L’architettura è per tutti, nei cantieri del sud del mondo come in Italia
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L’architettura è per tutti, nei cantieri del sud del mondo come in Italia

Dalle baraccopoli ai campi di accoglienza, dalle città rase al suolo dai conflitti a quelle distrutte dai disastri ambientali, la ricostruzione o lo sviluppo devono poter ambire ai medesimi standard di qualità.

Architettura per tutti
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1 Giugno 2021 - 20.23


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Dalle baraccopoli di qualche megalopoli africana ai campi di accoglienza, dalle città rase al suolo dai conflitti a quelle distrutte da qualche disastro ambientale, la ricostruzione o lo sviluppo devono poter ambire ai medesimi standard di qualità. Dibattito aperto, dunque, sul ruolo dei professionisti dell’architettura, anche quando lavorano in situazioni di emergenza e povertà. A Parigi come nella Striscia di Gaza, stesso standard, stessa cura della bellezza. L’Ordine e la Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano progettano incontri formativi sul tema dell’architettura nella cooperazione internazionale, alla luce delle importantissime linee guida introdotte nel 2020 dalla Convenzione tra il Consiglio nazionale degli architetti (CNAPPC) e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). 

«Portare qualità, ricerca e bellezza dove queste possono fare la differenza. Investire sul progetto anche quando le risorse sono scarse. Trasformare lo spazio costruito in una opportunità di crescita, coesione, inclusione e consapevolezza civica», racconta l’architetto Alessio Battistella, presidente di ARCò, cooperativa fondata da un gruppo di ingegneri e architetti impegnati nella progettazione architettonica, urbana e del paesaggio basata su principi di sostenibilità ambientale.
Trovare riparo, ricevere un’istruzione, vivere in salute sono diritti che richiedono “contenitori” adeguati, e l’architettura sarebbe ben poca cosa se si limitasse a creare contesti di benessere. 

La Convenzione dice proprio questo: tutela la qualità del progetto e il ruolo dei professionisti tecnici impegnati in luoghi dell’emergenze. «La cooperazione, inoltre, ha un ruolo strategico», afferma Marcello Rossi, del Consiglio nazionale degli Architetti, appena eletto e ospite dell’incontro. «Soprattutto nella costruzione della consapevolezza del valore sociale della professione. La figura dell’architetto è nodale, ora più che mai, nei processi che indirizzano il senso e il valore dello sviluppo dei territori. Nella sua figura e nelle sue competenze si intrecciano, come in nessuna altra “missione” professionale, tematiche e problematiche tecniche e tecnologiche, sociali, culturali, estetiche ed etiche in tutte le loro tante, diverse derivate».

L’architettura come servizio. Temi sociali al centro, dunque. «Come Ordine di Milano seguiamo e promoviamo da tempo questi argomenti, dando spazio a quella che potrebbe erroneamente sembrare una parte laterale della professione dell’architetto. Oggi grazie alla Convenzione è stato fatto un altro passo nel riconoscere valore e dignità dell’apporto del progetto nella cooperazione internazionale», racconta il Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano, Paolo Mazzoleni. «In questo, come in altri aspetti, il nostro Paese è purtroppo in ritardo. Altrove, dalla cooperazione è nata ricerca, innovazione tecnologica e molta ottima professione. Oggi torniamo a ribadire che l’architetto che lavora nei progetti di emergenza e cooperazione non è un semplice volontario o un amatore, è professionista che mette a disposizione competenze di altissimo livello, anche se è evidente che chi sceglie di lavorare in quei contesti, lo fa con un surplus di impegno, di cuore e di generosità, e questo porta spesso a progetti di grande qualità», conclude Mazzoleni.

La Convenzione tra il Consiglio nazionale degli architetti e l’Agenzia italiana per la cooperazione fa chiarezza sulle ambiguità che per troppo tempo hanno reso difficile il lavoro degli architetti nella cooperazione. «Oggi finalmente è stato riconosciuto un ruolo», racconta Alessio Battistella.  «La pandemia ci ha barricati nelle nostre case, ma le Nazioni Unite ricordano che per ottanta milioni di persone costrette alla fuga da qualche emergenza antropica o naturale questo è stato un lusso che in molte parti della terra non è stato possibile permettersi. In quest’ottica il lavoro degli architetti impegnati in contesti umanitari non è, come in molti erroneamente ancora credono, un esercizio romantico e velleitario, ma una funzione fondamentale», spiega Luca Bonifacio di Hope and Space. 

«L’iter è stato lungo e complicato, non è stato immediato far capire l’identità profonda della nostra professione – racconta Walter Baricchi, già consigliere del Consiglio Nazionale degli Architetti che ha promosso la Convenzione –. Ci sono tanti modi di fare architettura, questo è un mondo spesso sottaciuto, ma di grande valore. L’emergenza è una condizione che richiede professionalità, motivazioni, specifiche abilitazioni e capacità operative intervenendo in scenari devastati. La progettualità gioca sempre di più un ruolo determinante anche nel settore umanitario dove il costruire, in senso lato, rappresenta concretamente un atto di responsabilità».

E quando si parla di sviluppo, ricostruzione, gli insediamenti urbani sono un tema importante. Le città sono abitate più del 54% della popolazione mondiale, producono più dell’80% del Pil mondiale, sono responsabili dei 23 dei consumi energetici globali e producono più del 70% delle emissioni dei gas serra, questo è uno di quei dati importanti su cui occorre fare attenzione quando si parla di urbanizzazione, ricorda Leonardo Carmenati, vicedirettore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Per questo sono importanti anche le attività di prevenzione e di contenimento. La figura dell’urbanista è quindi sempre più una figura di riferimento. E deve essere di qualità. 

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