di Orsola Severini
Amore e clandestinità: come vivevano i giovani dirigenti comunisti esiliati durante il Ventennio?
Con l’inasprimento della dittatura fascista a seguito del delitto Matteotti (1924) e il promulgamento delle leggi fascistissime (1925 e 1926) che impediscono qualsiasi libertà di espressione e sanciscono la fine delle ultime parvenze di democrazia, i dirigenti comunisti capiscono che continuare a coordinare l’azione antifascista dal territorio italiano è diventato impossibile. Il Comitato Centrale viene trasferito a Parigi dove è diretto da Palmiro Togliatti.
La vita parigina del Partito Comunista d’Italia è raccontata in modo dettagliato in Un’Isola di Giorgio Amendola, che non si sofferma solo sugli aspetti politici, ma ci racconta anche la sua esperienza personale e di come ha incontrato il suo grande amore, in condizioni a dir poco rocambolesche.
Giorgio è figlio di Giovanni Amendola, giornalista e politico napoletano, deputato del partito “Democrazia liberale” all’avvento del fascismo. Pur non essendo né comunista né socialista, Giovanni Amendola si oppone fermamente a Mussolini sin dall’inizio. Pagherà cara questa scelta, muore infatti nel 1926 a causa delle ferite inferte dalle squadre fasciste.
Naturalmente, questo sconvolge profondamente il figlio Giorgio, che ha solo 21 anni alla morte del padre, e si iscrive al partito per raggiungere i compagni a Parigi nel 1930.
“Giravo a Parigi, riconoscevo le sue strade, imparai a conoscere le ragazze di Parigi. Un tipo nuovo di donna per me che venivo da Napoli, dove la frattura tra le ragazze del popolo, quasi sempre analfabete, e quelle della borghesia, anche della piccola borghesia, era totale, persino sul piano linguistico. Qualche esperienza a Napoli mi aveva dimostrato l’impossibilità di un rapporto tenuto con ragazze del popolo su un piano di parità umana. Restavo sempre il “signorino” e ciò dava al rapporto sessuale un carattere servile e degradante, che mi sembrava umiliante anche per me. Le ragazze di Parigi erano figlie del popolo, figlie di lavoratori anch’esse, lavoratrici, operaie, commesse, ma istruite ed eleganti. Si avvertiva subito una solidità di una cultura di base, fornita dalle buone scuole laiche della Repubblica, anche dalle sole elementari.”
Nella capitale francese Amendola risiede sotto mentite spoglie, ufficialmente è uno studente, ma in realtà lavora al fianco di Togliatti, Grieco e Terracini come redattore di Stato Operaio. Funge anche da “fenicottero” (un messaggero incaricato di recapitare documenti segreti utili al partito e alla lotta antifascista) svolgendo diverse missioni importanti a Cambridge, Berlino e nel Nord Italia.
Il 14 luglio 1931, Amendola partecipa ai festeggiamenti dell’anniversario della presa della Bastiglia in un quartiere popolare. È qui che incontra, per caso, la donna della sua vita che si trova in compagnia della madre. Amendola la invita a ballare:
“Era un valzer veloce, difficile per me che non sapevo volteggiare ad un ritmo così incalzante. Accanto a me i giovani proletari facevano prodezze. Ero incantato dal fascino della mia compagna, una bellezza non sfacciata ed imbellettata, ma riservata e modesta con la sua faccia chiara e pulita, e che si rivelava lentamente, con una presa irresistibile. Le mani, fini e asciutte, rivelavano una gran forza interiore. Animata, come liberata dal peso di una vecchia costrizione, gli occhi accesi da una fiamma, si stringeva alle mie braccia, col suo corpo agile e solido, in un abbandono fiducioso. Fu un amore a prima vista, non una favola romanzesca, ma la base della nostra vita. Sono passati 49 anni, io scrivo, lei dipinge, siamo invecchiati insieme, ma è tutto nato allora, in quella calda festa popolare.”
I due si frequentano assiduamente ma la ragazza non è stupida e intuisce che lui nasconde qualcosa:
“In fondo non so quale sia il tuo vero nome. Ti fai chiamare Galassi, ma non ho visto il tuo passaporto. Cambi sempre domicilio, a casa tua non posso venire, e tu conosci tutto di me”. Era un discorso serio. Stavamo sdraiati su un prato del Bois de Boulogne. Feci finta di offendermi per la mancanza di fiducia. “Se vuoi vedere il mio passaporto, eccolo!” E glielo porsi. “Non c’è bisogno, mi basta il tuo gesto”. Tirai un sospiro di sollievo. Sul passaporto il cognome era effettivamente Galassi, ma figuravo come un muratore, sposato e con ben quattro figli!”.
Nel 1932 viene incaricato di effettuare una missione in Italia, la situazione del Partito è drammatica, la maggior parte dei dirigenti e dei militanti attivi sono finiti nella rete dell’OVRA. Prima di partire svela la sua vera identità a Germaine, dicendole che vorrebbe sposarla ma non può. Lei reagisce in modo inaspettato, non si lascia intimorire e i due decidono che andranno a vivere insieme al suo ritorno, presumibilmente il mese successivo.
Amendola lascia Parigi il 3 giugno 1932 per Milano, dove però per un eccesso di fiducia in sé stesso, non segue il protocollo previsto per prendere contatto con il compagno Boretti (gli telefona mentre avrebbe dovuto mandargli una serie di cartoline con messaggi in codice) e viene così scoperto dagli agenti dell’OVRA e arrestato. Trascorre un primo periodo in isolamento nel carcere di San Vittore per poi essere trasferito a Roma.
Amendola riferisce di aver ricevuto un trattamento di favore, “ero trattato coi guanti”, in fondo era pur sempre figlio di uomo importante, proveniva da una famiglia alto borghese e intellettuale. Non venne quindi malmenato come invece lo furono brutalmente i suoi compagni “figli di nessuno”; il regime temeva gli scandali.
“Ebbi il permesso di scrivere a casa. La prima lettera fu per zio Mario. Non chiedevo aiuto, ma gli annunciai che a Parigi mi ero fidanzato, diedi l’indirizzo di Germaine, e lo pregai di farle sapere che cosa mi fosse capitato. Il pensiero di Germaine era assillante. Come avrebbe preso la mia sparizione?”
Questa prima lettera viene censurata e non arriva mai a destinazione, per fortuna il quotidiano francese L’Humanité pubblica la notizia del suo arresto con foto. Germaine riesce a prendere contatto con il carcere e inizia così una lunga corrispondenza tra i due fidanzati.
“Iniziavano ad arrivare i pacchi, uno particolarmente gradito, inviato da Germaine, con un maglione fatto a mano, troppo largo, ed un pacco di dolci, anche questi preparati da lei, sminuzzato alla mia presenza e poi sequestrato. Mi fecero mangiare un solo biscotto, ottimo”.
Qualche mese dopo Amendola viene scarcerato grazie a un’amnistia e condannato a cinque anni di confino all’isola di Ponza.
“Germaine manifestò subito la sua volontà di ottenere il permesso di raggiungermi e di sposarmi”, e così la giovane parigina che non aveva mai lasciato la propria città e non parlava una parola d’italiano, arrivò sull’isola dove il 10 luglio 1934 si celebrò il matrimonio civile.
“Al porto di Ponza c’era la folla delle grandi occasioni. Tutti, confinati, militi ed agenti, carabinieri, molti ponzesi, voleva vedere arrivare la “parigina”. Allora nella fantasia popolare sopravviveva il mito della parigina “libera ed elegante che per cinque franchi ti fa vedere le gambe”. Germaine aveva sofferto di mal di mare ed era scesa a terra bianca e tremante.”
La giovane coppia si sistema in una semplice casetta dell’isola alla quale avevano diritto i confinati sposati, presto Germaine rimane incinta.
“Non avremmo voluto figli in quelle condizioni, ma le precauzioni, con i rudimentali mezzi dell’epoca, non erano state sufficienti. Ed a un aborto non si poteva ricorrere, Ci sentivamo presi dall’angoscia davanti a quell’evento impresto. Eravamo nelle mani degli altri”.
L’abitazione viene spesso messa a soqquadro dagli agenti per il minimo pretesto. Germaine, non sapendo come affrontare la gravidanza in quelle condizioni, chiede alla madre di raggiungerla. La suocera di Amendola arriva a Ponza, e si conquista subito le simpatie degli altri confinati, che alludendo ai suoi modi semplici e autoritari, spesso commentavano i fatti del giorno chiedendosi “Cosa dirà Madame Lecocq?”
Nonostante le condizioni precarie, Germaine ottiene il permesso di andare a partorire a Roma dove nasce la piccola Ada. Rimangono ancora qualche anno a Ponza, poi Germaine torna con la piccola e con la madre a Parigi. Amendola intende infatti pianificare una fuga e vuole prima mettere la famiglia al sicuro, Il piano va a buon fine e trascorrono la fine degli anni 1930 a Parigi. Gli anni a seguire sono bui e dolorosi, tutto sembra perduto, Amendola prende parte attivamente alla Resistenza: è uno degli ideatori dell’attentato di via Rasella.
Nel Dopoguerra tornano in Italia dove Amendola gioca un ruolo fondamentale sia a livello politico che istituzionale: membro della Costituente e deputato dal 1948 al 1980. Una vita piena di soddisfazioni ma anche di grandi dolori, la figlia Ada muore infatti precocemente prima dei 40 anni.
Tuttavia, l’amore folle tra Giorgio e Germaine è sempre fortissimo, rimangono sempre insieme, nonostante tutto. Un amore che ha superato frontiere, sfidando dittature e ideologie. I due muoiono a un solo giorno di distanza, nel 1980.