Religione: come la Russia ha ricostruito un sistema confessionista modello zarista
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Religione: come la Russia ha ricostruito un sistema confessionista modello zarista

Negli ultimi due decenni la posizione della Chiesa ortodossa russa ha subìto una profonda trasformazione, che l’ha portata ad assumere un ruolo sempre più importante nella vita pubblica e a esercitare una profonda influenza nella società russa.

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21 Luglio 2022 - 23.58


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di Antonio Salvati

Le immagini dell’invasione russa dell’Ucraina ci hanno particolarmente colpito lasciandoci inorriditi. Per mesi la nostra attenzione si è concentrata sulle distruzioni provocate dall’uso imponente di armi pesanti e sulle centinaia di morti e migliaia di profughi del conflitto russo-ucraino. Nello stesso tempo abbiamo trascurato altri aspetti di questa guerra, come quello della dimensione religiosa, legata in particolare alla tradizione cristiana dominante, cioè l’ortodossia – con la quale si identifica il 71% dei russi e il 78% degli ucraini – le cui origini risalgono al 988 con la conversione al cristianesimo del Gran Principe Vladimir, che governò la Rus’ di Kiev dal 980 al 1015. Nel 988, Vladimir fu battezzato da missionari provenienti da Costantinopoli, allora capitale dell’impero bizantino.

Negli ultimi due decenni la posizione della Chiesa ortodossa russa ha subìto una profonda trasformazione, che l’ha portata ad assumere un ruolo sempre più importante nella vita pubblica e a esercitare una profonda influenza nella società russa. Ne parla diffusamente Giovanni Codevilla nel volume La nuova Russia. Dal 1991 alla guerra ucraina (Jaca Book 2022, pp. 420 € 46). La Costituzione della Federazione Russa del 12 Dicembre 1993, oltre a prevedere la libertà religiosa, con molta chiarezza stabilisce un sistema laico e separatista. Infatti, accanto alla laicità dello stato è prescritto che «nessuna religione può costituirsi in qualità di religione di stato od obbligatoria» e «le associazioni religiose sono separate dallo stato e sono uguali davanti alla legge». Un rigoroso sistema separatista muove dal principio che la Chiesa e lo Stato sono due poteri sovrani, la cui esistenza è ugualmente giustificata e legittima. Evidentemente in un ordinamento che si ispiri a siffatto principio appare fondamentale la distinzione tra affari politici ed ecclesiastici: nei primi non può esservi intromissione o influenza da parte della Chiesa, e nei secondi non può aversi ingerenza da parte dello Stato.

Dal 1997 la Russia con la legge federale Della libertà di coscienza e delle associazioni religiose ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Fin dal preambolo la legge federale disconosce la storia che la plurisecolare tradizione giuridica presovietica e modifica la scala di valori da attribuire alle diverse Chiese e religioni, relegando Protestantesimo e Cattolicesimo alla posizione di religioni tollerate e riconoscendo, per contro, uno status di religioni protette all’Islam e al Buddismo, certamente – spiega l’autore – «non per ragioni storiche, ma in base a motivazioni contingenti di carattere politico, al fine di evitare tentazioni separatiste e disaggreganti di ogni sorta».

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Quindi, Buddismo, Giudaismo e Islam oggi sono considerate religioni tradizionali, seppure in modo secondario rispetto all’Ortodossia. Seppur hanno sempre fatto pubblica professione di fedeltà all’Ortodossia, i nuovi capi della Russia, Medvedev e Putin, si discostano assai dall’atteggiamento dello zar, il quale era «benevolissimo», «in quanto sovrano cristiano», anche verso il Cattolicesimo e il Protestantesimo. La ratio di questa arbitraria divisione, religioni tradizionali e religioni non tradizionali, consiste nell’assicurare sul piano giuridico alle due categorie di religioni un diverso regime di liberta, privilegiato per le prime e discriminatorio per le seconde, al fine di arginare il fenomeno delle minoranze religiose, segnatamente di quelle di origine protestante, che hanno conosciuto, come ha rilevato Codevilla, negli ultimi decenni una crescita significativa. Pertanto, il concetto di religione tradizionale diventa uno strumento di cui i governanti della Federazione Russa si servono per tracciare il confine tra privilegio e mera tolleranza: non a caso Codevilla ricorda che vengano auspicati provvedimenti normativi tesi a consolidare i privilegi di cui godono le religioni tradizionali.

Il volume racconta le vicende degli ultimi decenni della Chiesa Ortodossa russa nell’ambito di questo nuovo sistema di unione sinfonica tra Sacerdotium e Imperium, fortemente, radicato nella mentalità e nella tradizione russa. In questa nuova sinfonia la distinzione tra gli ordini spirituale e temporale si va sempre più affievolendo: invece di un regime di separazione si rafforza la collaborazione privilegiata tra l’ortodossia e il pubblico potere, «in cui la prima auspica apertis verbis l’aiuto e il sostegno del secondo, e un ritorno al confessionismo in cui sia garantita alla Chiesa nazionale una posizione di primato e di predominio». Occorre considerare che il Patriarcato di Mosca considera come suo territorio canonico non già la Russia propriamente detta, bensì tutte le terre un tempo incorporate nell’Unione Sovietica e segnatamente gli Stati del Baltico.

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La vera questione per la Chiesa Ortodossa Russa di oggi non è tanto – spiega Codevilla – di «rinunciare alla tentazione, che non le appartiene, di prevalere sullo Stato, quanto soprattutto a quella di servirsi dell’Imperium per diffondere il proprio messaggio di salvezza, favorendo la clericalizzazione dello Stato e istituendo con esso un rapporto esclusivo di osmosi, limitando, di conseguenza, la libertà di coscienza dei cittadini appartenenti ad altre Chiese o denominazioni religiose». Sullo stretto legame tra Sacerdotium e Imperium si pronunciò anche F. Dostoevskij, il quale fa dire a Ivan Karamazov, nel dialogo con padre Paisij: «qualsiasi Stato terreno dovrebbe finire col risolversi in Chiesa senza residui, e non sussistere in nessun’altra forma che come Chiesa, dopo aver rigettato ogni specie di fini suoi propri, inconciliabili con quelli di Chiesa». E padre Paisij, a sua volta, afferma: «Non è la Chiesa che si tramuta in Stato, intendetelo bene.  Questo è vero di Roma e del suo miraggio. È la terza tentazione del diavolo, questa! Al contrario, anzi: lo Stato si tramuta in Chiesa, s’innalza al grado di Chiesa, e divien Chiesa su tutta la terra, cosa ch’è tutto l’opposto sia dell’ultramontanismo, sia di Roma, sia dell’interpretazione vostra, ed è semplicemente la sublime vocazione della Chiesa ortodossa in questo mondo. Dall’Oriente il mondo intero sarà illuminato». In tal senso, padre Sergij Bulgakov ha affermato che la Chiesa Ortodossa Russa «ha sempre voluto esercitare la più profonda influenza possibile sul potere dello Stato, ma dall’interno e non dall’esterno. La teoria secondo la quale il papa […] esercita un potere sovrano sullo Stato è sempre rimasta estranea all’Ortodossia».

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Mutatis mutandis lo Stato ritorna – come spiega l’autore nel corso del volume – a essere un brachium saeculare, un instrumentum salvationis e la Chiesa un instrumentum regni, realizzando il cosiddetto fenomeno che gli esperti definiscono le due tentazioni reciproche. Degna di nota la frequente presenza dei governanti russi alle cerimonie di carattere religioso, anche se poi, sostengono che la loro partecipazione è a titolo personale. Putin, in particolare, ha sempre enfatizzato l’importanza della Chiesa ortodossa, affermando, ad esempio, nel corso della sua visita all’Athos che «la Russia è la più grande potenza ortodossa».

Come significativa è la frequenza degli incontri tra il patriarca e i vertici della Federazione Russa. Evidentemente la riscoperta della sinfonia dei poteri porta con sé dei rischi: in un simile sistema la Chiesa rischia di rinunciare alla sua dimensione ecclesiale, riducendo la propria funzione a quella di scudo ideologico, in particolare – come abbiamo visto – contro il terrorismo o nell’attuale conflitto con l’Ucraina. Significativamente il politologo Vitalij Tret’jakov ha affermato in proposito: «Se non vogliamo costruirci un’apposita (artificiosa) ideologia politica (civile), siamo costretti a volgerci all’Ortodossia, magari in un formato svincolato dalla Chiesa. Chiamiamola, per così dire, Ortodossia civica. […] Non è pensabile che riusciamo a ficcare o attirare la gente nelle chiese ortodosse, tutti quanti uno ad uno. Ma d’altro canto, senza una fede o un’idea non avremo la possibilità di sconfiggere definitivamente il terrorismo. Quindi, se non vogliamo soccombere, occorrerà per forza di cose produrre un’ideologia politica nostrana, russa. E oltre all’Ortodossia civica non ci può essere altro in Russia. Altrimenti non sarebbe la Russia. Ovvero: altrimenti non ci sarà più la Russia». Un altro rischio è quello di una riduzione intimistica della Chiesa, con una dimensione individualistica e autoreferenziale, attribuendo, nel contempo, alla Chiesa stessa un ruolo pubblico meramente politico e strumentale.

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