Parole che i falsi cristiani dovrebbero leggere con attenzione, visto che il loro Natale è quello del becero consumismo e quello della tradizione usato come esclusione.
“L’avvenire del mondo sarà florido se sarà costruito e, dove serve, ricostruito insieme. Solo la vera e concreta fraternità universale ci salverà e ci permetterà di vivere tutti meglio”. Lo ha detto Papa Francesco alla vigilia di Natale.
“Questo però – sottolinea – significa che la comunità internazionale, la Chiesa a cominciare dal Papa, le istituzioni, chi ha responsabilità politiche e sociali e anche ogni singolo cittadino in particolare dei paesi più ricchi, non possono né devono dimenticare le regioni e le persone più deboli, fragili e indifese, vittime dell’indifferenza e dell’egoismo. Ecco, prego Dio affinché in questo Natale trasmetta sulla Terra più generosità e solidarietà. Ma vere, pratiche e costanti, non solo a parole. Spero che il Natale scaldi il cuore di chi soffre, e apra e rafforzi i nostri affinché ardano dal desiderio di aiutare di più chi è nel bisogno”.
Nell’intervista il Papa racconta anche le abitudini quotidiane che scandiscono le sue giornate. “Nulla è cambiato nella mia giornata: mi alzo sempre alle 4 di notte e inizio subito a pregare. E poi avanti con gli impegni e appuntamenti vari. Mi concedo solo una breve siesta dopo pranzo”.
Le riflessioni sul Natale
Papa Francesco in questo Natale pensa ai “poveri, sempre. Come Gesù, che è nato povero: quel giorno Maria era una donna di strada, perché non aveva un luogo adeguato per partorire.
E poi penso a tutti i dimenticati, gli abbandonati, gli ultimi, e in particolare i bambini abusati e schiavizzati. A me fa piangere e arrabbiare sentire le storie di adulti vulnerabili e di bimbi che vengono sfruttati. E, poi, penso ai bimbi malati che trascorreranno il Natale in ospedale, non ci sono parole, possiamo solo aggrapparci alla fede, a Dio, e chiedergli: ”Perché?”. E i genitori che hanno i figli fuori dall’ospedale non si dimentichino quanto sono fortunati, li abbraccino forte e dedichino loro più tempo”.
Il Pontefice ricorda i tempi dell’infanzia. “Alcune volte andavamo da una zia, alla sera, perché a Buenos Aires e nella nostra famiglia non c’era in quel tempo l’abitudine di festeggiare la vigilia come oggi.
Si festeggiava il 25 di mattina, sempre dai nonni. Ricordo una volta una cosa curiosa: siamo arrivati e la nonna stava ancora facendo i cappelletti, li faceva a mano. Ne aveva fatti 400! Eravamo sbalorditi!
Tutta la nostra famiglia era lì: venivano anche zii e cugini. Solo da adolescente ho cominciato a festeggiare un po’ anche la vigilia, a casa di una sorella di mia mamma che abitava vicino”.
A pochi giorni dal suo compleanno, 85 anni compiuti, il Papa ricorda anche le partite a calcio da ragazzo. “Non sempre c’era qualcuno che portava il pallone di cuoio e allora giocavamo con un pallone di stracci, la pelota de trapo. In Argentina il pallone di stracci è diventato un simbolo culturale di quell’epoca, a tal punto che un poeta popolare ha scritto una poesia chiamata Pallone di stracci, e c’è anche un film intitolato Pallone di stracci, che fa vedere questa ”cultura” dell’epoca. Mi chiamavano pata dura, letteralmente ”gamba dura”: questo soprannome me lo avevano dato perché non ero molto bravo. Allora stavo in porta, dove mi arrangiavo. Fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere ai pericoli che possono arrivare da ogni parte…” afferma Bergoglio.
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