Migranti, pronti i mandati d'arresto per i libici "sdoganati" dall'Italia
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Migranti, pronti i mandati d'arresto per i libici "sdoganati" dall'Italia

I nomi sono ancora secretati. Ma tutti gli indizi portano al generale che il governo securista italiano ha innalzato a interlocutore affidabile per la stabilizzazione della Libia e “gendarme del Mediterraneo: Khalifa Haftar.

Migranti, pronti i mandati d'arresto per i libici "sdoganati" dall'Italia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Maggio 2023 - 11.17


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I nomi sono ancora secretati. Ma tutti gli indizi portano al generale che il governo securista italiano ha innalzato a interlocutore affidabile per la stabilizzazione della Libia e “gendarme del Mediterraneo: Khalifa Haftar.

Mandati d’arresto

Ne scrive su Avvenire uno che conosce la Libia come le proprie tasche: Nello Scavo. «Posso annunciare oggi che i giudici indipendenti della Corte penale internazionale hanno emesso i quattro mandati d’arresto». Le parole del procuratore internazionale Karim Khan segnano un salto in avanti nelle inchieste per crimini contro i diritti umani in Libia. I mandati sono coperti dal segreto allo scopo di proteggere le operazioni investigative che potrebbero portare alla cattura dei ricercati. Ai quattro ordini di cattura convalidati se ne aggiungono altri due chiesti nelle ultime ore e sottoposti al vaglio dei giudici. Gli indagati – rimarca Scavo – provengono dia da forze affiliate al governo di Tripolo che da milizie legate al generale Haftar, che controlla la Cirenaica fino al confine meridionale con il Sudan. Nei mesi scorsi Avvenire aveva rivelato la richiesta d’arresto firmata dalla Procura internazionale, in attesa del vaglio dei giudici. Ma ieri è arrivato il via libera. A quanto trapela, i destinatari sono nomi noti ai governi europei e a quello italiano, anche per aver cooperato con alcuni gruppi criminali coinvolti nel traffico di esseri umani, petrolio e droga.

Il rapporto della procura internazionale, pur senza rivelare i nomi degli indagati, circoscrive con precisione i reati per i quali sono perseguiti e conferma come i crimini siano ancora in corso. Sono compresi i crimini commessi a partire dal 2011, dal momento dell’esplosione del conflitto interno al momento della caduta del colonnello Gheddafi fino alle violazioni dei diritti umani «contro libici e non libici che continuano a essere commessi nei centri di detenzione» di tutto il Paese.

«I crimini contro i migranti continuano a essere diffusi e numerosi in Libia», si legge. Già dal settembre 2022 l‘ufficio del procuratore si era unito a una «squadra congiunta» che indaga «sui principali sospetti responsabili di crimini contro i migranti, tra cui la tratta di esseri umani, il contrabbando di esseri umani, la riduzione in schiavitù, la tortura e l’estorsione». Inizialmente la Corte penale internazionale era stata incaricata dal Consiglio di sicurezza per i soli “crimini di guerra”, ma nei mesi scorsi il procuratore Khan è riuscito a dimostrare che «i crimini contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra». In altre parole, lo sfruttamento degli esseri umani e gli abusi commessi contro le persone sono in connessione diretta con i crimini di guerra poiché a gestire la filiera del traffico di esseri umani sono le milizie nel frattempo inglobate nelle istituzioni ufficiali, che vanno dalla cosiddetta guardia costiera al Dipartimento contro l’immigrazione illegale. «È un obbligo collettivo garantire che i responsabili di tali crimini siano chiamati a risponderne», ha sottolineato il procuratore Khan.

Uno dei primi risultati della “squadra congiunta” di cui fa parte la Cpi è stato l’arresto di Tewelde Goitom, noto anche come Amanuel Gebreyesus Negahs Walid, estradato dall’Etiopia nei Paesi Bassi, dove sta affrontando un procedimento penale condotto dalla giustizia olandese. Durante l’udienza preliminare, i pubblici ministeri locali  «hanno mostrato come diverse famiglie olandesi (di origine subsahariana, ndr) hanno ricevuto telefonate da loro parenti nei campi e nelle strutture di detenzione gestiti da alcuni dei sospettati, mentre i loro congiunti li imploravano di inviare denaro e in sottofondo si sentivano le urla delle vittime di tortura».

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Allo sviluppo delle indagini internazionali hanno contribuito anche inquirenti dei Paesi Bassi, Italia e Regno Unito, «dimostrando la loro determinazione a garantire la responsabilità per i crimini gravi», dice Khan.

Gli investigatori coordinati dalla procura internazionale «hanno incontrato testimoni che hanno confermato – si legge nel dossier investigativo – la violenza diffusa e sistematica contro i migranti, tra cui torture, stupri e riduzione in schiavitù». Nel suo intervento davanti al Consiglio di sicurezza il capo della procura internazionale ha parlato di «esecrabile spirale di violenza», ricordando come «le violazioni dei diritti umani contro i migranti e i richiedenti asilo contro i migranti e i richiedenti asilo continuano impunemente».

Così Scavo.

Il generale destabilizzatore. 

Due contributi preziosi per comprendere che la realtà è all’opposto della narrazione maistream. 

“Le Forze rapide di supporto (Rsf) del generale sudanese Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo hanno ricevuto missili ed altre forniture militari dai mercenari russi di Wagner e dagli Emirati Arabi Uniti con la complicità del comandante dell’Esercito nazionale libico, Khalifa Haftar, di stanza nel sud-est della Libia, da dove le armi sono transitate. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” l’esperto militare libico Adel Abdel Kafi, aggiungendo che il continuo sostegno militare accordato al generale Dagalo gli offre la possibilità di innescare un’ulteriore guerra.

 “Parte del sostegno che raggiunge le forze di Dagalo passa attraverso il territorio libico, precisamente nel sud-est dove sono di stanza le forze di Haftar”, ha spiegato l’analista, che ricorda come l’esercito libico abbia confermato la ricezione da parte del generale delle Rfs di missili Sam 7 da parte del gruppo paramilitare russo Wagner, armi che sono entrate in Sudan tramite la Libia. Kafi ha detto che è stato possibile confermare i carichi in seguito al monitoraggio di due voli che trasportavano armi dall’aeroporto di Kufra, nel sud-est della Libia, al Sudan. Camion carichi di carburante sono stati avvistati nel sud libico e da qui sono entrati in Sudan con l’aiuto delle milizie di Haftar, ha aggiunto l’analista, secondo il quale la fornitura di supporto alle forze di Dagalo dalla Libia rientra negli ordini degli Emirati Arabi Uniti e della Russia.

Affari sporchi

Gruppi legati all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftarsono attivi nel traffico dei migranti che arrivano irregolarmente in Italia partendo dalla Libia orientale. Lo afferma ad “Agenzia Nova” l’analista senior dell’International Crisis Group (Icg), Claudia Gazzini. “Ritengo alquanto improbabile che il gruppo russo Wagner abbia un ruolo nei flussi migratori verso l’Italia”, riferisce l’analista italiana. “Quello che sappiamo da fonti sul campo, invece, è che ci sono libici legati ad Haftar, dunque unità legate all’Lna, che si sono attivamente messi a giocare una partita nei flussi dei migranti che provengono dall’est, dunque dal confine egiziano, e che vengono imbarcati in vari porticcioli lungo le coste della Libia orientale”, riferisce Gazzini. Secondo i dati del Viminale ottenuti da “Agenzia Nova”, almeno 10.628 migranti sono sbarcati in Italia dalla Libia al 28 marzo, in aumento del 152 per cento rispetto ai 4.207 arrivi dello stesso periodo dell’anno scorso. La metà dei nuovi arrivi è partita dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia dominata dal generale Haftar, a sua volta sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner.

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 “Nessuna evidenza di legami con Wagner”

“Non mi risulta che ci sia un legame attivo tra Wagner in Libia e questi combattenti sudanesi e ciadiani. Ci sono state molte dicerie al riguardo. Guardando la mappa, a rigor di logica è facile dedurre che Wagner stia addestrando questi mercenari in Libia per fare opposizione agli attuali regimi operativi nei rispettivi Paesi. Tuttavia, non c’è alcun riscontro fattuale al riguardo”, ha dichiarato l’analista. Per quanto riguarda il coinvolgimento di questi gruppi nelle attività illecite transfrontaliere, secondo le informazioni raccolte, Gazzini ritiene “con moderata certezza” che i sudanesi siano coinvolti nel traffico di benzina dall’est della Libia, un mercato “attivo e molto proficuo” al momento che copre l’area fra Bengasi, Kufra, fino al confine con il Sudan. “Sembra che questi gruppi armati sudanesi siano coinvolti in questo traffico in collaborazione, si dice, in particolare con Saddam Haftar“, figlio del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna).

Gazzini precisa di non avere contezza di un coinvolgimento dei gruppi sudanesi nel traffico di esseri umani, attività che tuttavia “non esclude” sebbene “a Kufra si sente parlare poco di migranti in transito da Ciad e Sudan”. Per quanto riguarda i combattenti ciadiani posizionati sulla frontiera nigerina e ciadiana, infine, l’analista osserva che anche lì il traffico “è molto diminuito”, specialmente in provenienza dal Niger ma anche dal Ciad. Gazzini ricorda che “nessuno passa dal nord del Ciad per arrivare in Libia” e che in base a questi elementi si presume che questi gruppi armati possano essere coinvolti in altri tipi di traffici transfrontalieri. “Ricordiamoci che il nord del Ciad è più vicino fisicamente alla Libia che a Djamena, quindi la gran parte dell’economia del nord del Ciad si basa su beni che provengono dal sud della Libia”.

“Difficile un ritiro dei mercenari ciadiani e sudanesi”

Secondo Gazzini, un ritiro dei combattenti e mercenari ciadiani e sudanesi dalla Libia richiede tre cose: una volontà vera; una controparte nei rispettivi Paesi disposta a collaborare; condizioni politiche e militari per il rimpatrio. “Come è possibile immaginare, non tutti i Paesi, specialmente il Ciad e in parte anche il Sudan, auspicano un ritorno di questi combattenti, alcuni dei quali sono membri dell’opposizione armata”, riferisce Gazzini commentando il tour avviato dal rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, in Sudan, Ciad e Niger con l’obiettivo di concordare il ritiro dei mercenari e combattenti stranieri dalla Libia e garantire la sicurezza dei confini del Sahel.

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Il rientro dei combattenti di Ciad e Sudan attualmente presenti in Libia necessita di una (non scontata) collaborazione dei governi dei due Paesi. “Per il Ciad sono poco ottimista. In Libia il principale gruppo dell’opposizione è il Fact (Fronte per l’alternanza e la liberazione del Ciad) – che ha lanciato l’assalto al nord del Ciad e portato poi alla morte del presidente Idriss Deby –, per il quale non sembra esserci spazio nell’attuale quadro politico e militare. Sono in corso dei colloqui riservati, attraverso terze persone, per vedere fino a che punto il Fact possa rientrare nel cosiddetto processo politico di N’Djamena. Le aspettative però sono basse”, afferma Gazzini. In Sudan la situazione è diversa. “Rispetto agli anni dal 2018 al 2020, molti combattenti sudanesi sono già tornati perché c’era un processo politico che lo permetteva. Molti gruppi hanno aderito al dialogo e all’accordo di Giuba che poi ha segnato l’inizio di questa nuova fase”, ricorda Gazzini.

Oggi, tuttavia, il governo di Khartum teme che il rientro dei combattenti stranieri possa scuotere i fragili equilibri su cui si regge il Paese in mano alla giunta militare. “Per questo i diplomatici sudanesi sono molti cauti, ripetono che non vogliono una destabilizzazione del Sudan e non si sa fino a che punto siano disposti a collaborare. Quando si parla di milizie sudanesi bisogna ricordare che ci sono anche gruppi del Darfur, dunque sia arabi che non arabi”, aggiunge Gazzini. E’ impossibile conoscere il numero esatto di combattenti mercenari sudanesi e ciadiani in Libia. “Per quanto riguarda i ciadiani, le stime sono di 1.000-1.500 (mercenari) tra Fact e altri due gruppi dell’opposizione. Questi sono basati principalmente a sud di Murzuq, lungo il confine con il Ciad, e rientrano nelle forze affiliate al governo di Tripoli, anche se anni fa nel 2015 erano con Haftar. Seppur inquadrati nei ranghi del governo tripolino, ad oggi non sembrano essere operativi”, precisa l’analista. I combattenti sudanesi, invece, sono per lo più dislocati nell’est e nel sud-est della Libia. “Sono usati attivamente dalle forze di Haftar per lo più come guardie. Dove siano basati esattamente è meno chiaro. Sembra che siano dislocati nelle varie installazioni controllate da Haftar, che siano aeroporti, terminal petroliferi o pozzi”, conclude Gazzini.

Il generale Khalifa Haftar. Sodale della Wagner. Destabilizzatore in Sudan. Sponsorizzato da Putin ed Erdogan. Colluso con le milizie sodali in Libia dei trafficanti di esseri umani. Ma per Giorgia Meloni non conta. 

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