La foto straziante del bimbo siriano e la deontologia
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La foto straziante del bimbo siriano e la deontologia

E' stato giusto e deontologicamente corretto pubblicare la foto del bimbo siriano morto sulla spiaggia di Bodrum? L'opinione di Mario Calabresi e Michele Smargiassi.

La prima pagina del Manifesto
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3 Settembre 2015 - 16.38


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Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? A pubblicarla, si viola o no la deontologia professionale dei giornalisti che è regolata dalla Carta di Treviso che disciplina l’informazione sui minori e che all’articolo 7 recita: “Nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona”? In ogni caso, se la foto ha una potenza che supera la norma, è giusto o no pubblicarla?

La Carta di Treviso e la pubblicazione

Negli ultimi giorni molti colleghi se lo sono chiesto. Si sono chiesti se sia stato giusto, opportuno e soprattutto deontologicamente corretto mostrare le foto del bambino siriano morto su una spiaggia di Bodrum, vittima dell’ennesimo naufragio di un barcone di disperati nel Mediterraneo. Quasi tutte le principali testate hanno scelto di pubblicare gli scatti in maniera più o meno enfatica e tra loro ha destato particolare scalpore la copertina del Manifesto, che ha mostrato il corpo senza vita del piccolo disteso sul bagnasciuga con il titolo “Niente asilo”.

Ma in rete la foto era già di dominio pubblico

Il dibattito sulla correttezza deontologica di quella pubblicazione sui media tradizionali (giornali e tv) è stata comunque in gran parte falsata da un dato di fatto: la Carta di Treviso, al momento, non ha alcun effetto concreto sulla capacità della rete e dei social network di anticipare e regolare le notizie. Ormai quasi sempre la rete “brucia” i tradizionali organi di informazione, che sono costretti a inseguire. Anche nel caso specifico è andata così. E quando i “puristi” si sono chiesti se fosse corretto o no pubblicarla, la foto straziante del bimbo siriano annegato era già in bella evidenza su molti siti online e social network, quindi di dominio pubblico, rendendo marginale la discussione sull’etica.
Detto questo, sull’argomento abbiamo scelto di pubblicare queste due riflessioni di Mario Calabresi, direttore de La Stampa, e di Michele Smargiassi, giornalista di Repubblica, che ci pare riassumano bene i termini della questione, almeno sotto il profilo etico e giornalistico.

L’opinione del direttore de La Stampa

“Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? Di un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di no. Il mio giornale ha fatto battaglie perché nella cronaca ci fosse un limite chiaro e invalicabile, dettato dal rispetto degli esseri umani. La mia risposta anche su questa vicenda all’inizio è stata la stessa: “Non la possiamo pubblicare”.

“Vi spiego perchè ho cambiato idea

Ma per la prima volta non mi sono sentito sollevato, ho sentito invece che nascondere questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza. Così ho cambiato idea: il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa nostra scelta, ma consapevoli.

“Quella foto farà la storia come quella della bambina vietnamita bruciata dal Napalm”

Li ho incontrati questi bambini siriani, figli di una borghesia che abbandona tutto – case, negozi, terreni – per salvare l’unica cosa che conta. Li ho visti per mano ai loro genitori, che come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti. Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci: questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza”.

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