Tutto quello che sai sugli zingari è falso: ecco il perché
Top

Tutto quello che sai sugli zingari è falso: ecco il perché

Nove luoghi comuni sugli zingari smontati da un’iniziativa dei Radicali Roma e dell’associazione È Possibile. Leggete bene sul giro di soldi romano...

Tutto quello che sai sugli zingari è falso: ecco il perché
Preroll

redazione Modifica articolo

19 Maggio 2015 - 18.32


ATF

“Tutto quello che sai sugli zingari è falso”. Questo il titolo dell’ultimo documento stilato da Radicali Roma in collaborazione con l’Associazione È Possibile per smontare alcuni dei troppi stereotipi nati attorno a rom, sinti e camminanti. Di seguito nove luoghi comuni smontati con dati e numeri.

L’Italia è piena di ‘zingari’

FALSO. In Italia rom, sinti e camminanti sono circa 170mila cioè lo 0,25% della popolazione complessiva, una delle percentuali più basse in Europa. Sono infatti il 2% della popolazione greca (200mila su 10 milioni), l’1,8% della popolazione spagnola (800mila su 45 milioni) e lo 0,6% della popolazione francese (340mila su 61 milioni), mentre nell’Unione europea ne vivono complessivamente 10 milioni, pari circa al 2% della popolazione.

Ma con tutti i problemi che hanno gli italiani non possiamo occuparci anche di questi, che chissà da dove vengono

FALSO. In realtà la metà dei rom, sinti e camminanti che vivono in Italia sono cittadini italiani. Il resto sono cittadini di altri Stati UE e di paesi extracomunitari, e molti sono rifugiati e apolidi arrivati dai Balcani a seguito delle guerre degli anni ‘90.

D’accordo, però sono nomadi, no? Quindi facciano i nomadi e alzino le tende

FALSO. Il nomadismo è un fenomeno ormai molto marginale: sono circa 35mila i rom e sinti che abitano nei campi, e questo vuol dire che 4 persone rom su 5 vivono in una casa, studiano e lavorano come tutti noi. Solo una minima parte, circa il 2-3%, si sposta sul territorio, al punto che l’Osce ha invitato l’Italia a non designarli più con la parola “nomadi”. Il nomadismo è stato per decenni considerato un tratto identitario di queste minoranze e sulla base di questo presupposto, ormai del tutto superato, si è proceduto con la politica dei campi e l’aggregazione forzata, ottenendo come unico risultato la segregazione abitativa e, di conseguenza, l’esclusione e l’autoesclusione sociale delle comunità rom.

Leggi anche:  "Fotonica", a Roma l'ottava edizione del festival di arte digitale

Sì, ma rubano. Negli altri paesi se ci provano sono guai, invece qua siamo troppo tolleranti

FALSO. Punto primo: che i rom abitualmente rubino come se fosse una vocazione innata è un’accusa che andrebbe dimostrata con dati e percentuali. Ma anche se fosse vero che una parte, più o meno piccola, sia dedita a questa attività, tutti gli altri andrebbero sostenuti e accompagnati in un percorso verso la legalità attraverso la scuola, la formazione e il lavoro, come per tutte le persone che vivono nella marginalità sociale. Dopodiché, parliamo degli altri paesi: in Italia solo il 6% dei rom arriva al diploma di scuola media o superiore, mentre la media della comunità europea è il 67%. C’è una certa differenza, no?

Ma quelli che vivono in italia non mandano i figli a scuola

FALSO. La verità è che altrove hanno promosso delle vere politiche di inclusione scolastica. Da noi il 45% della popolazione rom ha meno di sedici anni. Nell’anno scolastico 2012/13 si sono iscritti a scuola 11.481 minori rom, su circa trentamila in obbligo di frequenza, e solo 107 adolescenti risultavano iscritti alla secondaria di secondo grado in tutta Italia. Non ci sarà una incapacità delle politiche locali di perseguire e sostenere l’inserimento scolastico? Se questi ragazzi vivono in campi nelle periferie più profonde, lontani da tutti i servizi essenziali, come ci si può meravigliare che non vadano a scuola?

Leggi anche:  Roma, la "Dolce vita" rivive grazie alle foto di Barillari

Tanto non vogliono lavorare

FALSO. I dati dicono che in Italia i rom che lavorano sono quasi il 40%. Quando li fanno lavorare, s’intende. Quando riescono ad acquisire qualche qualifica. Quando riescono a studiare. Infatti negli altri paesi UE, in cui vengono attuate politiche di sostegno al lavoro, la media è quasi del 60%. Si tratta di valorizzare le capacità, promuovere le competenze e favorire la formazione professionale per realizzare concretamente l’autonomia delle persone.

Stai a vedere che ci tocca spendere soldi in più per fare le “politiche di inclusione”, con la crisi che c’è

FALSO. I soldi li spendiamo già, e ne spendiamo tanti. A Roma, dove nei campi vivono circa 8mila persone di cui più della metà bambini, il Comune ha speso 24 milioni di euro solo nel 2013. Per il centro di accoglienza di via Visso, un ex-magazzino senza aria né luce in cui sono stipate quasi trecento persone, di cui la metà sempre bambini, il Comune dà ogni mese all’ente gestore 190mila euro, che sono circa 630 euro a persona ospitata. E se consideriamo che si tratta di famiglie in media di cinque componenti, parliamo di circa 3mila euro al mese a famiglia per vivere in loculi spaventosi. Basterebbe riconvertire le risorse impiegate finora in progetti mirati di inclusione abitativa e sociale rivolti alle famiglie, verso una graduale e progressiva indipendenza economica, a beneficio non solo delle comunità rom, ma di tutti. Questo approccio comporterebbe per le finanze degli enti locali l’impiego di risorse sempre minori: cioè, in poche parole, spenderemmo molto meno. Lo hanno già fatto diverse città europee come Madrid, Barcellona, Londra, Lille e Dublino, attraverso interventi personalizzati, e concordati direttamente con le famiglie, di housing sociale quali percorsi di aiuto all’affitto di abitazioni dal mercato privato, autocostruzione mediante la costituzione di cooperative, strumenti di accesso al mutuo per l’acquisto di immobili, affitto di stabili in disuso di proprietà pubblica da ristrutturare. Il caso di Madrid dimostra che si può fare: nel 2007, nella capitale vivevano circa 70.000 persone rom, di cui 12.000 nei campi. A partire dal 2011, il Comune ha deciso di chiudere i campi e di investire in educazione e formazione, diventando in pochi anni un modello in tutta Europa. Finora sono stati chiusi 110 insediamenti e 9.000 persone (il 96% delle persone ricollocate) hanno avuto accesso ad alloggi e a percorsi di integrazione. L’obiettivo è chiudere definitivamente tutti i campi entro il 2017.

Leggi anche:  "Fotonica", a Roma l'ottava edizione del festival di arte digitale

Tutti i progetti sono stati finanziati attraverso fondi europei destinati all’integrazione sociale dei cittadini rom. Ma il nostro paese non ha mai fatto richiesta di quei fondi, preferendo sperperare milioni di euro per la politica di segregazione nei campi.

LEGGI IL DOCUMENTO DI RADICALI ROMA E DELL’ASSOCIAZIONE E’ POSSIBILE


LEGGI ANCHECampi Nomadi s.p.a., il business della segregazione dei rom 

Native

Articoli correlati