Le manovre militari russo-cinesi e la "profezia" di Kissinger
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Le manovre militari russo-cinesi e la "profezia" di Kissinger

Ha detto Kissinger: "Siamo sull’orlo di una guerra con la Russia e la Cina per questioni che in parte abbiamo creato noi stessi, senza nessuna idea precisa di come andrà a finire o di dove dovrebbe portarci"

Le manovre militari russo-cinesi e la "profezia" di Kissinger
Militari cinesi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Agosto 2022 - 19.35


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Novantanove anni non hanno appannato la sua lucidità analitica. 

Si può essere d’accordo o meno con lui, ma una cosa è certa: di mondo e relazioni internazionali, Henry Kissinger se ne intende. E le sue considerazioni vanno lette con grande attenzione e fatte oggetto di un’attenta riflessione. Nei giorni scorsi, La Stampa ha pubblicata una interessantissima conversazione a tutto campo dell’ex segretario di Stato Usa con Laura Secor (traduzione di Anna Bissanti), in occasione dell’uscita  del  suo diciannovesimo libro intitolato Leadership: Six Studies in World Strategy

 Kissinger ha parlato dei grandi squilibri e dei gravi rischi di oggi. “Siamo sull’orlo di una guerra con la Russia e la Cina per questioni che in parte abbiamo creato noi stessi, senza nessuna idea precisa di come andrà a finire o di dove dovrebbe portarci”.

Adesso, spiega l’ex segretario di Stato americano, “è impossibile dire se riusciremo a dividerli e a far sì che diventino avversari tra loro. Tutto quello che possiamo fare è non acuire le tensioni, è creare possibilità. Per questo è indispensabile avere in mente una finalità precisa”. In merito a Taiwan, Kissinger teme che gli Stati Uniti e la Cina stiano manovrando verso una crisi e consiglia fermezza da parte di Washington. “La politica attuata da entrambi le parti ha prodotto e consentito a Taiwan di progredire diventando un’entità democratica autonoma e ha mantenuto la pace tra Cina e Stati Uniti per mezzo secolo – osserva -. Si dovrebbe essere molto prudenti, di conseguenza, in relazione a qualsiasi azione in grado di modificare la struttura di base”.Sul fronte ucraino, Kissinger ritiene che “in un modo o in un altro, formalmente o informalmente, alla fine di tutto questo l’Ucraina debba essere trattata alla stregua di un membro della Nato”.

Eppure, Kissinger pronostica un’intesa che preservi le conquiste russe risalenti alla sua incursione iniziale del 2014, quando ci fu l’annessione della Crimea e di alcune zone nella regione del Donbass, per quanto non sappia rispondere con precisione alla domanda di come tale intesa possa differire dal patto che otto anni fa non riuscì a stabilizzare il conflitto. Scrive Secor: “Gli Stati Uniti sarebbero in grado di gestire i due avversari con una sorta di triangolazione, come accadde durante gli anni di Nixon? Risponde senza offrire una soluzione semplice: «Adesso è impossibile dire se riusciremo a dividerli e a far sì che diventino avversari tra loro. Tutto quello che possiamo fare è non acuire le tensioni, è creare possibilità. Per questo è indispensabile avere in mente una finalità precisa». In merito a Taiwan, Kissinger teme che gli Stati Uniti e la Cina stiano manovrando verso una crisi e consiglia fermezza da parte di Washington. «La politica attuata da entrambi le parti ha prodotto e consentito a Taiwan di progredire diventando un’entità democratica autonoma e ha mantenuto la pace tra Cina e Stati Uniti per mezzo secolo – osserva -. Si dovrebbe essere molto prudenti, di conseguenza, in relazione a qualsiasi azione in grado di modificare la struttura di base». Kissinger ha sfiorato la controversia all’inizio di quest’anno lasciando intendere che le incaute politiche da parte di Stati Uniti e Nato avrebbero provocato la crisi in Ucraina. Non vede alternative: è indispensabile prendere sul serio le preoccupazioni per la sicurezza espresse da Vladimir Putin, e crede che per la Nato sia stato un errore lanciare all’Ucraina il segnale che avrebbe potuto entrare a far parte dell’Alleanza.

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«La Polonia – e tutti i Paesi tradizionali occidentali che hanno fatto parte della Storia dell’Occidente – apparteneva logicamente alla Nato», spiega. L’Ucraina, invece, dal suo punto di vista è un insieme di territori che un tempo erano collegati alla Russia, che i russi consideravano di loro proprietà, anche se per “alcuni ucraini” non era così. Si renderebbe dunque un servizio migliore alla stabilità agendo da cuscinetto tampone tra la Russia e l’Occidente: «Ero favorevole alla piena indipendenza dell’Ucraina, ma ho pensato che per lei sarebbe meglio un ruolo simile a quello della Finlandia». In ogni caso, aggiunge Kissinger, il dado ormai è tratto. Dopo il comportamento della Russia in Ucraina, «adesso penso che, in un modo o in un altro, formalmente o informalmente, alla fine di tutto questo l’Ucraina debba essere trattata alla stregua di un membro della Nato». Eppure, Kissinger pronostica un’intesa che preservi le conquiste russe risalenti alla sua incursione iniziale del 2014, quando ci fu l’annessione della Crimea e di alcune zone nella regione del Donbass, per quanto non sappia rispondere con precisione alla domanda di come tale intesa possa differire dal patto che otto anni fa non riuscì a stabilizzare il conflitto .La pretesa morale posta dalla democrazia e dall’indipendenza dell’Ucraina – dal 2014, ampie maggioranze si sono dette favorevoli all’adesione all’Ue e alla Nato – e il cupo destino della sua popolazione sotto l’occupazione russa si inseriscono in modo maldestro nell’arte di governo di Kissinger. Se il bene superiore è scongiurare un conflitto nucleare, che cosa si deve ai piccoli Stati il cui unico ruolo nell’equilibrio globale è subire le decisioni di quelli più grandi? «Capire come coniugare la nostra potenza militare con le nostre finalità strategiche», riflette Kissinger a voce alta, «e come mettere in relazione queste con i nostri obiettivi morali è un problema ancora irrisolto».

Una “profezia” che s’avvera

Le truppe cinesi si sposteranno in Russia per un ciclo di esercitazioni congiunte con la Russia e altri Paesi tra cui India, Bielorussia e Tagikistan. A riferirlo è il ministero della Difesa di Pechino, precisando che la presenza cinese “non è correlata all’attuale situazione internazionale e regionale”.  Le operazioni militari fanno parte di un accordo di collaborazione con “l’obiettivo di approfondire la cooperazione pratica e amichevole con gli eserciti dei Paesi partecipanti, migliorare il livello di collaborazione strategica tra le parti e rafforzare la capacità di risposta a varie minacce alla sicurezza”, si legge in una nota. L’annuncio del ministero della Difesa cinese è maturato dopo giorni di tensioni crescenti tra Pechino e gli Usa a causa della visita fatta a Taiwan a inizio mese dalla speaker della Camera americana Nancy Pelosi. La leadership comunista ha reagito con rabbia alla mossa considerata un assist alle forze indipendentiste di Taipei, ritenuta parte “inalienabile” della Cina da riunificare anche con la forza, se necessario. Per una settimana, l’Esercito di liberazione popolare ha organizzato manovre senza precedenti intorno all’isola, testando un blocco aereonavale e lanciando anche missili balistici. Attualmente, sono in corso “missioni di pattugliamento e prontezza al combattimento”.

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A luglio la Russia aveva annunciato l’intenzione di tenere le esercitazioni militari “Vostok” (Est) dal 30 agosto al 5 settembre, a dispetto dell’onerosa guerra in corso contro l’Ucraina, anticipando pure la partecipazione generica di forze straniere. Il distretto militare orientale della Russia, che ha in carico le manovre, include parte della Siberia e ha il suo quartier generale a Khabarovsk, vicino al confine cinese. Le ultime manovre di questo tipo si sono svolte nel 2018, quando l’Esercito popolare di liberazione vi prese parte per la prima volta, nell’ambito di un accordo di cooperazione annuale bilaterale con Mosca che è pienamente operativo. Con il presidente cinese Xi Jinping e l’omologo russo Vladimir Putin, Pechino e Mosca hanno rafforzato sempre di più i legami bilaterali in vari settori, anche in campo militare. Xi e Putin annunciarono a Pechino lo scorso 4 febbraio, in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi olimpici invernali di Pechino 2022, la partnership “senza limiti”, poche settimane prima che Mosca – il 24 febbraio – iniziasse la sua “missione militare speciale” in Ucraina.

E l’Europa?

Di grande interesse è lo scritto su Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica, di Giovanni Pardi. Annota Pardi: “Strategicamente parlando, appare evidente il vuoto di potere in Europa che la guerra in Ucraina ha evidenziato,invero già risalente al collasso dell’Unione Sovietica (Urss) e del blocco degli stati socialisti. Allora, si parlò di vittoria dell’Occidente nel lungo conflitto tra Urss e Stati Uniti, come se ci fosse stata una vera e propria terza guerra mondiale.

Contemporaneamente, nei paesi dell’Occidente europeo è sorto un movimento di opinioneche, partendo dalla fine della minaccia sovietica, riteneva sufficiente l’ombrello americano e la garanzia della Nato. Senza porsi il problema di una propria autosufficienza in campo militare, e anteponendo al timore di potenziali crisi la formula del benessere sociale, della stabilità e dello sviluppo economico.

Rei di aver dimenticato il noto brocardo latino «si vis pacem, para bellum»,gli europei si sono cullati nella convinzione che per risolvere le controversie internazionali bastasse buona volontà condita da sostanziosi aiuti finanziari e commerciali. Non riconoscendo che gli strumenti diplomatici o le tregue armate sarebbero stati insufficienti a porre fine ai nazionalismi regionali o a secoli di conflitti a sfondo etnico-religioso. I casi di Kosovo e Sudan servano da esempio.

Anche la formula secondo cui gli accordi di saggezza negozialesarebbero stati un mezzo per chiudere i conflitti non regge la prova della realtà. La prima e la seconda guerra mondiale ebbero come unica parola d’ordine la resa incondizionata del nemico, e il fallimento di ogni tentativo di pace fu bollato come vero e proprio tradimento. Plastica manifestazione fu il vano sforzo di porre fine alla Grande Guerra compiuto da Benedetto XV attraverso un accordo fra i belligeranti.

Altra zona di «bassa pressione» è quella rappresentata dall’ideapriva di fondamento, di un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti. Si tratta, in realtà, di un condominio che è stato prima russo-americano, e ora è sino-americano. Di più. L’amministrazione di Joe Biden rappresenta oggi il vuoto di potere statunitense. Il dubbio linguaggio diplomatico del presidente americano varia da toni quasi «trumpiani» a forti accenti nazionalisti. In contrapposizione non tanto alla Cina, quanto alla Russia, la quale probabilmente non avrebbe inviato nemmeno un soldato oltre il confine ucraino senza l’appoggio di Pechino.

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Sfida globale

Unendo l’incertezza americana alla debolezza europearimarca ancora Pardi –  Russia e Cina hanno lanciato una sfida globale che ha una specifica declinazione valutaria per quanto riguarda gli scambi internazionali. Ma poiché l’80% del loro volume resta dominato da dollaro, yen e sterlina, l’iniziativa sino-russa sembra più un manifesto propagandistico per i paesi poveri, i quali peraltro non riceverebbero alcun vantaggio dal vedere i propri pagamenti effettuati in yuan e rubli.

D’altro canto, se la Cina è da considerarsi la «fabbrica del mondo»,il suo successo è imputabile ai mercati dei paesi occidentali, Stati Uniti ed Europa su tutti. La pretesa sinica di una supremazia globale anche in campo strategico-militare è quindi in palese contraddizione con un accordo non scritto di cooperazione economica, impraticabile in caso di conflitto aperto. Ad esempio a Taipei, dove un finto incidente militare come l’abbattimento di un jet cinese da parte di presunti caccia taiwanesi, potrebbe innescare un’escalation cui Stati Uniti e alleati non potrebbero sottrarsi, e la cui prima conseguenza sarebbe il boicottaggio dei prodotti made in China.

Come nelle partite a scacchi, anche nelle sfide geopolitiche quasi sempre c’è un vinto ed un vincitore. Non ci resta che auspicare l’ipotesi di un «arrocco» che segnerebbe la fine di un periodo di ostilità senza vinti né vincitori.

Da ultimo, va segnalata l’assenza di una parola delle autorità spirituali(a partire dal Vaticano), che rimarchi il diffuso cinismo davanti alle vittime innocenti di innumerevoli conflitti a bassa e alta intensità. Le cariche religiose si schierano sempre più spesso non a difesa di valori inalienabili come i diritti dell’uomo, ma piuttosto in base a logiche nazionalistiche.

È quindi più che mai necessaria una visione d’insiemeche prefiguri un domani alla crisi in atto a partire dalla comprensione delle reciproche posizioni, senza cadere nella spirale dei rispettivi «non possumus». Le questioni di principio, per quanto nobili, sono sempre premessa di conflitti e non strumenti per la loro soluzione.

Se ci appellassimo alla speranza piuttosto che alla razionalità, due conferenze permanenti sarebbero auspicabili. La prima dovrebbe focalizzarsi sull’area euro-mediterranea e ospitare i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La seconda dovrebbe concentrarsi sull’area dell’Indo-Pacifico. La missione? Regolare le controversie territoriali, nonché i logici corollari economici e strategici, con lo strumentario proprio dell’arbitrato internazionale.

Si tratterebbe, forse, non di una extrema ratio per evitare conflitti disastrosi, ma dell’inizio di una vera cooperazione internazionale volta alla stabilità e lo sviluppo, all’insegna di un negoziato win-win”.

Un auspicio, quello di Pardi, che sembra infrangersi contro le grandi manovre che dall’Indo Pacifico si estendono a Est.

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