Quando la catastrofe ci colpirà, ricordate di come abbiamo esultato quando Israele ha ucciso un capo di Hamas e ha battuto la Turchia alle Olimpiadi.
È il titolo di Haaretz ad un articolo di Gideon Levy. Nelle considerazioni del grande giornalista israeliano, c’è tutta la psicologia di una nazione. Capace di gioire per una vittoria alle “Olimpiadi del terrore “(l’eliminazioni di Haniyeh a Teheran) allo stesso modo in cui ha esultato per la vittoria della judoka israeliana alle Olimpiadi di Parigi.
Annota Levy: “La scorsa, è stata la fine di una settimana gioiosa, come non se ne vedevano da dieci mesi. Mercoledì abbiamo abbattuto il capo di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran; venerdì abbiamo abbattuto Kayra Ozdemir alle Olimpiadi di Parigi. Abbiamo abbattuto Haniyeh con una bomba, la judoka turca è stata abbattuta per ippon in 15 secondi”.
Due avvenimenti che più distanti tra loro non sembrerebbero poter essere. Un tempo, molto, molto lontano, in occasione dei Giochi olimpici si sospendevano le guerre.
Ora invece… “I due abbattimenti – rimarca Levy – hanno in comune più di quanto sembri: entrambi hanno suscitato un’ondata travolgente di orgoglio e gioia nazionale; la catena di supermercati Victory ha persino aperto un tavolo in onore del primo abbattimento, ma entrambi gli abbattimenti erano destinati esattamente a questo scopo. Entrambi non hanno alcuno scopo, se non l’onore, la soddisfazione, il piacere e l’orgoglio nazionale. È bello e confortante sapere che abbiamo abbattuto un Hamasnik e un’atleta turca”.
Si dirà: a gioire sono stati i più facinorosi destrorsi. Macché.
“I politici sionisti – osserva Levy – hanno fatto a gara a chi avrebbe osannato di più i due attentati: Il leader di Yesh Atid Yair Lapid e il leader dei laburisti Yair Golan erano entusiasti di entrambi. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha fatto il collegamento: “Questa vittoria è ciò che [il judoka] Peter Paltchik ha fatto questa sera contro il suo avversario svizzero e ciò che [la judoka] Inbar Lanir ha fatto ai suoi avversari in tre incontri. Li abbiamo sconfitti e sottomessi”.
Il giornalista Shai Golden ha espresso lo spirito dei tempi in modo ancora più preciso: “Raz Herzko. Guerriero israeliano. Abbiamo le migliori donne guerriere sul tappeto e sul campo di battaglia. Vai, vai, Israele! Il popolo di Israele vive!”. Vivere, sia sul tappeto che sul campo di battaglia.
È alquanto ingiusto paragonare uno sport in cui Israele ha successo in modo onorevole e legittimo con gli assassinii, in cui Israele ha successo in modo disonorevole e illegittimo. Ma il paragone viene invitato quando si sa che molti israeliani, probabilmente la maggioranza assoluta, trattano i due campi in modo simile. Le medaglie si vincono solo nello sport, ma vedi come gli israeliani si aggiudicano medaglie anche per gli omicidi?
“Con due omicidi mozzafiato, Israele ha ripristinato per sei ore quello che era una volta: un paese che può fare concorrenza ai film di Hollywood”, ha dichiarato Ben Caspit con imbarazzante infantilismo”.
Cosa c’è da esultare? Eppure, la psicologia di una nazione ha portato a ciò. “Queste – riflette amaramente Levy – sono le nostre ore migliori, quelle in cui uccidiamo le persone, per non dire assassiniamo le persone, come la mafia, come i regimi più loschi. Le nostre ore più belle sono quelle in cui la maggior parte del mondo ci odia fino al midollo.
Grazie, Mossad, per quelle sei bellissime ore che abbiamo conosciuto, come le ore di judo ai Giochi Olimpici, come gli esercizi a terra di Simone Biles. Grazie, media, per aver sbiancato questi assassini e le loro iniquità cantando loro canzoni di gloria. L’assassinio che ha avvantaggiato Israele deve ancora nascere.
Nelle sei ore di cui ha goduto Caspit, Israele ha ucciso due dei suoi nemici, uno un militare di Hezbollah, il secondo uno statista di Hamas. L’accostamento delle parole “statista di Hamas” fa drizzare le orecchie agli israeliani – non esiste nulla di simile nelle pagine di propaganda – ma Haniyeh era il presidente dell’Ufficio Politico di Hamas. Non è certo che abbia mai impugnato un’arma, nonostante l’imbiancatura di Israele, e non è certo che sapesse in anticipo del 7 ottobre”.
E qui la riflessione invade il campo della politica.
“Questo – puntualizza Levy – non è un canto di lode per Haniyeh, né un lamento per la sua morte, ma un Paese che uccide l’uomo con cui sta negoziando il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi ha oltrepassato il limite della legittimità. Un paese che lo fa in territorio iraniano, il giorno dopo il giuramento del nuovo presidente, vuole una guerra con l’Iran. Un paese che si rallegra di questo è un paese stupido: si rallegra di disastri che potrebbero letteralmente cadergli sulla testa.
Una bomba che viene piazzata in anticipo nella stanza giusta della foresteria delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Se “Fauda” avesse descritto un’azione del genere, sarebbe stata accusata di estrema mancanza di credibilità. È davvero bello sapere che siamo in grado di compiere un’impresa del genere. Ma, dannazione, a cosa è servito? Qual è il vantaggio? Vedremo i danni nei prossimi giorni. Lo si nota già nelle case, nei supermercati e negli asili, in ansia per quello che sta per accadere. Prima dell’imminente disastro, ricordiamo tutti gli applausi”.
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