“L’Unitá non si spegne”. Con questo slogan i giornalisti del quotidiano fondato da Antonio Gramsci da settimane hanno lanciato l’allarme sul rischio che sta correndo questa storica testata. L’attuale editore, Matteo Fago, non sembra più in grado di reggere il peso del giornale e il continuo spostamento del consiglio di amministrazione che dovrebbe decidere il futuro non promette nulla di buono.
D’altra parte, non sono ancora noti i contorni di un possibile intervento del Partito Democratico, il cui tesoriere, Francesco Bonifazi, ha pure pubblicamente prospettato una “soluzione solida” per la testata.
Verso la liquidazione della Nie e una nuova newco.
Il tempo, però, stringe: il 5 giugno prossimo i soci (fra cui figurano anche Renato Soru, ex azionista di maggioranza, e l’imprenditore farmaceutico Maurizio Mian) si riuniranno. All’ordine del giorno una difficile ricapitalizzazione, altrimenti le strade aperte restano quelle della liquidazione della Nuova Iniziativa Editoriale, la società che edita il giornale, con conseguente creazione di una newco (soluzione già prospettata dall’azienda al cdr), o il fallimento. Quest’ultima strada, però, non converrebbe a nessuno.
A fine maggio scade la solidarietà.
Altro brutto segnale, soprattutto per chi lavora nella redazione di via Ostiense, è che l’accordo sindacale sulla solidarietà scadrà proprio a fine maggio e dopo l’azienda potrà agire in maniera unilaterale con un piano lacrime e sangue per cercare di ridurre l’indebitamento. Ma tutto é avvolto nella nebbia.
Il silenzio assordante dell’editore.
“Alla nostra richiesta di un piano e di garanzie occupazionali non ci è stato risposto nulla – hanno detto i rappresentanti del cdr durante la conferenza stampa organizzata stamattina alla Fnsi nazionale -, non siamo a conoscenza di un progetto, né c’é un tavolo di trattativa. É l’ultimo atto di una dismissione sotterranea della testata, uno stato di pre liquidazione mai ufficializzato ma presente di fatto da tempo”.
Senza stipendi da marzo.
Che la situazione sia grave lo si evince dai segni di dissesto, che si sono moltiplicati mese dopo mese. A cominciare dagli stipendi: i giornalisti de l’Unitá (57 gli articoli uno, più alcuni articoli due) e i poligrafici sono senza stipendio da due mesi (l’ultima busta paga percepita è quella relativa a marzo), e il giornale continua a uscire “solo per senso di responsabilitá” verso i lettori.
Inoltre, i collaboratori del giornale nazionale sono in arretrato da quasi un anno dello stipendio.
L’invito all’azienda ma anche al Pd – all’incontro stampa erano presenti Stefano Fassina e Filippo Sensi, capoufficio stampa del partito, a rappresentare entrambe le “anime” democratiche – é di “scoprire le carte” facendo uscire i lavoratori dall’incertezza. I sacrifici non sono mai mancati: oltre ai continui stati di crisi con solidarietà, secondo i conti del cdr 30 persone sono state mandate in prepensionamento dal periodo Padellaro ad oggi.
La Fnsi, con il presidente Giovanni Rossi, chiede “che l’azienda si assuma le sue responsabilitá, senza ulteriori rinvii, bisogna saldare gli stipendi e presentare un piano. Partirá un confronto serio, a patto che il tutto avvenga senza passaggi traumatici sul personale. Se altrimenti partiranno iniziative unilaterali tali da mettere in discussione gli organici, sará scontro”.
La mobilitazione é in atto da settimane: sono stati giá fatti tre giorni di sciopero a maggio, un’altra é fissata per martedì e una quinta entro fine mese, in mancanza di novità sulla vertenza. Continua ad oltranza poi lo sciopero delle firme e intanto su Twitter é stato lanciato l’hashtag #iostoconlunita che si è piazzato tra i primi trend topic del giorno.
Una crisi che viene da lontano.Ma la crisi de l’Unitá viene da lontano. Nel 2001 la riapertura con direttore Furio Colombo: una scommessa, quella di ritornare nelle edicole dopo otto lunghi mesi di silenzio, vinta dal giornalista che, sull’onda del l’entusiasmo dell’allora movimento dei girotondi, riportò l’Unitá ad essere una voce autorevole e di sinistra nel panorama dell’informazione italiana.
Nel 2005, dopo mesi di boatos sui contrasti con i vertici degli allora Ds, Colombo passa il testimone al condirettore Antonio Padellaro, pur restando editorialista di punta: l’Unitá prosegue la sua corsa, ma le copie cominciano a calare. Nel 2008, quando la salute del quotidiano sembra precaria, si cambia ancora: è Soru, allora governatore della Sardegna ed astro nascono del Pd, ad acquistare la maggioranza del pacchetto azionario.
La parabola Soru.L’entusiasmo non manca (“Non è giusto che il giornale di Gramsci e Berlinguer venga trattato come una merce qualsiasi”, dice presentandosi alla stampa), e nemmeno le idee: si pensa di far gestire il tutto a una Fondazione. Purtroppo l’acquisto porta male all’esponente democratico, che prima vede crollare le azioni della sua società Tiscali a seguito della mancata vendita di alcuni rami d’azienda agli inglesi e della crisi che iniziava a colpire duro, e poi viene sconfitto alle elezioni anticipate dallo sfidante di centrodestra.
Dalla direzione di Concita alla nascita del Fatto.Soru affida la direzione giornalistica a Concita De Gregorio: una scelta di rottura, che allontana il cuore del giornale dalla politica e dal Pd, per puntare sulla gente e sulle storie. Un giornale che qualcuno ha definito “naïf”, dal formato più agile e snello e dalla grafica simile a quella dei fogli free press: il risultato é di attirare nuovi lettori, ma anche di allontanare quelli storici.
Dopo poco Marco Travaglio lascia e fonda, insieme ai transfughi Padellaro e Colombo, “Il Fatto Quotidiano”: una nascita che avrà – e ha tuttora – un peso decisivo sulle vendite del giornale. I conti de l’Unità, infatti, colpita da continui tagli nella distribuzione (progressivamente é cessata la diffusione in Sardegna, Sicilia e Calabria) e nei contenuti, continuano a non tornare, le copie calano ancora (quando Concita lascia si è sulle 35mila).
La stagione di Sardo.Nel 2011 è la volta di Claudio Sardo: sostenuto dai vertici ex Ds del Pd, il neo direttore cambia di nuovo pelle a l’Unitá. Insieme al formato classico, più ampio, torna prepotentemente la politica: è quello il tema principe del giornale, che nelle primarie si schiera decisamente con Pierluigi Bersani.
Numerosi gli spunti di polemica con l’allora sfidante Matteo Renzi, che se la prende pubblicamente con un editoriale di Michele Prospero, una delle firme del nuovo corso, che definisce “fascistoide” l’idea della rottamazione portata avanti dall’attuale premier.
Le polemiche non riescono comunque a incidere sulle vendite, a quota 20-22mila giornaliere. La sofferenza è continua, e viene scaricata anche sui precari: per otto mesi i collaboratori delle cronache locali di Bologna e Firenze, oltre alla redazione economica di Milano, non percepiscono gli emolumenti. A questo si aggiungono una cospicua parte di salario differito che non viene erogato ai giornalisti assunti.
Fago diventa azionista di maggioranza.Dopo una lunga ricerca, Soru riesce a vendere gran parte del suo pacchetto azionario, il nuovo proprietario, dall’autunno 2013, è Matteo Fago, che rileva oltre il 51% delle azioni. La sua idea è quella di un giornale moderno, che punta sull’online e sulla multipiattaforma, e che si rivolge a una platea di sinistra più ampia del Pd.
Il caso del socio di Forza Italia.
Nella sua prima intervista pubblica, infatti, prende subito le distanze da Renzi. Scartata l’ipotesi di un ritorno di Walter Veltroni alla guida della testata, Fago promuove uno dei vicedirettori, Luca Landò. L’ingresso di Fago coincide anche con una delle più forti contrapposizioni tra redazione e proprietà: a fine 2013 si scopre che fra i nuovi soci della Nie (con il 13% circa) figura Claudia Ioannucci, parlamentare di Forza Italia ed ex legale di Valter Lavitola. Il Fatto Quotidiano parte all’attacco, ma è il Cdr stesso a chiederne la destituzione, insieme alla testa dell’amministratore delegato Fabrizio Meli. Nonostante lo sciopero e le proteste dei giornalisti, ignari dell’ingresso della Ioannucci, nulla si é ancora mosso.
Grande successo riscuote, a febbraio, l’inserto per i 99 anni del giornale: almeno 100mila copie vendute nelle due uscite, nonostante nessun tipo di investimento nella pubblicità. È un fuoco di paglia e le copie giornaliere si assestano sulle 20mila, ma è anche il segno di uno spazio che l’Unitá può ancora occupare. Servono impegno, investimenti e una linea editoriale chiara, capace di trovare un proprio pubblico e una identità precisa che spazzi via la “schizofrenia” che ha segnato gli ultimi anni di vita del giornale. “Abbiamo festeggiato i 90 anni del quotidiano fondato da Antonio Gramsci – dicono i giornalisti della testata – ci batteremo contro chiunque voglia celebrarne il funerale”.