L’attuale querelle sui monumenti “da abbattere” sta assumendo toni surreali e modi da resa dei conti fuori tempo massimo. In questo incedere iconoclasta, negli Stati Uniti c’è chi vuole liberare il Paese dall’icona del “colonialista” Cristoforo Colombo (lasciando però al loro posto le innumerevoli facce di bronzo di George Washington, quel “padre della patria” proprietario di schiavi…)
Varcato l’Atlantico, ecco che a Bristol in Inghilterra la folla abbatte la statua del mercante di schiavi Edward Colston: un ben strano modo per ricordare le numerosissime vittime del pessimo passato schiavista e coloniale britannico (quanti sono i monumenti che, sull’isola, sono dedicati a queste loro vittime?)
E in Italia? Chi a Milano imbratta il monumento allo “stupratore razzista” Indro Montanelli – e a Torino quello a Vittorio Emanuele II – non farebbe meglio a rivendicare un analogo bronzeo ricordo, che so, del leader cirenaico della resistenza anti-coloniale Omar al-Mukhtār, impiccato nel 1931 da Badoglio e Graziani? E quando mai si è marcata la distanza da queste tristi pagine della nostra storia patria dedicando vie e piazze, per dire, alla memoria dei torturati e dei gassati in Somalia nel 1935-’36 (con buona pace del “negazionista” Montanelli) o dei torturati e dei deportati sloveni dopo l’occupazione italiana del 1941: vecchi, donne e bambini trattati come bestie; “non umani”, insomma s’ciavi, morti di stenti in italianissimi campi di concentramento come quello all’isola di Rab.
Perché abbattere? Non sarebbe meglio lasciare ciò che resta lì dov’è ribaltandone il senso? Perché, buon esempio, non fare come a Bolzano? Sulla facciata della locale Casa del Fascio permane un grande bassorilievo con al centro il duce a cavallo e il motto “Credere obbedire combattere”. Lì sopra ora appare una scritta luminosa, in italiano, tedesco e ladino: «Nessuno ha il diritto di obbedire». Sono parole di Hannah Arendt.