Una situazione drammatica e caotica come quella che sta vivendo la Russia in queste ore era scarsamente immaginabile, ma la fiducia dei tanti «realisti» geopolitici sulla forza e il potere di Putin (causa di molti dei suggerimenti di trovare un accordo con lui sull’Ucraina, ignorando che poteva essere solo alle sue condizioni) si basava sulla superficie di una società (e di un potere) strutturati in modo che non sono sempre agevoli da capire. Non sappiamo come finirà la contesa, anche se è probabile che Putin riuscirà a prendere il controllo della situazione, pur se con difficoltà. Ma comunque finirà alcune cose già queste ore ce le stanno dicendo.
La prima è che dovevamo – e dovremmo – dare più ascolto ai «nemici» russi di Putin, siano essi gli eroici militanti di Memorial, i seguaci di Navalny, le Ong messe fuori legge, i giornalisti liberi che scrivono dai paesi vicini, ma siano pure gli oligarchi fedifraghi, gli ex sodali che hanno rotto i rapporti. In modo diverso tutti costoro rappresentano una Russia che esiste, che è divisa, che partecipa passiva e in silenzio ma non è scomparsa e che può apparire improvvisamente e far sentire nuovamente la sua voce (e Putin l’ha capito, richiamando immediatamente la situazione del 1917).
La seconda cosa che emerge è che questa guerra di aggressione sta scavando in profondo nella Russia costretta a mandare i suoi figli a morire non si sa per cosa, un numero che sembra sempre più alto e che supera di gran lunga le cifre ufficiali rilasciate ogni tanto.
Il ricorso alle milizie private della Wagner, che Putin aveva del resto già sperimentato da anni, nasce proprio dall’impossibilità di raggruppare attorno al proprio esercito la nazione, come invece è successo in Ucraina sempre più dopo l’aggressione subita. E questo ha alimentato posizioni di potere, invidie, gelosie e anche brame di protagonismo che sono diventate conflittuali man mano che l’impossibilità di vincere la guerra si faceva più chiara.
L’offensiva ucraina, appena iniziata, non ha sviluppato ancora grandi risultati militari, ma ha creato un effetto di accelerazione della conflittualità avversaria, tra la Wagner e i capi dell’esercito, e forse anche in altre stanze del Cremlino o della Lubjanka, dove i servizi, i capi militari, dai vertici ai quadri intermedi, non sono così ferreamente fiduciosi delle capacità di Putin pur se ormai si guardano bene dal criticarlo.
È la mancanza di democrazia, il rapido e continuo smantellamento delle parziali istituzioni libere che esistevano nella Russia di Eltsin e che Putin ha ereditato curvandole a una crescente dittatura, che emerge oggi con sempre maggiore forza. Allora Putin rafforzò il suo potere con la seconda guerra in Cecenia, l’anno scorso si è illuso di poterlo fare attaccando addirittura un paese vicino, libero e indipendente.
Le guerre sono sempre state le tombe dei dittatori, anche se molti sono morti nei loro letti, e forse questa volta l’azzardo di Putin ha iniziato a mettere in moto un meccanismo che non si risolverà certamente in pochi giorni, ma che ne costituisce comunque un indebolimento profondo, i cui effetti non dovremo attendere troppi anni a vedere.