Giornalisti intercettati, Scandura: "Così lo Stato di diritto affonda nel buco nero del Mediterraneo"
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Giornalisti intercettati, Scandura: "Così lo Stato di diritto affonda nel buco nero del Mediterraneo"

Parla l'inviato di Radio Radicale, tra i cronisti intercettati nell’inchiesta della Procura di Trapani. " Si è perso il senso della giurisdizione e a questo punto anche dello Stato di diritto".

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Aprile 2021 - 15.21


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Se volete “ascoltare” un giornalismo d’inchiesta sintonizzatevi su Radio Radicale. Se rigettate l’informazione mainstream e volete conoscere come stanno realmente le cose nel Mediterraneo e in Libia, è cosa buona e giusta seguire i reportage e le ricostruzioni di Sergio Scandura, uno dei giornalisti intercettati nell’inchiesta della Procura di Trapani. Globalist lo ha intervistato.

Cosa significa fare giornalismo d’inchiesta su un fronte caldo come è la Libia e il Mediterraneo?

E’ importante partire ricostruendo il contesto in cui si consuma questa inchiesta di Trapani. E’ il 2017. Chiediamoci, con tutte le torbidità che emergono anche dall’inchiesta di Palladino, chi era il ministro degli Interni di allora, chi era in quel tempo il domino degli apparati militari. E chi è che fece da apripista su una criminalizzazione del soccorso in mare. Perché il problema è questo: gli eventi contestati alle Ong, di cui si perde il numero di procedimenti conclusi con archiviazioni, proscioglimenti, sentenze della Cassazione come quella di Carola  Rackete che hanno dato ragione alla legittimità delle Ong; quel tipo di eventi contestati alle Ong,, in quell’altezza di miglia dalle coste libiche, quel tipo di salvataggi lì li facevano né più né meno la nostra Guardia costiera italiana, la nostra Marina militare italiana, la nostra Guardia di Finanza, le marinerie militari europee di Eunavfor Med  Sophia e anche le navi di Frontex.

Nel 2017 c’è stato un giro di boa, perché bisognava creare questo buco nero nel Mediterraneo centrale che divide la costa libica dalle nostre coste. Per farlo bisognava ritirare gli assetti governativi. Peccato che poi ci fossero questi guastafeste di volontari delle Ong che andavano a salvare le persone. Perché in tutto questo si perdono le persone, non solo nel racconto, si perdono letteralmente che muoiono in mare. Ciò che è accaduto con le intercettazioni è un fatto gravissimo. Ti accorgi che forse qui è stato sposato il modello del ministero degli Affari interni d Mosca e non quello di un Paese dell’Unione europea.

Si perde il senso delle giurisdizioni, il senso dello Stato di diritto. Non vorrei, però, che restassimo dentro un’autoreferenzialità corporativa, dell’indignazione, dovuta su queste intercettazioni, e perdessimo di vista il contesto in cui è maturato tutto questo. Stamattina sono andato in onda e al collega che mi presentava in studio, ho detto non sono più Scandura ma sono diventato un numero progressivo identificato come “molto importante”. Ora vedremo attraverso i legali che al Fnsi ci ha messo a disposizione, se siamo stati indagati. Perché le fonti che contattavamo, almeno nel mio caso la mia fonte non mi risulta essere stata indagata. E allora una domanda viene spontanea…

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Quale?

A che titolo c’è stato un giudice che su richiesta della Procura, e voglio sperare che sia andata così, che qualcuno abbia fatto le intercettazioni chiedendo come polizia giudiziaria e non vengano da altre parti. Vorrei sapere chi è stato quel giudice e perché ha autorizzato queste tipo di attività a strascico. Perché non sono state sentite solo dei giornalisti, cosa già di per sé grave, ma anche giuristi come Vassallo, avvocati che si sono occupati sempre di questo tema del soccorso in mare. Qui vedo 30mila pagine di atti e di intercettazioni che verrebbe da dire, con una battuta, manco Messina Denaro. Dov’è la magistratura a indagare sulle patenti omissioni di soccorso a poche miglia a sud di Lampedusa? Dove è stata la magistratura a sui 5milioni di dolari dati ad Ahmed al-Dabbashi detto “Ammu’” (lo zio), per provare a bloccare le partenze da Sabratha? E’ su questo passaggio che s’inserisce l’attività di intercettazione a carico mio, che nella parte che mi riguarda è tragicomica.

Raccontiamola allora questa tragicommedia.

Si parla di me che mi nascondo, assieme a un certo Marco, dietro i bagni chimici durante lo sbarco della nave Dattilo, e non riescono neppure a identificare quel Marco. Quel Marco in questione era Marco Rotunno, capo comunicazione in Sicilia dell’Unhcr. Poi si parla di Sabratha, sbagliando pure la trascrizione, come se fosse un nome. Con la mia fonte abbiamo parlato di Sabratha, dei 5 milioni, delle partenze.  In quelle pagine tutto è affastellato, buttato lì, è una tecnica che conosciamo. Verrebbe da dire avreste perso meno tempo a sentire le nostre corrispondenze da Radio Radicale, forse avreste avuto molto più chiari i termini delle situazioni. Nelle intercettazioni c’è il colloquio tra me e una fonte, un dirigente di Medici Senza Frontiere. Mi chiama un giorno il collega Pino Finocchiaro da Rainews. E mi dice: senti Sergio, qui corre voce, ma non trovo conferme, che stia arrivando la Catania la Dattilo con tanti migranti salvati in mare, però nessuno mi vuole dire niente. Io gli risposi che siccome quella mattina l’ammiraglio Nunzio Martello lascia la direzione marittima della Capitaneria di porto di Catania, perché va al comando generale, con questa scusa lo vado a salutare e gli faccio una intervista e hai visto mai che mi conferma la cosa…

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E come è andata?

Io vado da Martello e lui, raccontando agli ascoltatori l’importanza del porto di Catania come base logistica della Dattilo, della Diciotti, di tutte le unità che fanno i salvataggi in mare, non solo in missioni a largo della Libia ma anche a largo della Grecia, conclude dicendo che alle ore 19 al porto di Catania è attesa la Dattilo con 800 migranti. Io esco dalla Capitaneria e chiamo il collega Finocchiaro per dirgli che qui me lo avevano confermato. E Pino mi dice: vuoi ridere, la centrale di Roma della Guardia costiera ha negato l’arrivo della Dattilo con 800 migranti al porto di Catania. A questo punto comincio a capire che c’è qualcosa che non va. Che comincia a esserci un giro di boa anche nelle comunicazioni che obbligatoriamente la centrale della Guardia costiera, anche in base al piano Sar che è stato appena rinnovato con decreto ministeriale, dovrebbe fornire. Non ti dico che ci chiudono i telefoni in faccia, perché neanche ci rispondono più da anni. E qui la storia si fa interessante. Io vado al porto di Catania. C’è un poliziotto che mi vede, era buio, e mi dice: non dare troppo nell’occhio perché tu non potresti stare qui. Perché era vietato ai giornalisti stare al molo per seguire le operazioni di sbarco. Io entro, attraverso questa fila enorme di poveretti in attesa di identificazione, bambini con i volontari della Croce rossa che davano loro i sandali, gente sulle barelle, le classiche scene che si vedevano al tempo con così tante persone disperate. A un certo punto, vedo Marco Rottunno dell’Unhcr, il Marco anonimo citato nelle intercettazioni, e gli chiedo se voleva fare una intervista a Radio Radicale. Lui accetta e allora gli dico mettiamoci di nascosto dietro i bagni chimici della Croce rossa e facciamo l’intervista. Nell’intervista, che ho mandato in onda integralmente, Marco mi racconta delle ferite delle torture evidenti sui migranti, delle testimonianze angosciante. Mi dice anche che erano state scaricate tre salme dalla Dattilo e mi dice anche che erano partiti tutti da Zuhara. Quando mi nomina Zuhara da cronista salto su, perché c’era la notizia. 

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Perché di questo “salto”?

Perché quando il Governo italiano a luglio da allo “Zio” i famosi 5 milioni di dollari per tentare di fermare le partenze, perché Dabbashi era uno che ti buttava in mare in una giornata quattromila persone, che dovevi salvare altrimenti andavano tutte e quattromila a fondo, dopo lo scoop di Steve Scherer della Reuter, il giorno dopo l’inviato di Le Monde fece un reportage dalla Libia in cui raccolse le lamentele di Zuhara. E lì c’è una scena da commedia siciliana. Perché, come ricorderai, nel 2015 Zuhara fece una battaglia diremmo noi della “società civile”, scontrandosi con i trafficanti di esseri umani e gli scafisti per bloccare le partenze. E ci riuscirono, perché dal 2015 al 2017 Zuhara non ebbe più partenze. Allora se la presero dicendo, in buona sostanza, avete dato 5 milioni a Sabratha, allo “Zio” Dabbashi e. a noi niente? E allora sapete che c’è di nuovo, faremo ripartire le persone da Zuhara. Capisci che se poi io arrivo al porto di Catania e mi confermano che tutte quelle persone erano partite da Zuhara, io chiamo subito la fonte di Msf, sapendo che Msf ha una missione su terra in Libia. La storia ci ha dato ragione perché anche in questo momento, mentre stiamo parlando, ci sono almeno trecento persone che sono partite da lì. 

Quale morale si deve trarre da questa brutta storia di intercettazioni e di inchieste “pilotate”?

La morale, se si vuol usare questo termine, è che uno o sceglie il modello del ministero degli Affari interni russo o sceglie quello di un Paese europeo che non ha cancellato lo Stato di diritto. Questa storia un po’ del sapore dell’intimidazione ce l’ha. Ma anche ha il sapore della manipolazione funzionale alla criminalizzazione di chiunque salva le persone in mare. Per me, la prevedibilità del male è più potente della sua banalità. Si è perso il senso della giurisdizione e a questo punto anche dello Stato di diritto. Ha ragione Beppe Giulietti (presidente della Fnsi, ndr): se ne occupi il Csm, il ministro Cartabia e, verrebbe da dire, anche il Procuratore generale della Cassazione che dovrebbe avere una funzione su queste cose. 

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