Marocco: l'altra faccia del Mediterraneo tra storia e modernità
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Marocco: l'altra faccia del Mediterraneo tra storia e modernità

Alle spalle c'è il corpo immenso dell'Africa, con le sue isole di crescita, le sue povertà antiche e le moderne miserie metropolitane. Un'altra tappa verso l'Europa.

Marocco: l'altra faccia del Mediterraneo tra storia e modernità
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5 Maggio 2014 - 15.58


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dal Marocco
di Tano siracusa

Turismo in crescita, attività culturale intensa (il festival di cultura Sufi a Fes, la grande mostra di arte mediterranea a Casa, la crescita della produzione cinematografica), dibattito pubblico sulle nuove progettazioni urbanistiche, a cominciare da quella di Rabat: a sfogliare Le Matin in questo fresco metà aprile sembra proprio che il Marocco cresca e si sviluppi rapidamente sotto la guida illuminata di Mohamed VI, non più giovane e ingrassato a giudicare dalle numerose foto che si vedono in giro, e non solo sulla stampa. 

La stampa locale trascura l’Europa, mentre segue con attenzione gli scenari mediorientali e africani, soprattutto ovviamente quelli del Maghreb, in particolare della vicina e inquieta Algeria dove sono in vista elezioni presidenziali ed è ripresa l’attività  terroristica. C’è molta attenzione per paesi come l’Algeria, la Siria, lo Yemen, ma anche l’Egitto o la Turchia: paesi politicamente lontani, dove si vota ma dove le libertà democratiche non sono garantite e lo strapotere dei militari spesso si contrappone alla violenza di brigate islamiche di varia e contrapposta appartenenza.

Il Marocco, che ha superato indenne il maremoto delle primavere arabe, appare e si sente assai lontano da questi scenari. La monarchia appare solida e popolare, gli attentati terroristici, che pure ci sono stati, non sembrano avere un retroterra religioso e culturale vasto, e il  paese è sempre più consapevole del suo ruolo di cerniera fra i due continenti. 

Alle spalle c’è il corpo immenso dell’Africa, con le sue isole di crescita, le sue povertà antiche e le moderne miserie metropolitane, gli stupri ambientali delle multinazionali e la corruzione dei governi; e anche lì, come in Oriente,  guerre civili e dittature mettono in fuga masse di disperati. Tanta  gente arriva in Marocco e si ferma, si arrangia, si sistema. Una metà, dicono. L’altra metà tenta di raggiungere l’Europa. 

Il Marocco, dunque, come paese di emigranti e di immigrati, mentre l’Europa, cosi vicina negli anni ’90, oggi è lontana e ostile. Frontiere chiuse perché c’è la crisi, certo. Però adesso vengono chiuse non solo alle persone ma anche  alle merci.

A metà aprile migliaia di agricoltori appartenenti a diverse organizzazioni  di categoria hanno protestato contro  i dazi protettivi imposti dall’Europa ai prodotti agricoli del Marocco, in violazione peraltro di precedenti accordi e  impegni fra le parti. Negli stessi giorni il governo di Rabat ha ufficialmente protestato contro il governo spagnolo per il mancato finanziamento della complessa gestione del rimpatrio dei clandestini, affidato da un accordo fra le parti alle autorità marocchine.

L’impegno riguarda il rimpatrio dei clandestini non solo del  Marocco ma dell’intero continente. Una questione complessa e costosa. Il governo di Rabat, sostenuto dalla stampa locale, fa la voce grossa e  minaccia la non applicazione degli accordi se la Spagna continuerà  a non sostenerne adeguatamente i costi. Protesta istituzionale condivisa e rilanciata da  una  parte della sinistra spagnola e da  Telquel, periodico di riferimento della  sinistra democratica  in Marocco, peraltro molto severo e critico sul  coefficiente di democrazia interna nel paese di sua Maestà.

Questa è l’immagine che il Marocco ufficiale cerca di accreditare di se stesso. Il riconoscimento da parte di Obama come interlocutore privilegiato della sponda africana del Mediterraneo è per il governo di Rabat un segnale importante: le varie dinastie regnanti nei secoli passati in Marocco hanno quasi sempre guardato a nord e a sud più che ad est, all’Oriente. E l’attuale sovrano  sembra  perseguire il progetto ambizioso di fare del suo  un paese un ponte e non solo la saracinesca  fra i due continenti. Ponte economico e culturale e non più sentinella  della periferia che preme sul centro e al sevizio di un centro sempre meno forte, di un’Europa in crisi.

Eppure non tutto quello che si vede in giro corrisponde a all’immagine  di  un paese coinvolto interamente   in un processo di armoniosa ed equilibrata modernizzazione. 
Soprattutto nelle grandi città, dove le sacche di emarginazione alimentano un clima di insicurezza sociale che si manifesta soprattutto su Facebook e che viene analizzato sui media tradizionali dagli opinionisti.  O dove l’urbanizzazione sta smisuratamente dilatando le periferie,  sostituendo al tradizionale modo di vivere e di abitare delle Medine, orizzontale e fitto di relazioni sociali, quello verticale e tendenzialmente privatistico dei condomini.
Il Marocco cambia, ma non dappertutto nelle stesse forme, con gli stessi tempi. In un posto come Chaouen, ad esempio, una certa modernità  non è proprio arrivata. 

Non si legge molto nel paese di Tahar Ben Jelloun, ma in un caffè di Chaouen un signore sta leggendo e annotando una vecchia  traduzione francese di Cent’anni di solitudine. È un uomo elegante, vigoroso, che ricorda un po’ Picasso, e che ritorna  ogni tanto qui dal 1963. Si stupisce del tempo passato. Torna, dice, per cercare  il  giovane che è stato, e ora che ha quasi 70 anni gli sembra ogni tanto di  riconoscerlo, di ritrovarlo dentro se stesso.

Quello che gli piace qui è la tranquillità, la vita semplice degli abitanti. Le contadine berbere vendono per strada il loro chilo di carote, di patate,  di verdure. Le cento piccole botteghe. E poi l’atmosfera che c’è qui. 
Se si entra nella Medina di notte si ha l’impressione di trovarsi in un  fiabesco labirinto azzurro celeste e blu, dove di giorno una piccola folla  ritesse da un migliaio di anni gli stessi passi, ripete gli stessi gesti e le stesse parole. Un borgo medievale che sembra un’invenzione  di Escher,  inverosimile e persuasiva, e dove brillano nel buio i cellulari accesi.

C’è anche questo Marocco antico, circondato e attraversato dalla modernità ‘leggera’ dell’ultima rivoluzione tecnologica.  Ma questa combinazione di modernità e tradizione sembra residuale e fragile. A pochi chilometri da qui le famiglie dei contadini producono hashish e lo vendono a chili, a prezzi irrisori, agli europei. I contadini guardano il cielo sperando che smetta di piovere. Fanno con cura il loro lavoro, producono una pasta verde e profumata di cinque diverse qualità che in Europa arriverà sporco, tagliato, diventerà ‘fumo’. E farà girare tantissimo denaro.                                     
Ma per i contadini di Chaouen sembra andar bene così. Loro lavorano e vivono dignitosamente. Hanno il necessario. Qui, dicono, non lavorano solo quelli che non hanno voglia di lavorare. 
La pulsione consumistica, il motore stesso della modernità trionfante, gira  qui lentamente, come la gente per strada.

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