In ricordo di Raffaele Ciriello. Dieci anni dopo
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In ricordo di Raffaele Ciriello. Dieci anni dopo

Il 13 marzo del 2002 il fotoreporter italiano fu ucciso da una raffica sparata da un mezzo corazzato israeliano mentre scattava foto a Ramallah, in Cisgiordania.

In ricordo di Raffaele Ciriello. Dieci anni dopo
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13 Marzo 2012 - 11.28


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di Amedeo Ricucci

Esattamente dieci anni fa, il 13 marzo del 2002, moriva a Ramallah, in Cisgiordania, il fotoreporter Raffaele Ciriello, ucciso dal piombo israeliano mentre stava facendo solo il suo lavoro. A parte la famiglia e qualche amico, temo che nessun altro troverà il tempo, la pazienza e la voglia di ricordarlo, oggi. Perché Lello era un free-lance e non aveva alle spalle né una testata né una redazione né tanto meno i nostri Organi di categoria. Per questo non c’è stata all’epoca nessuna inchiesta giornalistica sulla sua morte, né una Commissione d’indagine parlamentare; e la notizia della sua morte è durata lo spazio un giorno, forse due. E per questo oggi non c’è un Premio a lui dedicato, né una Fondazione o un’Associazione che ne preservi il ricordo, com’è accaduto invece ad altri colleghi più fortunati. Lello deve accontentarsi di stare nella lista dei giornalisti italiani morti nell’esercizio della professione, con l’ulteriore beffa che la tessera dell’Ordine dei Giornalisti gli è stata data da morto, per un atto di pietas e non perché gli fosse stato riconosciuto un diritto acquisito, dopo quindici anni spesi a scarpinare su e giù per il mondo, coprendo per le principali testate italiani le guerre e le crisi internazionali più importanti.

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Nemmeno le autorità italiane si sono curate di Raffaele Ciriello. L’inchiesta aperta nel 2002 dalla Procura di Milano si è scontrata infatti sia con il muro di gomma eretto dal governo di Tel Aviv, che si è rifiutato di identificare e lasciare interrogare i soldati del carro armato da cui partì la raffica fatale, sia con l’indifferenza del nostro governo – con Silvio Berlusconi primo ministro e ministro degli esteri ad interim – che ha preferito chiudere un occhio, lasciando cadere la rogatoria dei giudici e svendendo anche l’orgoglio nazionale sull’altare dei buoni rapporti con Israele. Anche in questo frangente, la stampa italiana ha volutamente ignorato la notizia, relegandola ad una “breve” per le pagine interne, forse per non disturbare i lettori e al tempo stesso per non perdere la faccia.

Eppure era la prima volta che un governo straniero si rifiutava formalmente di collaborare con la nostra giustizia. Dal 1959, quando venne firmata la prima Convenzione internazionale in materia, i governi italiani hanno trasmesso infatti centinaia di moratorie, ai quattro angoli del mondo, ma nessuno Stato si era permesso di rigettarne una, spudoratamente e con tracotanza. Sì, perché le autorità israeliane non solo hanno contestato la competenza dei giudici italiani ad indagare su una morte avvenuta fuori dai confini nazionali, ma sono arrivati al punto di affermare che non c’era stata «alcuna responsabilità» israeliana nel tragico “incidente” che era costato la vita al povero Raffaele Ciriello.

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In realtà le versioni fornite da Tsahal, l’esercito israeliano, sono state diverse e tutte campate in aria. Prima hanno ammesso infatti le proprie responsabilità, poi hanno negato tutto, infine hanno dato le giustificazioni più assurde per la raffica fatale partita dal loro Merkava. Puntando all’inizio il dito sulla telecamera “troppo piccola” che Raffaele teneva in mano – il che non avrebbe permesso all’equipaggio del tank di identificarlo come giornalista – e finendo poi per sostenere il contrario, attribuendo cioè il “tragico errore” dei soldati con la stella di David al fatto che quella telecamera era stata scambiata per un lancia-granate: dimenticando però che quella di Lello era una piccola telecamera palmare, che si impugna tra le mani, bassa, mentre un Rpg è ben più grande e si porta a spalla.

Insomma, se non fosse una storia maledettamente seria, ci sarebbe da divertirsi, di fronte a tanta fantasia. Che cozza innanzitutto con l’evidenza delle immagini filmate sia da Lello che da me e Norberto Sanna per il Tg1, che eravamo lì a due passi. E che dimostra fin dove si possa spingere la ricerca spudorata dell’impunità per i soldati di Tsahal: è opportuno al proposito ricordare che nessuno di loro ha mai subito un processo né tanto meno è stato condannato per i sei giornalisti uccisi e i 75 feriti da armi israeliane durante la Seconda Intifada. È questo, e solo questo, che interessava alle autorità di Tel Aviv. E grazie alla sudditanza del governo Berlusconi hanno pienamente raggiunto il loro obiettivo. Adoperandosi in tutti i modi perché su questa storia calasse il sipario il più in fretta possibile.

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Raffaele Ciriello è stato dunque ucciso “da ignoti”. Questo è l’amaro verdetto ufficiale cui ci dobbiamo rassegnare, grazie alla congiura del silenzio imbastita attorno alla sua morte. Alla faccia della verità e della giustizia, di cui troppo spesso ci si riempie la bocca. Io però c’ero a Ramallah, quel maledetto 13 marzo del 2002. E l’ho visto bene il carro armato da cui gli hanno sparato. Di sicuro, io non lo dimenticherò. Mai.

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