L’intervista di Salvini a DiMartedì su La7 andrebbe fatta analizzare a coloro che studiano comunicazione di massa come un esempio – ruspante, ma proprio per questo efficace – dell’applicazione delle principali tecniche di propaganda e di contro-propaganda: il linguaggio disinibito, la stereotipizzazione, la vaghezza, gli slogan, la distorsione logica, l’uso delle emozioni – a cominciare dalla paura -, le previsioni arbitrarie ed infine la diversione e l’inganno imitativo.
Tutte tecniche ampiamente studiate da sociologi e psicologi sociali che spesso hanno a lungo osservato le tecniche (consapevoli o inconsapevoli) degli imbonitori, dei venditori e talora di dittatori o personalità autoritarie.
Fondamentalmente il gioco è sempre lo stesso: fare una caricatura delle posizioni dell’avversario, ingigantire le cose che aiutano il proprio ragionamento, minimizzare le altre, cambiare discorso quando non conviene affrontarlo e soprattutto dire stupidaggini e cose assolutamente irreali come se fossero verità assolute.
L’intervista di Salvini è stata un “capolavoro” di questo uso sfrontato dello slalom tra argomenti che ricorda quel potere delle parole già studiato (anche se in maniera embrionale) da Gustave LeBon e la sua “psicologia delle folle”, testo al quale si ispirò (come è noto) Mussolini.
Il tutto, nel caso de La7, condito da una abbondante claque, altra componente fondamentale della propaganda, perché è noto che l’applauso o il consenso attirano altro consenso. Salvini ha fatto il suo mestiere, da bravo mestierante. Il problema è che i pur bravissimi giornalisti che lo hanno intervistato avrebbero dovuto utilizzare a loro volta le tecniche di contropropaganda e non consentire al Ministro di svicolare, parlare d’altro, troncare i discorsi e rifugiarsi negli slogan.
Sicuramente non è facile, ma è altrettanto vero che esistono luoghi in cui è un dovere portare in primo piano i fatti e i ragionamenti e non farsi sopraffare dalla propaganda.
(G. Cip.)