Quando mio padre comprò il primo apparecchio televisivo, una bestia dal nome imponente, Royal Eagle, 150 chili, con chassis in radica di noce, era il 1954, la Rai radiotelevisione italiana trasmetteva regolari programmi su un solo canale da pochi mesi, e il Maestro Gianni Ferrio era già lì a dirigere l’orchestra, per quelli che divennero programmi storici come: Bambole non c’è una lira, Milleluci, Senza rete.
In uno di questi – nella prototelevisione del mesozoico inferiore – sua moglie, la ballerina ed attrice Alba Arnova, si presentò con una calzamaglia rosa che ricordava impudicamente la pelle nuda. Il cielo si aprì e, in quell’Italia bigotta dove lo spettacolo veniva sostanzialmente gestito dal Vaticano, la bella soubrette venne definitivamente espulsa dalla Rai e mai più ne fece ritorno.
L’amministratore delegato dell’epoca Filiberto Guala (che poi prese i voti, tanto per capire nelle mani di chi eravamo) stilò addirittura un codice di autodisciplina dove le calzamaglie delle ballerine dovevano essere drasticamente scure o, al massimo dell’eros, a righe, le parole “membro del parlamento” o “in seno all’assemblea” sparire dal linguaggio televisivo (per via di “membro” e “seno”) Figuramoci.
Gianni Ferrio era già là quando si accese per la prima volta il televisore di casa mia, con la sua classe e il suo ‘aplomb’ da gentleman di altri tempi, a deliziarci con le sue orchestre dirette e le sue canzoni per la televisione, che poi, più in là, divennero delle hit di successo che tutta l’Italia canticchiava: Parole parole parole, Non gioco più di Mina, Quando mi dici così, sigla di Speciale per noi e cantata da Fred Bongusto, che lanciò la sospirosa Minnie Minoprio che gli ballettava intorno già mezza scosciata (l’integralista cattolico Guala era stato mandato via). Ma anche: Non gioco più, brano elegante cantato dall’onnipresente Mina, e punteggiato dalla straordinaria armonica a bocca del grande Toots Thielemans.
Una carriera brillante quella del Maestro Ferrio, ricca anche di tante colonne sonore per il cinema, svariando dai film di Totò, ai cosiddetti “spaghetti western”, passando anche per qualche Emmanuelle o qualche Poliziotta, scritte per quel cinema oggi riscoperto ed idolatrato da tanti appassionati.
Ferrio è stata una presenza costante, come si dice, nell’immaginario collettivo dell’Italia del boom economico, immaginario sovente indotto e pilotato proprio da quella televisione con un solo canale e con un forte codice etico e morale, in attesa del secondo canale Rai a sparigliare i giochi.
Oggi se ne va a 88 anni quel discreto e garbato signore che aveva un grande, grandissimo talento musicale, a cui, unitamente alle ormai dismesse orchestre della Radio e della Televisione Italiana che diresse così bene, tributiamo un ultimo ideale inchino.