Come sinofobi, padani e xenofobi crearono il Coronavirus dell'odio
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Come sinofobi, padani e xenofobi crearono il Coronavirus dell'odio

Chiang Kai-shek, il comunista cinese ante litteram che si trasformò nel più feroce degli anticomunisti. Come Salvini, il il Leoncavallo, i 49 milioni e la Padania. E tanti complottisti

Matteo Salvini
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Claudio Visani Modifica articolo

2 Marzo 2020 - 20.43


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Tutto cominciò in una popolosa città della Cina centrale, famosa nell’antichità per le arti, la poesia e gli studi intellettuali, diventata nei tempi moderni uno dei principali terminali dei commerci con l’Occidente, in particolare con il lombardo-veneto. Una città che agli inizi del secolo scorso era stata la capitale di un governo nazionalista di sinistra che si opponeva a Chiang Kai-shek, il comunista ante litteram che si trasformò nel più feroce degli anticomunisti, fondando e guidando poi a lungo il più corrotto dei regimi, quello di Taiwan. Per farla breve, un po’ come Salvini, il Leoncavallo, i 49 milioni e la Padania.
I cinesi di quell’area remota un giorno cominciarono ad ammalarsi in massa, colpiti da un morbo misterioso. Le autorità all’inizio minimizzarono: “Colpisce solo l’1% delle persone”, dissero, sorvolando sul fatto che quell’1% equivaleva agli abitanti dell’Austria e della Svizzera messi insieme. Si disse che a portare la malattia fossero stati i pipistrelli e i serpenti velenosi. E forse i topi che secondo un noto politico padano i cinesi “si mangiano vivi, come tutti sappiamo”.
Alcuni grillini e terrapiattisti ipotizzarono che il virus fosse stato prodotto in un laboratorio segreto dove i cinesi stavano preparando un’arma batteriologica letale, naturalmente copiata dall’Occidente, per conquistare definitivamente il pianeta. I no-vax sostennero che era tutta una manovra delle multinazionali del farmaco per produrre e vendere i vaccini contro lo stesso morbo.
La città con i suoi quindici milioni di abitanti venne sigillata e messa in quarantena dal regime: nessuno poteva più entrare e uscire. In otto giorni i cinesi costruirono due ospedali con diecimila posti letto. In quindici bloccarono completamente la diffusione del virus. Ma l’epidemia nel frattempo aveva varcato i confini della Cina, gli Oceani e raggiunto anche l’Occidente. I cinesi divennero gli untori. Venivano guardati come appestati. Nella Padania, in particolare, quando se ne vedeva uno ci si voltava dall’altra parte e si sputava per terra. Il Chiang Kai-shek padano, che nei mesi e negli anni precedenti aveva seminato tonnellate di odio contro i comunisti, gli immigrati e i diversi, invocò la chiusura dei porti e delle frontiere. Arrivò a proporre di mettere in quarantena tutti i musi gialli presenti al Nord, anche i bambini delle scuole. “E non perché sono razzista – precisò – ma perché hanno una brutta cera”.
Le conseguenze della sinofobia sull’economia furono devastanti. Le aziende cinesi smisero di produrre. Salvini non trovava più le felpe. I supermercati l’Amuchina. Gli ospedali i farmaci. Poi, all’improvviso, il morbo cominciò a diffondersi a macchia d’olio anche in Padania e dalla Padania prima al resto dell’Italia, poi all’Europa. Nessuno ormai, nel mondo, veniva più infettato da un cinese. Tutti venivano invece contagiati dai lombardo-veneti, che facevano avanti e indietro con la Cina e non si capiva che cazzo avessero da viaggiare come pazzi per tutto il pianeta. Così nel volgere di pochi giorni gli appestati divennero proprio loro, i padani. Le navi da crociera con equipaggi italiani venivano respinte o bloccate nei porti. Gli aerei con turisti padani rimandati indietro dai paesi esotici dell’Africa e dell’Asia. Bastava la presenza di un massaggiatore di Bergamo in un team per sospendere il giro ciclistico degli Emirati. O che ci fosse un meccanico di Varese in una scuderia motociclistica per rinviare due prestigiosi Gran Premio in Asia.
Nessuno voleva più “les italiens du nord”. Gli immigrati da respingere perché portavano le malattie erano diventati loro. Nella ricerca spasmodica della fonte originaria del contagio, si arrivò a scoprire che il vero “paziente zero” non era cinese ma un imprenditore leghista di Lecco che frequentava un centro massaggi della città. Sarebbe stato lui ad infettare la massaggiatrice, che poi era poi tornata in quella remota regione della Cina per festeggiare il Capodanno, accendendo l’epidemia. Non solo. La scienza arrivò anche a stabilire che l’origine del morbo non era da attribuire ai pipistrelli e ai serpenti velenosi, ma a una particolare molecola generata da una moderna e finora sconosciuta reazione chimica degli umani. Una reazione prodotta da strani connubi, molto diffusi nell’Occidente sovranista. Xenofobi che vivono di globalizzazione. Razzisti che sfruttano il lavoro di neri, gialli e rossi. Aspiranti sceriffi che suonano ai citofoni e speculano sulle paure. Sinofobi che frequentano i centri massaggi cinesi. Un mix micidiale da cui sarebbe nato il “coronavirus dell’odio”. La più pericolosa pandemia del XXI secolo. Perché non si combatte con i farmaci ma con la ragione e l’umanità.

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