanziamenti stanziati finora va alle aziende situate nei maggiori Paesi esportatori di armi dell’UE, vale a dire Francia, Germania, Italia e Spagna, cui è stato assegnato il 68,4% del bilancio. “La spesa militare dell’UE mira esplicitamente a rafforzare l’industria della difesa europea, che aumenterà le sue esportazioni di armi, alimenterà una corsa globale alle armi e porterà a più guerre, distruzione e morte”, sostiene Mark Akkerman, ricercatore di Stop Wapenhandel”.

Insomma, aggiungiamo noi, per questo mondo riarmista, vale il titolo di un memorabile film di e con Alberto Sordi: Finché c’è guerra c’è speranza. Il film è del 1974. Quarant’otto anni dopo andrebbe rivisto. E meditato. 

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