Nato allargata, quel "sì" sulla pelle dei curdi: Erdogan il ricattatore di Ankara e il tradimento dell'Occidente
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Nato allargata, quel "sì" sulla pelle dei curdi: Erdogan il ricattatore di Ankara e il tradimento dell'Occidente

Per il suo sì all’ingresso di Finlandia e Svezia, Erdogan esige in primo luogo l'estradizione di una serie di cittadini di etnia curda: Ankara li considera terroristi ma quasi tutti hanno status di rifugiati

Nato allargata, quel "sì" sulla pelle dei curdi: Erdogan il ricattatore di Ankara e il tradimento dell'Occidente
Combattenti curdo-siriane delle Ypj
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31 Maggio 2022 - 16.19


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Un sì sulla pelle dei curdi. Uno spregevole baratto vistato dalla liberale, democratica America. 

Il secondo tradimento dell’Occidente

Il Sultano di Ankara, al secolo Recep Tayyp Erdogan, usa l’arma che più gli è congenita: quella del ricatto. Per il suo sì all’ingresso di Finlandia e Svezia, Erdogan esige in primo luogo l’estradizione di una serie di cittadini di etnia curda: Ankara li considera terroristi ma quasi tutti hanno status di rifugiati e una di loro  – la curdo iraniana Amineh Kakabaveh che ad appena 13 anni si unì ai guerriglieri della Komala, prima di rifugiarsi in Svezia – dal 2008 a Stoccolma siede perfino in parlamento. Tra le numerose richieste della Turchia, in questo difficile rompicapo negoziale, c’è poi l’immediata cessazione dei finanziamenti verso le “formazioni armate del terrorismo curdo”: il riferimento è ai combattenti curdo-siriani del Pyd, ai quali parecchi stati europei inviarono armi tra il 2014 e il 2017, quando i curdi erano di fatto divenuti “fanteria di terra dell’occidente” contro lo Stato Islamico in Siria. Una simpatia, quella tra i curdo siriani e l’Occidente, che Erdogan non ha mai digerito: dopo l’offensiva militare sui “cantoni” di Afrine nell’area di HasakahSerekanye/Ras-al-Ayn (parte dell’enclave curdo-siriana del Rojava)  da settimane i jet di Ankara stanno bombardando anche la zona di Kobane, proprio dove la lunga battaglia con l’Isis ebbe inizio.

Rivolgendosi a Erdogan, la premier svedese Magdalena Andersson  (il cui paese negli anni 80 fu tra i primi in Europa a includere il Pkk tra le sigle terroriste) si è mostrata per ora ferma circa la volontà di non considerare terroristi i cittadini curdi a cui in passato Stoccolma ha concesso asilo, né tantomeno i curdo siriani del Rojava, ribadendo come la Svezia “non ha finanziato alcun gruppo terrorista armato”.

Il ricattatore di Ankara

Lo spiega molto bene Alfonso Bianchi in un documentato report su Europatoday: […]Recep Tayyip Erdogan non è nuovo ai baratti, per non dire ricatti, politici. Il presidente della Turchia nel 2016 si offrì di ospitare nel suo Paese i rifugiati in fuga dalla guerra in Siria, per evitare che entrassero in Europa. E questa offerta fu fatta in cambio di ingenti finanziamenti da parte di Bruxelles, che gli appaltò de facto la gestione dei flussi migratori nella rotta balcanica.

Adesso sta facendo qualcosa di simile con la richiesta di accesso nella Nato di Svezia e Finlandia, su cui ha posto un veto fino a quando non verranno accolte due sue richieste fondamentali: la consegna da parte dei due Paesi di 33 persone considerate terroristi da Ankara, e che le due nazioni revochino il divieto di esportazione di armi imposto nell’ottobre del 2019 dopo l’incursione turca nel nord della Siria. E l’obiettivo di entrambe le richieste sono i curdi, perché curdi sono i presunti terroristi che Erdogan vorrebbe catturare, e curdi sono i miliziani dell’Ypg che in Siria nel 2019 la Turchia voleva colpire (e che è tornato a colpire il mese scorso). Gli stessi curdi con cui gli Stati Uniti hanno combattuto fianco a fianco contro gli integralisti dell’Isis, fino a quando Donald Trump non decise di abbandonarli, ritirando le sue truppe e la protezione che la loro presenza assicurava. La Turchia, membro della Nato dal 1952, accusa in particolare la Svezia di ospitare e proteggere membri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), una milizia che ha condotto una lotta armata per l’indipendenza del Kurdistan dagli anni ’80, e il cui leader Abdullah Ochalan è in una prigione turca (tra l’altro catturato dopo che l’Italia lo cacciò dal nostro Paese nel 1999, quando al governo c’era Massimo D’Alema). Ma la Turchia accusa anche Stoccolma di ospitare membri di un movimento islamico il cui leader, Fethullah Gulen, vive negli Stati Uniti in esilio e che Ankara accusa di essere dietro il tentativo di colpo di Stato che ha scosso la Turchia nel 2016.

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Jonathan Eyal, direttore associato del think tank Rusi, ha affermato che Erdoğan “sfrutta le situazione di limite”, come quella appunto che si sta verificando alla Nato, dove il suo ok è necessario, visto che l’ammissione di un nuovo Paese richiede l’unanimità, dando a Erdogan di fatto un potere di veto, e ama operare “sfruttando il rischio calcolato”. Per Eyal fare la voce grossa è anche un modo per riaccendere i consensi dei nazionalisti nel Paese, visto che il suo gradimento è in calo con l’inflazione al 66,9% e le elezioni sono previste per l’estate. “Molte delle sue richieste sul Pkk sono una musica già sentita. Ha ragioni interne per opporsi agli Usa. L’economia è a pezzi e la sua popolarità è ai minimi storici”. Dello stesso parere Paul Levin, il direttore fondatore dell’Istituto universitario di Stoccolma per gli studi turchi. “Erdogan non sta andando bene nei sondaggi. Sembra che stia perdendo”, e questa battaglia “potrebbe anche essere qualcosa che piace a un’ampia parte della popolazione turca”, ha detto a Euronews. Sebbene esista davvero una vasta diaspora curda in Svezia e in altri paesi nordici, lì il Pkk è stato classificato come un’organizzazione terroristica e non gli è consentito operare liberamente. Molti dei militanti che Erdogan vorrebbe estradare però hanno chiesto il diritto d’asilo, e le legislazioni di quelle nazioni sono molto precise per quanto riguarda i rifugiati e i loro governi non possono certo cambiarle per accontentare Ankara. Non subito almeno. “Questo episodio ricorda il 2009, quando Erdoğan disse che non avrebbe permesso ad Anders Rasmussen di essere nominato segretario generale della Nato a meno che la Danimarca non avesse chiuso una stazione televisiva curda. Rasmussen è stato nominato comunque, ma un anno dopo la nomina la stazione televisiva è stata chiusa”, ha ricordato Eyal”.

Così Grasso.

Manovre “silenziate”

Il mese scorso, mentre l’attenzione della comunità internazionale e della stampa era tutta concentrata sulla guerra in Ucraina, Erdogan ha promesso di espandere le operazioni militari contro i militanti curdi in Siria. “Prima o poi spaccheremo anche la testa del gruppo terroristico che si prepara a crescere” in alcune “aree della Siria”, ha detto da Ankara, secondo quanto riporta l’agenzia Dpa, riferendosi alle Ypg, le milizie di Unità di protezione popolare presenti nelle regioni a maggioranza curda dopo che lunedì scorso la Turchia ha annunciato l’avvio di un’altra operazione contro le basi del Pkk nel nord dell’Iraq. “Se Dio vorrà presto non ci sarà nessun posto chiamato Qandil”, ha incalzato il leader turco davanti ai parlamentari del suo partito, riferendosi alle aree nel nord dell’Iraq e al Pkk, considerato organizzazione terroristica da Ankara. Erdogan, riferisce al-Arabiya, ha sostenuto che il governo centrale di Baghdad sostenga l’ultima offensiva turca contro i militanti curdi nel nord dell’Iraq anche se Baghdad ha convocato l’ambasciatore turco per una protesta.

Il presidente turco ha ringraziato “il governo centrale in Iraq e l’amministrazione regionale per il loro sostegno nella nostra lotta al terrore” e ha parlato di un’operazione “in stretto coordinamento con il governo centrale iracheno e l’amministrazione regionale nel nord dell’Iraq”. “Le Forze Armate turche hanno avviato questa operazione per ripulire le aree occupate nel nord dell’Iraq dalla presenza dei terroristi – ha affermato, stando all’agenzia Anadolu – Stiamo facendo tutto il possibile per contribuire al rafforzamento della loro integrità territoriale e unità politica in modo che i nostri vicini possano vivere in sicurezza e in pace. Continueremo a farlo. Procediamo con lo stesso obiettivo in Siria come in Iraq”.

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Erdogan ha parlato di “sicurezza dei nostri confini”, e – riporta ancora la Dpa – ha accennato a nuove operazioni militari contro il Pkk e le Ypg in Siria. “Purtroppo, a prescindere da quello che facciamo all’interno (del Paese), non possiamo sradicare completamente i terroristi che si sono radunati al di là del nostro confine – ha detto in quelle che appaiono come le dichiarazioni più incisive da molto tempo – Gli insetti si riproducono sempre perché la palude non è prosciugata”.

Una “promessa” mantenuta. Nel silenzio complice dell’Europa e della “democratica” America.

Il doppiopesismo e il relativismo etico

Di grande interesse in proposito è l’analisi di Davide Grasso su Micromega.net. “[…]L’Ucraina è in Europa: ma questo non impedisce di analizzare le conseguenze mediterranee ed eurasiatiche delle politiche che, di fatto, ci vengono imposte. Sabino Cassese afferma che l’avversione turca all’inclusione di Svezia e Finlandia nella Nato è superabile, poiché la posizione di Erdogan è “negoziale”: prevede infatti “soltanto” la consegna di presunti militanti del Pkk alle autorità turche. Che sarà mai di fronte ai benefici di questo allargamento, che – si pensa – impedirà massacri e distruzioni ben peggiori di quelli di Aleppo, della Siria e del Kurdistan? Le relazioni internazionali non scorrono, invece, su binari così nitidi o a compartimenti stagni. Anche Luigi Di Maio, per minimizzare il problema, pensa sia sufficiente ripetere che si tratta di “questioni bilaterali”. Erano bilaterali anche le questioni riguardanti la vendita di armi alla Turchia, usate contro i curdi in Iraq e in Siria; e contrariamente alla parola data in pubblico dal ministro degli esteri nell’ottobre 2019, i commerci sono continuati senza il minimo rispetto per l’opinione pubblica italiana.

Sia per ragioni morali e politiche che per ragioni strategiche la questione curda non è, in realtà, un quadro che si possa appendere alla parete per fare bella figura con i propri potenziali estimatori, per poi darlo via quando si crede più conveniente comprare o vendere qualcos’altro. Sono donne e uomini, bambine e bambini, non pacchi postali che possono essere imprigionati, uccisi e perseguitati perché il loro principale aguzzino è membro della Nato. […] La lezione che la Nato impartisce alle masse tanto cristiane quanto musulmane d’Asia e d’Europa ogni volta che permette le violenze turche contro i curdi (una popolazione altrettanto numerosa degli ucraini) favorisce la propaganda di partiti come Russia Unita di Putin, che denuncia con una certa facilità il doppiopesismo occidentale sul diritto internazionale e l’autodeterminazione dei popoli. Vero è che questo doppiopesismo è lo stesso di Mosca, ma non è detto che gran parte dell’opinione pubblica occidentale se ne accorga. Non è un problema legato solo alle leggi del cuore o all’onorabilità (pur importantissime): implica un aspetto giuridico. La Turchia occupa e bombarda ampi territori siriani e iracheni per colpire i movimenti sociali progressisti del Pkk e del Pyd, e i movimenti arabi ed ezidi loro alleati che hanno liberato quei territori dall’Isis, detenendo con difficoltà migliaia di criminali di quell’organizzazione.

Non esiste alcuna sanzione internazionale contro queste aggressioni, che nulla hanno di diverso, quanto a illegalità internazionale, da quelle russe, causando peraltro forme di ingegneria demografica, colonialismo d’insediamento, diversione delle risorse idriche oltre a mezzo milione di profughi e migliaia di vittime combattenti e civili. Ben al di là dell’inestimabile protezione che Svezia e Finlandia hanno fornito finora ad attivisti e richiedenti asilo curdi, ciò che Erdogan sta negoziando è un’ulteriore via libera della Nato a operazioni militari nella Siria del nord-est, dove gli Stati Uniti hanno truppe e dove Erdogan intende distruggere le conquiste democratiche siriane e irachene, autoctone e secolari, promosse dal Pyd e dal Pkk in questi anni. È grave semmai che Ue e Usa, per tutelare le relazioni con il presidente turco, non abbiano ancora espunto il Pkk da una lista alquanto arbitraria delle organizzazioni terroristiche, visto che cooperano in Siria con il Pyd che è un partito del tutto analogo, unico in grado di resistere militarmente e politicamente al jihadismo più estremo, nell’area dove da dieci anni questo tenta ogni volta di rialzare la testa (e visto che Erdogan, a Idlib, coopera con Hayat Tahrir as-Sham, alias Al-Qaeda). […]La Turchia è un paese plurale, con una società ricca di pulsioni volte a una forma democratica del moderno. Con le sue purghe e la sua violenza il presidente ha però trasformato il paese in una prigione votata alla rifondazione legalizzata del jihad globale, disciplinato politicamente da una guida statale che siede nel Consiglio d’Europa e in quello della Nato. L’esercito turco tiene sotto il suo comando in Siria bande criminali come Ahrar al-Sharqiya e Failaq Al-Majd, che commettono crimini contro l’umanità e in cui militano ex miliziani di Daesh e Al-Qaeda.

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Tali o simili jihadisti siriani sono stati mandati da Ankara a combattere in Libia, in Azerbaijan e persino in Kashmir. La legittimazione globale e comunicativa di un regresso globale del e nel mondo islamico, operata da Erdogan, non è meno pericolosa di altri fenomeni. Passa anche per le moschee che il governo turco finanzia in Europa: spesso centrali operative, ideologiche e propagandistiche di una Fratellanza musulmana sempre attiva nelle nostre società, come in Medio Oriente, per marginalizzare le musulmane e i musulmani che non condividono le rappresentazioni dell’islam proprie dei governi turco e qatariota.

Il jihad globale istituzionalizzato ordito oggi dall’abile Erdogan, predicato o armato che sia, si è formato sulle ceneri, ma anche in rapporto, con quello clandestino lanciato a suo tempo da Bin Laden. Questo non incontra gli interessi strategici e fondamentali dei mediorientali e degli europei che intendano vivere in pace, libertà e nel rispetto reciproco. Questi interessi non sono negoziabili perché sono tutt’uno con ciò che motiva concretamente l’avversione all’espansionismo coloniale di Putin in Ucraina, alle violenze israeliane in Palestina e che in passato ha motivato la giusta opposizione all’invasione angloamericana dell’Iraq. Permettere l’imprigionamento di militanti e combattenti per la libertà, e nuove guerre d’invasione, per accontentare Erdogan rende ipocrita la giustificazione usata per l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato: l’avversità alle invasioni e la deterrenza della loro possibilità.

Pensare che la sproporzione di interesse strategico tra Europa e Medio Oriente, e tra Mare del nord e Mediterraneo, sia così ampia da giustificare capitolazioni del genere significa avere una percezione della politica e degli equilibri mondiali forse inadatta persino al Settecento. Il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan non controlla, come Russia Unita di Putin, una potenza nucleare, né gran parte del capitale fossile; ma ne controlla gran parte del transito, e ha aspirazioni all’egemonia ideologica sull’intero mondo musulmano, dal Marocco all’Afghanistan. Credere che vendere al despota i suoi dissidenti e oppositori ci conduca alla pace è miope. Abbiamo interesse a vivere bene con gli altri popoli, che devono vivere bene a loro volta; questo ci permetterebbe di effettuare commerci più stabili, sicuri e giusti con le altre terre. Il “prezzo” da pagare per questo non è consegnare i curdi, ma aiutarli nell’ottica di favorire un cambiamento politico interno alla Turchia”.

Così Grasso. Un’analisi ineccepibile. Un j’accuse possente perché documentato al meglio. 

L’Occidente sta tradendo di nuovo il popolo curdo. Una vergogna che non ha fine.

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