Nei Tg si applicano le proporzioni talebane e le donne sono oscurate dagli uomini
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Nei Tg si applicano le proporzioni talebane e le donne sono oscurate dagli uomini

I dati dicono di 14% a 86% nei tg e 22% a 78% negli spazi extra. Nei media la rivoluzione femminista non ha avuto né ascolto né  cittadinanza,

La redazione di Tgcom24
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Vincenzo Vita Modifica articolo

29 Settembre 2021 - 23.01


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Sono state pubblicate lo scorso 22 (quattro giorni dopo) dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le tabelle inerenti alle presenze politiche in televisione dal 5 al 18 settembre. 

Il trend (brutto) dei dati è consolidato, a partire dall’inquietante rapporto nel tempo di parola tra donne e uomini. 14% a 86% nei tg e 22% a 78% negli spazi extra. Già simile proporzione talebana meriterebbe una specifica condanna con riequilibrio adeguato. Soprattutto, però, è urgente mettere la testa sull’impianto complessivo dei media, dove la rivoluzione femminista non ha avuto né ascolto né  cittadinanza, sia sul piano dei minuti sia su quello dell’approccio culturale e dei linguaggi.

Per ciò che concerne i vari soggetti, continua imperterrita la saga leghista, ancorché negli ultimi giorni segnata da polemiche e giudizi negativi. Tuttavia, la vecchia regola della pubblicità premia l’esposizione e la riconoscibilità del marchio, al di là dei contenuti manifesti attraverso cui vengono veicolati. Comunque, si toccano confini impressionanti. 

Quindi, il periodo di maggiore tutela del pluralismo previsto dalla l.28 del 2000 sta esaurendosi con una doccia gelata: la par condicio è stata di fatto abrogata, pur se tuttora viva nei codici.

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Tra l’altro, fin qui non sono stati divulgate le delicatissime cifre del periodo immediatamente prossimo al voto: dal 19 al 25 del mese in corso. Andavano diffuse il 26 con eventuali interventi immediati.

Non risultano, infatti, emessi provvedimenti, dai richiami alle sanzioni. Il collegio dell’Agcom si riunirà di urgenza in settimana? E nei ballottaggi qualcosa si recupererà?

 Dunque, il Far West. Anche nei social.

Al punto, che sembra vanificata ogni praticabilità dei ricorsi per le violazioni riscontrate. Che di scarsissima ottemperanza si tratti è evidente, al di là del monitoraggio che pure l’Agcom omette di svolgere settimanalmente.

Appare chiarissima la scelta condotta trasversalmente (con le debite eccezioni) di considerare mediaticamente interessanti solo le candidature ritenute in grado di correre ai ballottaggi. Residue tribune elettorali a parte, e al netto di qualche cenno di maggiore equità verso l’insieme della platea delle testate regionali, il contesto ha assunto simili sembianze. Non parliamo, poi, dei talk, diventati un privilegiato e inattaccabile mondo a parte.

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Salvo rivolgimenti dell’ultima ora, quindi, la novità della tornata amministrativa sul rapporto tra media e politica è questo: la legge è stata uccisa, senza nemmeno un decente rito funebre.

Sono riflessioni amare, che provano a rompere il muro di silenzio complice e compiaciuto sull’argomento.

Davvero, però, l’Autorità preposta in materia sta in silenzio? Si tratta di una colpa grave, che apre uno squarcio tenebroso su di un organismo che fu immaginato del 1997 con grandi  speranze, ormai così deluse.

C’è materia per interrogazioni parlamentari. C’è motivo per pensare ad una lettera di sensibilizzazione al presidente della Repubblica Mattarella, che ha sempre dimostrato estrema attenzione a simili materie, e che nel 1990 si dimise con coraggio dal governo all’indomani del varo della legge n.223 (Mammì), che fotografava il duopolio di Rai-Fininvest e offriva il destro alla vulgata oggi in grande spolvero: nel settore le leggi, anche quando esistono, sono un optional o un noioso eccesso di zelo.

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Seguiremo tali storie, con costanza e caparbietà. Assistere alla normalità del male facendo finta di non vedere è indegno.

PS: il prossimo 20 ottobre inizierà la fase della transizione verso l’età dell’evoluta decodifica digitale MPEG-4, che permetterà la visione in alta definizione. Vasta trasmigrazione verso nuovi apparecchi (con elargizione di bonus) o acquisto almeno di decoder adeguati. Insomma, vastissima operazione commerciale per far posto al mostro telefonico. In gergo refarming. Tuttavia, il detersivo di Mediaset lava sempre più bianco. La Rai manterrà fino al giugno del 2022 solo i canali classici, mentre l’azienda concorrente dismetterà soprattutto le versioni video di alcune radio e poco più. La par condicio è proprio morta.

 

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