Quando se ne va un grande giornalista sono cavoli amari. Perché questo mestiere, purtroppo sempre più in crisi, perde un grande esempio. Ma anche perché un giovane giornalista alle prime armi difficilmente possiede gli strumenti per raccontare chi è stato veramente quel grande collega.
Apparentemente Demetrio Volcic, scomparso serenamente a 90 anni, lo conoscevano tutti. I suoi articoli da Mosca erano rimasti impressi a milioni di lettori e il suo volto così serio era scolpito negli sguardi degli spettatori fedeli dell’indimenticabile Rai di una volta.
Ma in realtà pochi ricordano che Demetrio Volcic, tra le altre cose, fu l’autore del più grande scoop del secolo scorso, quando gli capitò di scoprire il motivo dell’inaspettato crollo economico dell’Unione Sovietica. Storicamente, il presidente statunitense Ronald Reagan se ne intestò la paternità, ma l’idea fu della Cia.
Ricordate la corsa di Usa e Urss a chi sarebbe riuscito a fabbricare per primo lo Scudo Stellare, capace di neutralizzare qualunque ordigno nucleare proveniente dalle forze armate avversarie? Russi e americani ci lavorarono per anni, giorni e notti, mobilitando decine di migliaia di addetti e investendo somme astronomiche.
Ma i tecnici della Nasa non tardarono a scoprire che si trattava di una missione impossibile. A quel punto, la Cia chiese a Reagan di non divulgare la notizia per continuare a far spendere ai russi tutti quei soldi che neppure avevano. Fu così che l’Urss andò in bancarotta. A quel punto, Gorbaciov ne approfittò per spalancare i suoi confini aprendo il paese al dialogo con il resto del mondo.
Demetrio Volcic, manco a dirlo, fu anche un interlocutore privilegiato di Gorbaciov. Per il semplice fatto che Demetrio conosceva l’Unione Sovietica meglio di chiunque. E un giorno particolare, un giorno particolarmente difficile dell’estate del 1979, me ne diede la prova inconfutabile.
Quel giorno, il sottoscritto stava ripartendo da Mosca dopo aver visto, del tutto clandestinamente, un film di Andrej Tarkovskij intitolato “Stalker”. Era stato lo stesso Tarkovskij ad insistere che lo vedessi. Una settimana prima, quel pazzo di Tarkovskij mi aveva spedito in pieno centro, in una saletta adiacente al Teatro Bolshoi, dove era in programma una proiezione privata del film… organizzata per i dirigenti del Kgb. Io ci ero andato, pazzo almeno quanto lui, e all’uscita della sala mi ero anche soffermato per carpire qualche commento nei capannelli degli ufficiali del Kgb che discutevano dopo aver visto il film.
Giorni dopo, quando arrivai all’aeroporto di Mosca per ripartire e far ritorno a Roma, ebbi modo di scoprire che il posto sull’aereo per me non c’era. Nonostante tutte le mie rimostranze, mi fu detto che ero stato cancellato dalla lista dei passeggeri perché non avevo confermato la partenza, e neanche quando obiettai che non c’era niente da confermare dal momento che il visto mi scadeva quel giorno stesso, la riposta cambiò. Mi chiusero il volo sul muso e rimasi come un’idiota davanti agli sportelli dell’Aeroflot pensando che forse, a quel punto, avrei dovuto prendere un taxi al volo per andarmi a rifugiare all’ambasciata italiana.
Ma per fortuna c’era Demetrio Volcic.
Vedendomi smarrito, Demetrio mi prese per mano come un ragazzino, afferrò il mio biglietto, e mi portò con se al centro della hall dell’aeroporto di Mosca. Poi mi lanciò uno sguardo complice e cominciò a gridare in russo. Dopo un minuto che gridava, arrivò trafelata un’impiegata dell’Aeroflot. Lui la cacciò via in malo modo e ricominciò a gridare un po’ più forte. Ed ecco sopraggiungere un uomo. Demetrio gli chiese chi fosse, ma cacciò via anche quello e si mise di nuovo a gridare, ancora più forte.
Questo crescendo rossiniano durò una ventina di minuti e si concluse soltanto allorché si palesò una bellissima hostess che mi consegnò la carta di imbarco per quel volo diretto a Roma che qualcuno aveva fermato poco prima del decollo.
“Ma come hai fatto, Demetrio?”, gli chiesi abbracciandolo.
“Qui funziona così. Devi strillare, strillare, strillare. Perché tutti, proprio tutti, devono pensare che tu potresti conoscere qualcuno sopra di loro e fargli passare un guaio. Al fondo sono ingenui, lo sai. Fai buon viaggio”.
Ecco, a mio modo di vedere queste sono lezioni di giornalismo.