L'Italia e le armi all'Ucraina: una democrazia "secretata"
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L'Italia e le armi all'Ucraina: una democrazia "secretata"

Mandiamo armi all’Ucraina. Ma non diciamo quali. A differenza di altri Paesi occidentali che hanno reso pubblico il tipo di armamenti forniti alla resistenza ucraina.

L'Italia e le armi all'Ucraina: una democrazia "secretata"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Aprile 2022 - 17.30


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Siamo in guerra, de facto. Ma il Parlamento non lo sa. O finge di ignorarlo. Ciò che sta avvenendo è qualcosa che non è degno di un Paese che si vuole democratico. 

Secretata la democrazia

Mandiamo armi all’Ucraina. Ma non diciamo quali. A differenza di altri Paesi occidentali che hanno reso pubblico il tipo di armamenti forniti alla resistenza ucraina. Lo hanno fatto gli Stati Uniti. Lo ha fatto la Germania. Lo ha fatto la Gran Bretagna. Lo ha fatto la Francia. Ha parlato Biden. Ha parlato Scholz. Ha parlato, pure troppo, Johnson. Ha parlato Macron. E Draghi? Silente. Un silenzio tombale. Inquietante. E ancor più inquietante è il silenzio delle istituzioni rappresentative: i due rami del Parlamento.

“Vincolo di segretezza” sulle armi dall’Italia per l’Ucraina. Nel corso dell’audizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, oltre due ore al Copasir, si sono condivisi “i contenuti del secondo decreto interministeriale che autorizza la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell’Ucraina, sui quali il Comitato ha convenuto con il governo nella apposizione del vincolo di segretezza, e gli esiti della riunione svoltasi nella base americana di Ramstein in Germania lo scorso 26 aprile con la partecipazione dei Paesi alleati nel sostegno al governo di Kiev”. Lo rende noto il presidente del Copasir, senatore Adolfo Urso. “Inoltre, con il ministro si sono approfondite le tematiche inerenti le due indagini conoscitive che il Comitato sta conducendo sulle prospettive di sviluppo della difesa comune europea e della cooperazione tra i Servizi di intelligence e sul dominio aerospaziale quale nuova frontiera della competizione geopolitica”, conclude Urso.

“E’ giusto che il presidente del Consiglio e il ministro della Difesa vengano in Parlamento e che ci sia un chiarimento sull’indirizzo politico che l’Italia porta nei tavoli internazionali”. Così il leader M5S Giuseppe Conte a Piazzapulita, parlando del conflitto in Ucraina. “Non si difendono le proprie terre a mani nude. E’ chiaro che Zelensky e gli ucraini devono difendere le proprie terre” ma “a me sembra si stia andando verso una escalation militare – dice Conte – dove ci sono forze politiche, militari, convinte di andare verso questa escalation” e che puntano a un cambio di regime, “però attenzione: il nostro obiettivo è questo o difendere il diritto dell’Ucraina all’integrità territoriale e all’autodeterminazione?”, afferma il leader M5S a proposito dell’invio di armi pesanti a Kiev. “Noi vogliamo una escalation diplomatica”, rimarca l’ex premier.

Cronologia degli eventi

Il 27 aprile è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale un secondo decreto del Ministero della Difesa che, insieme ai ministeri degli Esteri e dell’Economia, ha autorizzato la “cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari” all’Ucraina, per difendersi dall’invasione russa iniziata il 24 febbraio.
Queste armi “sono ceduti a titolo non oneroso», ossia senza costi per l’esercito ucraino, ma la lista con gli armamenti da inviare non è pubblica, in quanto è considerata un «documento classificato”. La stessa decisione era stata presa a inizio marzo, con il primo decreto del ministero della Difesa con cui era stato autorizzato  l’invio di armi all’Ucraina, attirando le critiche di alcune associazioni umanitarie.
Il 4 marzo Amnesty International scritto sui social: “ Il governo ha secretato la lista di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari che cederà all’Ucraina. L’Italia è tenuta a rispettare i principi di trasparenza e protezione dei diritti umani. Gli equipaggiamenti non devono essere usati indiscriminatamente”. 
Come funziona l’invio di armi

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In base al decreto “Ucraina”, convertito in legge a inizio aprile, fino al 31 dicembre 2022 il ministero della Difesa è autorizzato   a inviare mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina «previo atto di indirizzo della Camere» e in deroga a quanto previsto dalla legge n.185 del 1990, che regola le esportazioni di armi dall’Italia. Tra le altre cose, questa legge vieta che il nostro Paese possa esportare armamenti a un Paese in guerra, come lo è l’Ucraina in questo momento, salvo aver ottenuto, appunto, un permesso concesso dal Parlamento. Il 1° marzo sia la Camera sia il Senato hanno approvato a larga maggioranza due risoluzioni, per autorizzare l’invio di strumenti militari che consentano all’Ucraina di «esercitare il proprio diritto alla legittima difesa» e di «proteggere» la propria popolazione.
Come anticipato, il primo decreto del Ministero della Difesa è stato pubblicato  in Gazzetta ufficiale il 2 marzo, mentre il secondo il 27 aprile. Secondo fonti stampa, il governo sarebbe al lavoro per approvare un terzo decreto, con armi più pesanti rispetto a quelle autorizzate finora.

Perché la lista delle armi all’Ucraina è segreta

Nessuno dei due decreti ad oggi firmati dal Ministero della Difesa spiegano perché la lista di armi inviata all’Ucraina sia stata secretata. Il testo di entrambi i provvedimenti, nella sezione “Allegato”, quella che dovrebbe contenere la lista degli armamenti, recitano infatti soltanto: «Se ne omette la pubblicazione in quanto documento classificato». Il 2 marzo, sulla questione, è intervenuto il ministero guidato da Lorenzo Guerini (Partito democratico) per commentare le indiscrezioni uscite su alcuni quotidiani riguardo il tipo di armi mandato all’Ucraina. ​“In merito alle notizie pubblicate da alcune testate giornalistiche riguardanti il decreto sugli aiuti militari da inviare in Ucraina, si ribadisce che il contenuto dello stesso è stato secretato per ovvi motivi di riservatezza, trattandosi di materiale sensibile”, aveva sottolineato il ministero della Difesa in un comunicato. “Ogni ipotesi pubblicata, dunque, è da considerarsi basata su valutazioni prive di qualsiasi riscontro ufficiale e oggettivo”. Secondo le ricostruzioni giornalistiche fatte in questi giorni, il primo e il secondo decreto sulle armi all’Ucraina conterrebbero tipologie di mezzi, equipaggiamenti e armamenti simili tra loro. Tra questi, ci sarebbero mitragliatrici pesanti e leggere, giubbotti antiproiettile, razioni di cibo giornaliere, munizioni e i missili Stinger. Quest’ultimi sono missili terra-aria, che possono essere sparati tenuti sulle spalle, verso obiettivi aerei che volano a basse quote.

Gianluca Di Feo, è uno dei giornalisti più informati quanto alle questioni militari.

Scrive su Repubblica il 20 aprile: “Francia, Olanda e Belgio si preparano a donare semoventi molto più moderni di quelli d’origine sovietica in dotazione all’esercito di Kiev: obici Caesar, M109 e Pzh 2000. Sistemi che hanno la stessa caratteristica di quelli regalati da Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada: impiegano proiettili Nato da 155 millimetri, superiori alle munizioni russe e con la possibilità di usare apparati di guida tali da renderli precisi come missili. Quasi tutti i Paesi hanno previsto anche scorte di munizioni: solo dagli Usa partiranno 144 mila colpi. L’esercito italiano dispone di molti cannoni semoventi M109 di questo calibro, accantonati alla fine della Guerra Fredda: il Comando Interforze ne sta verificando le condizioni, per capire quanto tempo sia necessario per renderli operativi. Il nostro Paese infatti ne aveva circa trecento, 221 dei quali sottoposti a un programma d’aggiornamento nei primi anni Novanta. Da circa vent’anni risultano in riserva, quasi tutti nel deposito di Lenta (Vercelli): almeno una settantina è stata venduta al Pakistan e dieci sono stati dati a Gibuti, in cambio della concessione di una base. I rimanenti però richiedono lavori che potrebbero durare mesi. Esclusa invece l’eventualità di imitare l’Olanda e mandare i modernissimi Pzh 2000: ne abbiamo soltanto settanta.

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 L’ipotesi di concedere alcune autoblindo da battaglia Centauro, che hanno otto ruote motrici e un cannone in grado di affrontare i carri armati, pone invece problemi di munizionamento – utilizzano i 105 millimetri, non presenti in Ucraina – e la necessità di un lungo addestramento degli equipaggi. Più semplice invece recuperare i vecchi cingolati per trasporto truppe M113: gli Stati Uniti ne daranno duecento e nei nostri magazzini dovrebbero ancora essercene parecchi in condizioni valide, impiegati ormai solo per compiti secondari. Ancora più immediata sarebbe la consegna dei fuoristrada Iveco Lince a prova di mina, che hanno una blindatura leggera. Gli ucraini ne hanno catturati una dozzina ai russi, che li hanno prodotti su licenza e li stanno impiegando al fronte, e ne sono entusiasti. Le nostre forze armate ne hanno oltre duemila, in parte destinati a essere sostituiti da un nuovo modello, e non richiedono una preparazione particolare.

 Un’ultima valutazione riguarda le autoblindo Puma a sei ruote motrici: ce ne sono più di trecento, praticamente nuove ma accantonate perché in Afghanistan si sono dimostrate vulnerabili alle mine. Sono però mezzi semplici e robusti, che potrebbero ancora dare protezione ai fanti ucraini nei combattimenti urbani.

 L’esame dei tecnici militari su questi armamenti dovrebbe avvenire entro la prossima settimana e trasmesso al ministero della Difesa. Poi sarà il governo a trarre le conclusioni sulla quantità e la qualità del sostegno italiano alla resistenza contro l’invasione”.

Così Di Feo.

Quei pacifisti preveggenti

Il 7 marzo scorso, la Rete Italiana Pace e disarmo (Ripd), licenzia questo comunicato: “Fonti di stampa hanno dato notizia che due C-130J “Hercules” dell’Aeronautica militare italiana sono partiti nei giorni scorsi dall’aeroporto di Pisa diretti allo scalo polacco di Rzeszow/Jasionka, a un centinaio di chilometri dalla frontiera ucraina. La rete degli spotter ha segnalato inoltre altri voli militari partiti dall’Italia. Secondo una nostra ricostruzione, quello in corso sembra configurarsi come un vero e proprio “ponte aereo”militare internazionale verso la base di Rzeszow, nella Polonia orientale, dove già dai primi di febbraio opera un comando logistico Usa. Su Rzeszow stanno convergendo aerei provenienti anche da altri paesi, in particolare dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio, dalla Spagna, dal Canada. Per quanto riguarda l’Italia, si tratta di un rapido incremento dei voli giornalieri dell’Aeronautica Militarea destinazione Rzeszow, che ha riguardato anche l’impiego di velivoli normalmente di stanza a Pratica di Mare e Grosseto.

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In considerazione dell’impiego di personale militare italiano nel trasporto di materiali militari per il conflitto in corso in Ucraina, tra Paesi non appartenenti alle alleanze militari che impegnano il nostro Paese, la Rete Italiana Pace e Disarmo, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e The Weapon Watch chiedono al Governo di comunicare al Parlamento tutte le operazioni in corso informando riguardo alle tipologie di materiali militari che vengono inviati in Polonia e i destinatari e utilizzatori finali ucraini di tali materiali militari.

Invitano inoltre deputati e senatori a esercitare il diritto-dovere di controllo, attraverso apposite interpellanze, per essere informati dal Governo sulle attività militari che il nostro Paese sta compiendo e che possono configurare una partecipazione al conflitto in corso in Ucraina.

Chiedono, inoltre, al Governo italiano di includere tra le sanzioni verso la Federazione Russa tutte le armi e munizioni anche quelle classificate di “tipo comune”, non soggette all’embargo di materiali militari dell’Unione Europea in vigore dal 1 agosto del 2014 e di farsi promotore di questa iniziativa a livello comunitario affinché sia al più presto adottata da tutti i paesi dell’Unione. Armi e munizioni di tipo comune continuano, infatti, ad essere inviati in Russia: queste tipologie di armi e munizioni non riguardano solo quelle per l’attività sportiva o venatoria, ma comprendono armi semiautomatiche e relativo munizionamento utilizzato da corpi para-militari, da compagnie di sicurezza privata e mercenarie.

Ribadiscono la più ferma condanna per l’aggressione militare della Federazione Russa all’Ucraina, la contrarietà all’invio di armi e materiali militari alle forze armate e a civili ucraini e ad ogni contributo, diretto o indiretto, di tipo militare del nostro Paese che riguardi il conflitto in corso.

Esprimono la massima solidarietà alle popolazioni coinvolte nel conflitto e sostengono tutti gli sforzi della società civile pacifista e dei lavoratori e lavoratrici in Russia e in Ucraina che si oppongono alla guerra con gli strumenti della nonviolenza.

La risoluzione del conflitto è possibile solo con la “neutralità attiva”, attivando tutti gli strumenti diplomazia ufficiale e popolare, con la pressione internazionale, il disarmo, il sostegno alle forme di trasformazione nonviolenta dei conflitti, il superamento delle attuali alleanze militari, l’opposizione alla militarizzazione e soprattutto proteggendo le persone che sono le principali vittime di ogni guerra”.

Da quel 7 marzo sono passati 53 giorni. La risposta venuta dal Governo, e avallata dalla stragrande maggioranza dei parlamentari, è la “secretazione”. Della democrazia, e non solo degli armamenti forniti all’Ucraina. E poi dicono che il problema sono l’Anpi, la Cgil, i pacifisti.

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