Con una sentenza attesa che ribalta la storica Roe v. Wade, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha cancellato il diritto all’aborto a livello federale. Non resta nulla, nessuna garanzia nazionale di poter interrompere volontariamente la gravidanza: con un balzo indietro lungo mezzo secolo, da oggi ogni singolo stato americano avrà pieno potere sul destino delle donne americane.
È la scelta di una schiacciante maggioranza conservatrice voluta e sostenuta dai Repubblicani di Donald Trump, cui anche molti dei nostri politici applaudivano entusiasti. Ma questa scelta non eliminerà gli aborti, non fermerà una donna dal sottoporsi a interventi pericolosi e rischiare la vita. Vale per tutte ma ancor più per le donne povere, di colore o vittime di abusi; peraltro, in un paese che non offre congedi di maternità obbligatori né assistenza sanitaria universale.
Anche da noi i movimenti contrari all’avanzamento delle libertà civili trovano sponda in una certa politica che strizza loro l’occhio da lontano. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza del nostro voto, poiché chi sceglie per cosa lottare è, direttamente o meno, sempre nostra espressione. “Se vogliamo vedere un vero cambiamento nell’abbattimento del crimine, dobbiamo allevare una generazione che rispetti la vita nel grembo materno”, ha commentato ieri la Rep. Mayra Flores, eletta tanto da chi l’ha votata quanto da chi non ha votato.
Le nostre libertà sono fragili ovunque, non rappresentano concetti astratti ma conquiste da difendere giorno per giorno. Malgrado sia diffusa la tentazione a non ritenerci coinvolti, non si riassume tutto nella follia USA di riconoscere più diritti alle armi che alle donne: proprio nel nostro Paese una maggioranza di ginecologi obiettore di coscienza impedisce ancora la piena applicazione della legge 194/1978, perciò evitiamo di ritenerci al di sopra del problema e rimbocchiamoci le maniche.