La fase due non è uguale per tutti: diritti diseguali per le donne
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La fase due non è uguale per tutti: diritti diseguali per le donne

Il lockdown e la violenza di genere: dialogo con Elisa Giomi, docente di Sociologia della comunicazione e dei processi culturali dell'Università Roma Tre

Femminicidio
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6 Maggio 2020 - 15.34


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di Manuela Ballo

Sono otto i volti di donna che si aggiungono alla lunga lista delle vittime di quest’anno: da quando è scoppiata l’emergenza, in pochi mesi, in Italia, si è purtroppo mantenuto alto il numero dei femminicidi. L’ ultimo report diffuso dalla Polizia di stato, “Questo non è amore”, con i dati aggiornati al 2019, ci dice che ogni giorno ci sono 88 donne che sono oggetto di atti di violenza da parte degli uomini. A titolo di esempio, a essere colpita è una donna ogni quindici minuti. Si discute molto se queste azioni siano legate, direttamente o indirettamente, alle condizioni in cui siamo costretti a vivere a causa del virus e, in questo caso, alla convivenza forzata delle vittime con il loro aguzzino. Un dato risulta particolarmente allarmante che, in realtà, evidenzia esplicitamente la condizione in cui vivono le donne: la drastica riduzione del flusso di richieste d’ aiuto al numero antiviolenza, corrispondente al telefono 15.22.
Come spiegare questo dato fondamentale a prima vista così paradossale? “Forse perché sono costantemente sotto controllo” commenta a questo proposito Elisa Giomi, docente di Sociologia della comunicazione e dei processi culturali dell’Università Roma Tre, sottolineando come le donne in queste settimane di lockdown si trovino in seria difficoltà, tanto da “non trovare né il tempo né il modo per telefonare e chiedere aiuto”. A soffrirne non sono soltanto le donne: la quarantena forzata, con la conseguente chiusura delle scuole e la limitazione della libertà di movimento, ha avuto fortissime ricadute anche sui minori, che sempre più assistono a queste violenze non potendo sottrarsi alla loro vista. 
Non a caso, Linda Laura Sabbatini, direttora centrale dell’Istat, ha scritto che “Il Corona Virus è un nemico invisibile che ci ha privati della libertà e che ci ha reso ancor più disuguali.

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Anche più diseguali tra uomini e donne. La ripartenza deve trasformarsi in un’occasione per rafforzare i diritti delle donne e per non farli arretrare”. È evidente, quindi, che tutti i provvedimenti sia quelli sullo smart-working, sia quelli sulle libertà individuali e sui provvedimenti finanziari, produrranno benefici inevitabilmente diversi per l’uno e per l’altro genere. 
La casa, così, da luogo protetto si trasforma in vera e propria prigione senza alcuna via d’uscita. La stessa sensazione di prigionia l’avranno, probabilmente, provata le otto donne che, tra marzo ed aprile, sono state uccise brutalmente: Lorena, Irina, Viviana, Irma, bruna, barbara, Gina ed Alessandra.
 Lorena, giovane ragazza siciliana, aveva 27 anni, quando la mano brutale del suo ragazzo ha deciso di tapparle la bocca per sempre; coltivava un sogno: voleva diventare medico ed aiutare gli altri. Come lei, altre sette donne tra i 28 e i 90 anni hanno perso la vita in questi mesi di confinamento sociale: Irina e Viviana verranno massacrate di botte, Irma e bruna uccise a colpi di pistola, infine barbara, Gina e Alessandra la cui fine è stata dettata dalla gelosia dei loro compagni e dall’incapacità di accettare le loro decisioni. Queste donne hanno pagato con la vita il fatto di aver amato uomini malati di possesso. 
Quello che più colpisce, in un periodo come questo, segnato da un’ emergenza dentro l’emergenza, è la scarsa attenzione mediatica dedicata a queste donne e, più in generale, alla tematica della violenza di genere; probabilmente presi dall’ attuale emergenza sanitaria e sommersi come siamo da un mare magnum di notizie su di essa, finiamo per dimenticarci di quest’altra emergenza altrettanto importante e che necessita, ora più che mai, di campagne informative e di sensibilizzazione. Bisognerebbe effettivamente applicare l’articolo 17 della convenzione di Istanbul che dovrebbe vedere i media responsabilizzati a partecipare ad un cambiamento culturale che possa prevenire la violenza sulle donne.

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Questi numeri sono la dimostrazione di quello che da anni è un fenomeno strutturale da non attribuire, come molti potrebbero pensare, solo allo stress causato dalla quarantena che porterebbe a giustificare gli aggressori fornendogli attenuanti.
Essendo un fenomeno strutturale la violenza è insita nella società e questo germe che ha nidificato dentro di noi porta a dei meccanismi che la rendono possibile e schifosamente “normale”.

E se da una parte con l’arrivo del virus si è assistito ad un calo generale degli omicidi in Italia, dall’altra la violenza domestica ed i femminicidi potrebbero, invece, aumentare. Nota Elisa Giomi: “La permanenza prolungata tra le mura domestiche non fa altro che aumentarne il rischio e considerando che la maggior parte di questi atti di violenza avvengono nella cerchia familiare, e i dati ci dicono che per il cinquanta percento avvengono ad opera del compagno o del marito, ecco che il rischio sale”. Le donne pertanto, per un motivo o per un altro, finiscono per pagare le conseguenze dell’isolamento forzato e delle differenze economiche e sociali trovandosi sempre più in una condizione di precarietà che di certo non aiuta a contrastare la differenza di genere e che non permette di uscire facilmente da quell’incubo chiamato femminicidio.

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