Russia e Iran: così è nato il "patto dei droni"
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Russia e Iran: così è nato il "patto dei droni"

Se c’è un Paese in cui la materia-droni è maneggiata con estrema accortezza e precisione, quel Paese è Israele. Soprattutto quando si tratta di droni made in Iran.

Russia e Iran: così è nato il "patto dei droni"
Putin e il presidente iraniano Raisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Luglio 2022 - 16.18


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Ufficialmente Mosca smentisce. Così come Teheran. Ma la realtà è altra. E’ nato il “patto dei droni” fra Iran e Russia.

Se c’è un Paese in cui la materia-droni è maneggiata con estrema accortezza e precisione, quel Paese è Israele. Soprattutto quando si tratta di droni made in Iran.

Quel “patto” in itinere

A darne conto, con dovizia di particolari e retroscena, è il più autorevole analista geomilitare israeliano: Anshel Pfeffer. 

Che su Haaretz scrive: “Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha cercato nel fine settimana di smentire le fughe di notizie americane su un accordo tra il suo Paese e la Russia per la fornitura di droni per la guerra in Ucraina – ma la situazione sembra chiara. L’esercito russo è impantanato da quasi cinque mesi, da quando ha invaso l’Ucraina, e tra i molti difetti evidenti della sua preparazione c’è l’assenza di una capacità significativa di droni, che è parte integrante della guerra del XXI secolo. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan ha affermato la scorsa settimana, con il supporto di filmati satellitari, che ufficiali russi hanno visitato l’Iran due volte nelle ultime settimane per esaminare i droni. Non ci sono ancora dettagli su un eventuale accordo e il Presidente russo Vladimir Putin non ne ha parlato pubblicamente durante la sua visita a Teheran di martedì. Ma la necessità c’è. La Russia ha intrapreso la sua guerra il 24 febbraio con un gran numero di un solo tipo di drone: l’Orlan-10, utilizzato per la sorveglianza tattica a corto raggio (principalmente per individuare i bersagli delle batterie di artiglieria). Oltre all’Orlan, la Russia dispone di un numero molto limitato di droni da combattimento per missioni d’attacco: al massimo qualche decina di Kronshtadt Orion, relativamente avanzati, e il più piccolo Forpost-R, basato sul Searcher delle industrie aerospaziali israeliane, costruito su licenza in Russia e sviluppato per poter trasportare un carico limitato di missili guidati. Tuttavia, sembra che la Russia abbia solo pochi esemplari di un altro tipo di drone importante per il campo di battaglia: le munizioni vaganti. Questi droni “suicidi” o “kamikaze” sono in grado di volare fino a quando non viene individuato un bersaglio, di solito mobile, per poi distruggerlo con un impatto diretto. La versione russa, Kub, è prodotta dal Gruppo Kalashnikov, ma non è ancora stata impiegata in numero significativo. “Naturalmente i russi hanno visto ciò che accadeva nel mondo nel campo dei droni e hanno preso appunti. Ma sono arrivati tardi sul campo”, afferma Samuel Bendett, che svolge ricerche sulle capacità senza pilota della Russia per il Center for Naval Analyses di Arlington, in Virginia. “Le ragioni sono varie. In parte perché negli anni ’90, quando il settore si stava sviluppando, erano impegnati a preservare le loro capacità esistenti dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica. Inoltre, si sono attenuti alle loro dottrine esistenti e si sono concentrati sulle piattaforme con equipaggio, perché in definitiva un jet da combattimento con equipaggio poteva trasportare un carico utile maggiore”.

Il tenente colonnello (ris.) Michael Segall, che è stato responsabile del briefing sull’Iran nella divisione di ricerca del ramo dell’intelligence militare delle Forze di Difesa Israeliane e oggi è ricercatore presso il Jerusalem Center for Public Affairs, afferma che i russi “hanno un’ampia gamma di piattaforme di artiglieria e armi guidate, quindi non vedevano la necessità di droni da combattimento”. Per loro natura, la maggior parte dei droni è più economica e facile da usare rispetto ai velivoli con equipaggio. Sebbene le loro probabilità di sopravvivenza siano inferiori, hanno una maggiore flessibilità operativa perché possono essere dispiegati rapidamente e utilizzati da un’ampia varietà di luoghi senza rischiare l’equipaggio aereo. Ma per avere un’influenza importante su grandi campi di battaglia, devono essere utilizzati in numero relativamente elevato.

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Prima dell’Ucraina, la maggior parte dell’esperienza russa nell’uso dei droni derivava dal suo coinvolgimento in Siria, dove il Forpost-R veniva utilizzato principalmente per designare obiettivi per missioni di attacco aereo. Ma la Russia aveva la piena superiorità aerea sulla Siria e non c’era bisogno di un’arma che cambiasse le carte in tavola. In Ucraina, ha dovuto affrontare un grande esercito convenzionale su un territorio molto più ampio, dove lo spazio aereo è conteso. I droni di cui dispone attualmente (ad eccezione dell’Orlan-10 e delle sue missioni di individuazione dei bersagli) hanno avuto un impatto limitato.

La flotta di droni dell’Ucraina era molto più preparata per lo scenario operativo di questa guerra. Negli ultimi anni, l’esercito e la marina ucraini hanno acquistato dalla Turchia decine di droni Bayraktar TB2 a medio raggio, che hanno già prestato servizio in zone di guerra come la Siria, il Nagorno-Karabakh e la regione etiope del Tigray.

Il Bayraktar può rimanere in volo per oltre 24 ore e trasporta missili anticarro con carico utile sia per la sorveglianza che per il combattimento. Sono stati utilizzati con grande successo nelle prime fasi della guerra per fermare le colonne corazzate russe e per missioni d’attacco a più lungo raggio, anche contro le forze russe che avevano catturato l’Isola dei Serpenti nel Mar Nero. Nelle ultime settimane, è stato riferito che la Russia ha migliorato i suoi metodi di guerra elettronica per bloccare le comunicazioni dei Bayraktar e abbatterne un numero maggiore.

Gli ucraini sono avvantaggiati anche per quanto riguarda le munizioni a perdere, grazie alla fornitura da parte degli americani di centinaia di droni anticarro Switchblade, che possono essere lanciati da piccole squadre sul campo.

Oltre ai droni di tipo militare, entrambe le parti stanno facendo ampio uso di droni commerciali – soprattutto quadcopteri – acquistati o donati, spesso a livello di unità, per assistere le unità avanzate e le batterie di artiglieria nella raccolta di informazioni tattiche e nella localizzazione di obiettivi a corto raggio.

L’opzione iraniana

“La Russia è entrata in guerra con il presupposto che sarebbe finita molto rapidamente, ma anche in questo campo non si è preparata adeguatamente”, spiega Bendett. “Dopo più di quattro mesi di guerra, molti dei droni che avevano sono stati abbattuti e stanno per finire. È difficile rifornirli perché l’industria militare russa non è ancora pronta a produrli in grandi quantità. Non si può passare da una fabbrica che produce aerei da combattimento alla produzione di droni”.

Ed è qui che entra in gioco l’Iran. Teheran è entrata nel business dello sviluppo di droni alla fine degli anni ’90, soprattutto in seguito alle pesanti perdite subite nella guerra Iran-Iraq e alla necessità di riequipaggiare il proprio esercito nonostante le sanzioni internazionali.

“Uno dei principi fondamentali della dottrina di guerra asimmetrica iraniana è l’utilizzo di sciami”, spiega Segall. “Lo abbiamo visto nel modo in cui hanno acquistato un gran numero di motoscafi da usare contro le navi da guerra nel Golfo Persico e nella produzione di massa di droni a basso costo per gli attacchi a sciame. Questi sono stati utilizzati con successo per attaccare i terminali petroliferi sauditi e nello Yemen dagli Houthi. Lo Yemen è stato il principale terreno di prova dei sistemi d’arma iraniani.

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L’Iran ha sviluppato un’ampia gamma di droni, tra cui il Saegheh, che è una versione locale del drone stealth statunitense RQ-170 – uno dei quali è caduto in territorio iraniano nel 2011 ed è stato successivamente modificato. Israele ne ha intercettato e abbattuto uno vicino a Beit She’an nel febbraio 2018. Il Saegheh è utilizzato principalmente per missioni di sorveglianza a lungo raggio.

Se l’accordo tra Russia e Iran andrà avanti, è probabile che sia destinato ai tipi di droni di cui la Russia ha bisogno in questo momento in Ucraina: probabilmente droni da combattimento come lo Shahed 129 e il Mohajer-6, oltre allo Shahed 136, che è un tipo di munizioni da combattimento. Questi sono prodotti dagli iraniani in numero relativamente elevato.

La questione principale è se l’Iran abbia attualmente abbastanza scorte da spedire alla Russia con breve preavviso per fare una differenza significativa sul campo di battaglia. L’inventario iraniano non è chiaro, soprattutto dopo l’attacco aereo dello scorso febbraio – attribuito a Israele – a una base di droni nell’Iran occidentale, dove centinaia di droni sarebbero stati distrutti.

Un’altra possibilità sarebbe che gli iraniani forniscano alla Russia droni da una fabbrica aperta di recente in Tagikistan, anche se la capacità produttiva non è chiara e al momento è destinata alla produzione del più piccolo drone Ababil.

Anche se l’Iran è in grado di fornire rapidamente alla Russia decine di droni, avranno un impatto significativo? Gli esperti non ne sono sicuri. Segall ritiene che “non sarà uno sviluppo che cambierà le carte in tavola. È più che altro un segno della disperazione russa per la mancanza di progressi. I droni iraniani potrebbero migliorare le loro capacità, ma hanno già molti missili. Non cambierà il quadro”.

Tuttavia, una capacità di attacco più versatile potrebbe aiutare la Russia a contrastare un nuovo sistema d’arma che l’Ucraina ha appena schierato con grande successo. Il lanciatore mobile a razzi multipli M142 HIMARS, fornito dagli Stati Uniti, ha permesso agli ucraini di colpire obiettivi di alto valore come grandi depositi di munizioni e quartieri generali in profondità nel territorio controllato dalla Russia. Questo ha permesso di annullare il grande vantaggio numerico dell’artiglieria russa.

“L’alto comando russo ha fatto della distruzione degli M142 HIMARS la sua massima priorità”, dice Bendett. “A tal fine, hanno bisogno di droni e di munizioni per la sosta. Se riusciranno a ottenerli, potrebbe essere la chiave per la Russia per riuscire a superare le difese ucraine”.

Così Pfeffer,

Il fronte anti Nato

Quanto all’asse Mosca-Teheran, a unire non è soltanto il sostegno al “macellaio di Damasco” ma anche l’avversione più ferrea alla Nato.   “Un’organizzazione pericolosa” e se la Russia non fosse intervenuta in Ucraina, “la parte avversa avrebbe provocato una guerra”. A emanare la condanna senza appello è il leader supremo (politico, militare, e non solo religioso) dell’Iran. Il riferimento di Khamenei è alla Nato che ”se non fosse stata fermata in Ucraina avrebbe scatenato una guerra con il pretesto della Crimea”. Perché, spiega l’Ayatollah capo ”gli occidentali sono totalmente contrari a una Russia forte e indipendente”. Teheran e Mosca devono restare vigili contro “l’inganno occidentale”, ha sottolineato poi Khamenei, rivolgendosi a Putin, nel loro incontro al recente vertice a tre  (Iran, Russia, Turchia) a Teheran, che ha inoltre caldeggiato una cooperazione bilaterale  a lungo termine.. Riferendosi alla crisi ucraina, Khamenei ha detto che “la guerra è un evento duro e difficile e l’Iran non è affatto contento che la gente comune ne soffra”.  Ha aggiunto che “il dollaro Usa dovrebbe essere gradualmente tolto dal commercio globale e questo può essere fatto gradualmente”. Putin non ha discusso delle forniture di droni né con il presidente iraniano.

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Centrale è la “diplomazia del gas”. 

Il patto russo-iraniano porterà a un’alleanza strategica nel settore petrolifero e potrebbe condurre a breve all’ingresso dell’Iran, come osservatore, nell’Unione economica eurasiatica (della quale fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan). Nel frattempo, Mosca e Teheran hanno rafforzato la propria alleanza anche concordando un protocollo da 40 miliardi di dollari firmato da National iranian oil company (Nioc) e il colosso russo Gazprom, che collaborerà con Nioc nello sviluppo dei giacimenti di gas di Kish e North Pars e anche di sei giacimenti petroliferi. Gazprom sarà inoltre coinvolta nel completamento di progetti di gas naturale liquefatto (Gnl) e nella costruzione di gasdotti per l’esportazione.

 Nessun disco verde dall’Iran e dalla Russia all’offensiva militare della Turchia contro i curdi siriani. È quanto è emerso dal comunicato finale del vertice del gruppo di Astana sulla Siria. Ancora più categorico con la Turchia, rispetto al presidente iraniano Ebrahim Raisi, era stato nell’incontro bilaterale l’ayatollah Ali Khamenei, che aveva ammonito che “qualsiasi intervento militare in Siria minaccerebbe la regione e andrebbe a beneficio dei terroristi” e a danno della Turchia. Un messaggio chiaro a Erdogan che negli ultimi mesi ha più volte espresso l’intenzione di lanciare una nuova vasta operazione nel nord della Siria con l’intenzione di creare una zona cuscinetto di 30 chilometri, con il pretesto di fermare le incursioni oltre confine delle milizie curde del Pkk. Una mossa che il sultano accarezza anche per motivi di politica interna, in vista del voto presidenziale del prossimo anno, ma che sarebbe considerata dal governo siriano del presidente Bashar al Assad – sostenuto politicamente da Teheran e da Mosca – come un’aperta violazione della propria integrità territoriale. Il documento finale del vertice, dunque, si concentra solo su ciò che oggi unisce i partner del gruppo di Astana, tornati a incontrarsi a due anni dall’ultimo vertice tenuto in forma virtuale nel 2020: la ricerca di una soluzione per allentare le tensioni nell’area di Idlib, l’opposizione alle esportazioni autonome di petrolio dalle aree controllate dai curdi siriani con il sostegno di Washington, la condanna dei raid aerei israeliani. Insieme all’auspicio che il Comitato sulla Costituzione possa continuare nell’ambito del Dialogo siriano nazionale a lavorare per definire un assetto della governance del Paese “senza interferenze straniere e scadenze imposte”. Anche se non è comunque chiaro nemmeno dove, dal momento che Mosca – alla luce degli sviluppi della guerra in Ucraina – oggi non considera più Ginevra una sede neutrale dove discutere.

Il patto dei droni e quello “energetico”: così si rafforza l’asse russo -iraniano. E sono in molti a tremare.

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