L’opportunità di una conversazione telefonica con padre Antonio Spadaro su questo nostro tempo, il tempo del coronavirus, obbliga a scegliere: impossibile approfittare della cortesia dell’interlocutore per chiedere tutto quel che si vorrebbe, o si dovrebbe.
Ho tentato di parlare con il gesuita da tutti considerato molto vicino a Papa Francesco e con il direttore del quindicinale dei gesuiti, La Civiltà Cattolica, la rivista che si è mondializzata, con edizioni in tante lingue, dall’inglese al coreano, e tanti corrispondenti, che coprono le diverse aree del mondo e del sapere. Così l’informazione al tempo del coronavirus e il ruolo di Papa Francesco in questa nuova fase è diventata la forchetta davanti a me, i due punti attorno ai quali ho avvertito l’esigenza di orientare la conversazione.
Pensare a Francesco e il coronavirus mi fa pensare a un libro che ho letto all’inizio di quest’anno, “Il naufragio delle civiltà”, di Amin Maalouf. Non parla di coronavirus, ovviamente, ma questa idea di naufragio di civiltà alla sbando è molto attuale. Dov’è la leadership dell’Occidente, del “mondo libero”? Siamo più che al ritiro americano al ritiro occidentale? Pensando a queste idee che mi accompagnano profondamente non ho potuto non chiedere a padre Spadaro se Francesco non sia davvero l’ancora globale. E’ un’esagerazione? E’ una realtà? La sua risposta è partita dalla constatazione che è emersa ancora in questi giorni da tanti colloqui con varie persone, di vari continenti, di diverse religioni o non religiose. La cose che lo ha colpito “è che tutti affermano che il mondo manca di leadership. Cioè, non ci sono figure nel mondo che possano essere considerate leader di impatto e valore globale tranne una.” Ovviamente quell’unica figura è Francesco. Ma il punto al quale ha voluto chiaramente dare risalto è che questa valutazione non emerge solo tra cattolici, né solo tra credenti. E quindi ha aggiunto: “Tanti leader di impatto locale, nazionale, ci sono, fortunatamente. Ma l’unico leader di valore mondiale resta Francesco, perché il suo messaggio viene recepito globalmente ed è un messaggio di unità e di forza in questo momento difficile.”
E questo, mi ha fatto capire, non soltanto per la vicinanza morale morale e la forza spirituale che è emersa con la sua brevissima passeggiata nel cuore della Roma blindata, mettendo a repentaglio la salute sua ma non quella degli altri visto che la notizia non è stata diramata e quindi non c’è stato alcun assembramento. Questo riconoscimento emerge soprattutto per il messaggio che ha costruito negli anni e che tocca i nodi che si aggrovigliano nella pandemia: “E’ evidente che bisogna riprendere in mano l’enciclica Laudato si’, enciclica sulla casa comune che non è solo un’enciclica sull’ambiente ma che riguarda la dottrina sociale della Chiesa. Essa fa comprendere le questioni ecologiche che hanno un impatto fortissimo, devastante sulla vita su questa nostra Terra, e sulla giustizia sociale.”
Certamente la Laudato si’ supera i confini tra credenti e non credenti e questo ricollega al discorso da cui padre Spadaro e partito, facendo di Laudato si’ una direzione che riguarda tutti e quindi un ponte tra uomini di diverse culture e identità. Ovvio allora che il secondo elemento della riflessione del Papa che padre Spadaro trova centrale oggi, in questo momento storico, “ è quello sulla fratellanza umana. Mai come in questo momento ci rendiamo conto che i confini di fatto non hanno valore proprio perché il virus li attraversa con grande facilità. Esiste una umanità che ci fa sentire fratelli perché condividiamo esattamente lo stesso problema. Però questa situazione di pestilenze, come è stato nella storia, quindi di pandemie, fa venire fuori tutti gli istinti peggiori: la paura, l’egoismo, tutto ciò che ci spinge a compiere atti che non sono in linea con la nostra più profonda umanità. Posto questo, e visti i rischi ai quali ci può esporre una prolungata sollecitazione di questi istinti negativi, serve, oggi più che mai, una riflessione sulla fratellanza umana, sulla linea di quella che hanno compiuto un anno fa Papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb.”
Dunque, come sempre nella vita, questa sfida, sebbene terribile e angosciante per il suo carico di lutti e di morte, ci potrebbe offrire l’occasione di avvicinarci alla verità che non vediamo: “quanto sia tangibile questa fratellanza. In questo caso rivelata dalla comune fragilità.”
Questo messaggio dunque unisce da una parte quella che al sinodo sull’Amazzonia è stata chiamata “l’ecologia umana integrale” e che io percepisco come una tutela del pluralismo del mondo e la prospettiva della fratellanza umana. Le culture esprimono ecosistemi, paesaggi, storie e preservarle nelle loro diversità vuol dire preservare anche quegli ambienti, quegli ecosistemi che sono quelle culture. Ecco perché per Francesco il tempo è superiore allo spazio, cioè i processi contano più della conquista, ecco perché il tutto è superiore alla somma delle parti: perché è il pluralismo del mondo che lo rende “mondo”, non Amazzonia più Europa più Africa Australe e così via. Il mondo non è una somma, ma un insieme plurale e quindi universale perché esiste ed è tale solo per i suoi mille volti diversi. Questo messaggio, per come lo percepisco io, salda ecologia e Fratellanza umana perché l’idea di fratellanza è fatta da persone uguali perché diverse e quindi complementari, non opposte. Così come sono i fratelli. Ecco che in Amazzonia non è normale uscire di casa in giacca e cravatta e questo arricchisce nella fratellanza il mio essere un lavoratore in giacca e cravatta anche perché esiste l’Amazzonia, nella sua diversità complementare. Mi sembra in certo senso quello che Francesco ha ripetuto anche nella recente intervista concessa a “Vatican Insider”. Alla domanda pregnante di Domenico Agasso “dove possono trovare conforto i non credenti” Francesco ha risposto: “Non voglio distinguere tra credenti e non credenti. Siamo tutti umani e come uomini siamo tutti sulla stessa barca. E nessuna cosa umana deve essere aliena per un cristiano. Qui si piange perché si soffre. Tutti. Ci sono in comune l’umanità e la sofferenza. Ci aiutano la sinergia, la collaborazione reciproca, il senso di responsabilità e lo spirito di sacrificio Che si genera in tanti posti. Non dobbiamo fare differenza tra credenti e non credenti, andiamo alla radice: l’umanità. Davanti a Dio tutti siamo dei figli.”
Così si coglie un altro risvolto del discorso che offre una visione globale e ci fa capire cosa sia una vera leadership globale.
Questa visione non può che comprendere anche la globalità dell’emergenza sanitaria e quindi delle diverse epidemia che esistono. Tutte curabili, però, a differenza del coronavirus. Ha scritto infatti su Civiltà Cattolica padre Andrea Vicini: “Si stima che, nel 2019, 37,9 milioni di persone nel mondo siano state positive al virus Hiv. Se consideriamo le stime complessive dall’inizio della pandemia, le persone risultate sieropositive sono 74,9 milioni, con 32 milioni di decessi causati dall’Aids. Si calcola che, nel 2018, 3,2 miliardi di persone vivessero in aree a rischio di trasmissione della malaria in 92 Paesi del mondo (soprattutto nell’Africa sub-sahariana), con 219 milioni di casi clinici e 435.000 morti, di cui il 61% erano bambini con meno di 5 anni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 10 milioni di persone in tutto il mondo si sono ammalate di tubercolosi nel 2018, con oltre 1,2 milioni di decessi, di cui l’11% tra bambini e ragazzi con meno di 15 anni”. C’è dunque un dato evidente che emerge. Lo scarso interesse che ha destato tutto questo. Eppure capire avrebbe aiutato, forse, anche a prevenire.
Il suo ragionamento qui non ha espresso giudizi, ma l’importanza di connettere anche le cifre del passato del presente, ricordando che in passato vci sono stati passaggi ancor più drammatici. E’ così che si arriva a un decisivo “tuttavia”. “Tuttavia bisogna considerare una cosa: questa è la prima pandemia al tempo dei social, una pandemia al tempo dell’informazione globale, quando il mondo è un unico Paese, nel quale quel che accade in Italia viene immediatamente saputo in Cina, o negli Stati Uniti. E non solo: l’informazione è diffusa capillarmente e anche le emozioni connesse alle informazioni. Questo cambia molto la percezione di ciò che avviene. Questa inoltre è la prima pandemia al tempo dell’iperconnessione fisica grazie alla democratizzazione dei viaggi aerei intercontinentali. Perché si diffonde la pandemia? Perché la gente viaggia. Quindi i numerosi viaggi hanno diffuso il virus. Gli aerei ti portano da un capo all’altro del mondo in non più di dodici ore e così un’infezione contratta in un luogo del pianeta arriva all’altro capo del mondo in mezza giornata. Questo deve farci riflettere su come il mondo sia cambiato, e quindi su quanto sia assolutamente urgente e necessario pensare il nostro modo di considerare il fenomeno pandemico. Come ha detto, credo quattro anni fa, Bill Gates ci siamo concentrati completamente sulla deterrenza nucleare e ci siamo dimenticati che la fine del mondo potrebbe arrivare non da una guerra nucleare ma da una pandemia terribile. Ci sono state delle epidemie molto forti nel mondo. Ci ricordiamo tutti dell’Ebola, ad esempio. Tuttavia queste epidemie sono nate in luoghi dove non c’era grande transito di persone non locali, e quindi sono rimaste molto localizzate. Però ci rendiamo conto che oggi sempre più difficilmente può accadere questo. Il mondo è più unito e dunque la questione delle pandemie va affrontata in maniera assai più sistematica.”
Si arriva così all’informazione, che è parte di questo tempo interconnesso. Antonio Spadaro conviene che ovviamente anche adesso ci siamo di buon giornalismo e di sensazionalismo, di spettacolirazzazione. Tornando alle sue conservazioni con interlocutori di tutto il mondo osserva che alla fine si parla sempre di questo, della pandemia. Dunque è normale che la tentazione di spettacolizzare ci sia. “ Questo significa che in qualche modo il virus ha unito il mondo ma significa pure che il mondo rischia di “spettacolizzare” quello che sta avvenendo.” Ma il suo messaggio è chiaro: “Questo tempo va affrontato con creatività e generosità. Molti i casi di solidarietà digitale legati alla crisi che viviamo. La Civiltà Cattolica come altre testate, ad esempio, ha deciso di aprire gratuitamente online i propri contenuti. In ogni caso l’informazione – e le infrastrutture che la permettono – va tutelata, specialmente in questo momento: è essenziale. Basti pensare, in un momento come questo nel quale molti accedono all’informazione via internet, che cosa potrebbe significare una interruzione della rete: un gravissimo problema per la democrazia.”
I rischi sono anche altri, ovviamente. “Le parole possono essere usate viralmente come pietre. Basta alzare i toni per ricevere ascolto in questo momento in cui la gente ha paura. Abbiamo assistito anche a una continua retorica della guerra, come se noi fossimo in guerra, come se ci fosse un nemico, ma c’è una grave emergenza sanitaria.”
Dunque l’informazione deve costruire ponti tra persone isolate, chiuse in casa. I giornalisti che immagina sono come i medici, che curano le ferite e le malattie di questo tempo: “con coraggio, con forza, con verità”, anche con la denuncia, ma per curare l’altro, non per dividere.
E Lo slogan “andrà tutto bene”? Lo convince. Ha detto di sì. Perché “mi piace usarlo perché credo importante mandare messaggi positivi. In questo momento servono messaggi di speranza. E sono anche convinto che ne usciremo. Ho sentito poco fa un mio amico di infanzia che adesso fa il medico a Bergamo. Era disperato per la situazione, per ciò che vede davanti a sé, ma era pure convinto della necessità di alimentare la speranza per andare avanti.” Dunque oggi si deve guardare con questa fermezza alla speranza ma serve anche una riflessione critica. “Capire perché tutto questo è accaduto è importante, anche perché il fatto che sia accaduto adesso non significa che non potrà avvenire in un prossimo futuro. Quindi dobbiamo orientare la nostra riflessione sulle cause, anche remote, che hanno fatto sì che questo virus si sia diffuso.” Ecco allora che senza fratellanza e senza l’ecologia umana integrale sarà difficile uscirne, sarà difficile scegliere la strada della speranza. Perché “c’è qualcosa nella nostra cura della casa comune, nel nostro rapporto con la natura, che non funziona.” Padre Spadaro è convinto che la scienza potrà aiutarci a comprendere che così non possiamo andare avanti. Difficile dargli torto.
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