Per un bambino di 9 anni, il Covid si è comportato in modo subdolo: lo scorso 20 aprile, il giovane paziente ha un po’ di tosse e naso che cola, la sera del 21 la febbre sale a 38,3, il 22 è finito tutto. Almeno, all’apparenza: perché sottoposto a tampone il bambino continuerà a risultare positivo per i successivi tre mesi, 82 giorni per l’esattezza, con esito negativo ottenuto solo il 4 agosto (e riconfermato il 6).
Il caso raccontato da un team di medici italiani è protagonista di uno studio scientifico pubblicato sul ‘Journal of Infection’, a sole 24 ore dalla presentazione. Nel lavoro gli autori spiegano che la storia del piccolo rimasto così a lungo positivo “suggerisce come nei bambini paucisintomatici possa essere rilevata una carica virale eccezionalmente elevata e di conseguenza l’eliminazione del virus può durare a lungo”. Va dunque stabilita la durata dell’infettività, per evitare che questi pazienti vengano costretti a un lungo isolamento pur non essendo più infettivi. “Ci sono più segnalazioni di diffusione virale prolungata in persone infettate da Sars-CoV-2, ma la presenza di Rna virale su un test non è necessariamente correlata all’infettività”, fanno notare gli autori. Un tema importante da approfondire, visto l’impatto sulla definizione dei tempi necessari di quarantena.
Il baby-paziente al centro dello studio è bimbo con una forma di autismo e disabilità intellettiva, ospite di Villa Santa Maria, centro multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza con sede a Tavernerio, in provincia di Como. Gli autori sono camici bianchi della Fondazione, Enzo Grossi e Vittorio Terruzzi. Il loro lavoro aggiunge ulteriori dati a uno dei ‘capitoli’ più caldi in questi giorni: Covid-19 e i giovanissimi. Se ne parla da settimane con la riapertura delle scuole alle porte, e anche oggi in sede di Oms Europa è stata messa in evidenza la necessità di dati ed evidenze scientifiche forti.
La ricerca italiana offre il suo contributo. Il team di Villa Santa Maria firma due studi che esplorano casi asintomatici o paucisintomatici fra bambini e adolescenti. Una di queste ricerche è appunto il focus sul bimbo di 9 anni. “Finora pochi studi si sono concentrati sulla durata del rilevamento di Covid-19 in soggetti asintomatici o paucisintomatici. Negli adulti asintomatici, il tempo mediano dal primo test positivo al primo di due tamponi negativi consecutivi è compreso tra 7 e 23 giorni. Solo due studi di casi clinici hanno riguardato i bambini, con virus rilevabile per 10 giorni e per 17 giorni. Il caso del bimbo di 9 anni allunga i tempi.
Si tratta di un caso “di carica virale eccezionalmente alta” e di lento smaltimento dell’Rna virale. Quando il piccolo ha mostrato lievi sintomi compatibili con la malattia, è stato sottosto a test e all’esame obiettivo non sono stati notati segni clinici di coinvolgimento polmonare. Il tampone eseguito il 24 aprile è risultato positivo. E così i successivi per diverse settimane e il soggetto è stato mantenuto in isolamento per tutto il periodo, in cui peraltro è sempre rimasto asintomatico.
La conclusione, spiegano gli esperti, è che “a prescindere dal fatto che abbiano o meno manifestato i sintomi dell’infezione da Covid-19, i bambini e i ragazzi che sono stati affetti dal coronavirus possono risultare positivi al tampone nasofaringeo per periodi che arrivano a sfiorare i tre mesi”, come nel caso del bimbo di 9 anni, in ragione della carica virale iniziale estremamente alta. “Il dato conferma l’importanza della determinazione delle cariche virali in soggetti con positività al Covid-19”. Quello della carica virale, ovvero della concentrazione del virus nell’organismo, “è un aspetto molto delicato e spesso trascurato”, evidenzia Grossi. “Normalmente ci si limita a definire se un soggetto sia positivo o negativo a Covid-19, ma nell’ambito della cosiddetta positività i valori di carica virale possono variare di oltre 10 ordini di grandezza, e questo può fare una grande differenza nel modulare l’intensità delle precauzioni da adottare”.
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