Vespa beatifica Andreotti e nasconde la mafia
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Vespa beatifica Andreotti e nasconde la mafia

Imbarazzante salotto di Vespa. Nella scheda il processo presentato come la Caporetto della procura. E l'assoluzione dell'imputato. Ma le cose non stanno così.

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7 Maggio 2013 - 02.13


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Quali sono i fatti giudiziari? Al di là delle responsabilità politiche – evidentissime – al di là del fatto che la corrente andreottiana in Sicilia aveva molti esponenti contigui con Cosa Nostra e venne definita dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa “famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose”, la storia racconta che Giulio Andreotti che il processo sui rapporti del politico Dc con la mafia finì con l’assoluzione, ma nella sentenza si distinse il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi. La Corte stabilì che Andreotti aveva commesso il “reato di partecipazione all’associazione per delinquere (Cosa Nostra), concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980, reato però “estinto per prescrizione”. Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti venne stato invece assolto. La Corte di Appello di Palermo affermò che il processo aveva dimostrato “…un’autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980”.

Nella beatificazione del senatore Andreotti fatta da Bruno Vespa a Porta a Porta di tutto questo non si è praticamente fatto cenno. Anzi, una scheda fatta da una crocerossina-giornalista, paragonabile per zelo al Ghedini che fa finta di credere alla storia della nipote di Mubarak, ha tentato di dimostrare le seguenti cose:

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1 – Andreotti vittima di una montatura giudiziaria

2 – Castello accusatorio crollato durante il processo e pentiti sbugiardati

3 – Andreotti innocente

4 – Andreotti aveva una agenda in cui annotava tutto e quindi se non c’era scritto di incontri con i mafiosi quella era una prova

5 – Processo politico

Che fossero stati affermati i suoi rapporti con la mafia fino al 1980 (ma è stato accertato e alla fine ammesso dallo stesso Andreotti un incontro con un fiduciario di Totò Riina avvenuto nel 1985) nella scheda è stato taciuto.

Seguito con una intervista ai due avvocati difensori (Coppi e Bongiorno) e, ovviamente, nessuno che rappresentasse le ragioni dell’accusa fatte proprie nella sentenza.

Seguito nel pilatesco dibattito in studio, dove l’opera di beatificazione è proseguita imperterrita, con l’unica seppur timida eccezione di Luigi Berlinguer che ha sommessamente ricordato la storia della prescrizione, diversa dall’assoluzione nel merito. Intorno il gelo, spezzato dalle banalità di Massimo Franco che ribadiva come un mantra che quel processo non aveva giovato, come se un processo penale si dovesse fare sulla base di valutazioni politico-sociali e non in base a ipotesi di reato.

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Viva Andreotti, abbasso i magistrati e abbasso i comunisti. Insomma a Porta a Porta vige il famosissimo detto: la mafia non esiste. Chiedere a Berlusconi e Dell’Utri per avere conferme.

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