Dalla tv alle scuole, il body shaming è ovunque: come contrastare una piaga culturale
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Dalla tv alle scuole, il body shaming è ovunque: come contrastare una piaga culturale

Un fenomeno che comprende sessismo e bullismo e che colpisce in particolar modo le donne: ecco come contrastarlo

Body Shaming
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4 Maggio 2020 - 13.01


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Con il disgustoso episodio di Striscia La Notizia che ha ridicolizzato la giornalista Giovanna Botteri per il suo aspetto, si è tornato a parlare di Body Shaming. Non avremmo mai dovuto smetterne di parlarne però, dato che il 94% degli adolescenti sostiene di essere stato vittima di questa forma di bullismo, spesso online. 
Giovanna Botteri non è adolescente, a dimostrazione che questo fenomeno colpisce tutti e in particolar modo – ovviamente – le donne. Camilla Hennig, psicologa e psicoterapeuta, spiega che il body shaming (letteralmente ‘vergogna del corpo’) consiste nell'”attribuire qualità negative a una persona sulla base di caratteristiche fisiche. In pratica, umiliare una persona per l’aspetto fisico”. 
“Mi piacerebbe che l’intera vicenda, prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste, quelle televisive soprattutto, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi. Non vorrei che un intervento sulla mia vicenda finisse per dare credibilità e serietà ad attacchi stupidi e inconsistenti che non la meritano. Invece sarei felice se fosse una scusa per discutere e far discutere su cose importanti per noi, e soprattutto per le generazioni future di donne”. Questa è stata l’impeccabile risposta di Giovanna Botteri agli insulti di Striscia, ma da anni il programma di Antonio Ricci compie forme anche molto aggressive di body shaming, proprio perché, come spiega Hennig, si tratta anche di un fatto culturale, difficilmente estirpabile: “Sulle donne ci si accanisce maggiormente, questo perché ci sono molti più elementi su cui focalizzarsi: dal pallore alla magrezza, dai capelli alla forma delle gambe. Giudizi legati al modello di bellezza che ci viene imposto e con il quale conviviamo quotidianamente: i corpi belli sono quelli magri. Questo assioma spiega anche perché è molto piu’ probabile il body shaming sulle persone ‘grasse’, fenomeno talmente diffuso da meritare un’etichetta tutta sua: fat shaming”.
Insomma, sessismo ma anche un paradigma culturale che Hennig chiama ‘diet culture’, che si basa sull’assioma che ‘migliorare’ vuol dire ‘dimagrire’. Sia chiaro, le malattie legate al peso esistono e vanno combattute, ma non certo attraverso l’umiliazione: “Le persone con una maggiore adiposità vengono giudicate pigre, poco sane, incapaci di impegnarsi seriamente per dimagrire. Ma anche buone, comiche, divertenti. Tutti stereotipi ben radicati nel nostro immaginario collettivo. E qui veniamo al nocciolo della questione: il body shaming è un comportamento appreso. Poi c’è chi è più o meno bravo a nasconderlo, ma è necessario prenderne atto: il body shaming fa parte della nostra cultura. Faccio un esempio. Siamo in emergenza sanitaria, sono in coda a fare la spesa, il signore davanti a me starnutisce. Tutti cominceremo a pensare che sia positivo al Covid. Ecco, lo stesso accade con le persone ‘grasse’: che sia un calo di pressione o un’unghia incarnita, la colpa sarà sempre e a prescindere del loro peso. In pratica, se uno è ‘grasso’ deve per forza avere una malattia”. 
“Spesso” continua Hennig, “ipocritamente si giustifica un attacco diretto con un’attenzione allo stato di salute altrui. Vedo una persona ‘grassa’ dal medico e le dico: ‘Mi dispiace tu non stia bene, ma avresti dovuto pensarci prima. ‘Di mettere su tutti quei chili di troppo’ sarebbe il prosieguo della frase, che uno si ripete in testa. Ecco, quella persona come si sente? Accudita o aggredita?”.
Fin da bambini siamo abituati infatti a un paradigma: il corpo grasso può essere preso in giro. Come comportarsi di fronte a episodi simili?
“È necessario modificare i nostri comportamenti: siamo immersi in questo tipo di messaggi, ma è nostra responsabilità tentare di correggerli. Naturalmente, dobbiamo crederci anche noi, perché è l’esempio il passaggio chiave. Non possiamo dire a nostro figlio di non chiamare ‘ciccione’ il compagno di classe e poi fare commenti sgradevoli sulla vicina, sottolineando, per esempio, ‘quant’è ingrassata’”. 

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