Propaganda e censura nel conflitto tra Russia e Ucraina
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Propaganda e censura nel conflitto tra Russia e Ucraina

In un'intervista allo storico Nicola Labanca un' analisi sul ruolo della comunicazione in questa guerra. Per quanto si discuta su notizie vere o false il problema vero è, in questo caso, comprendere il valore della notizia in sé

Propaganda e censura nel conflitto tra Russia e Ucraina
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8 Marzo 2022 - 12.01 Culture


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di Azzurra Arlotto
La propaganda ha da sempre svolto un ruolo centrale durante i conflitti di guerra: l’intento è quello di influenzare l’opinione pubblica, un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni e manipolare le conoscenze. Per far questo sono cambiati i mezzi di comunicazione fino a determinare una nuova grande sfera di influenzamento, quello virtuale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ne è una dimostrazione. Sugli argomenti legati alla guerra che si sta combattendo, abbiamo intervistato Nicola Labanca, professore di Storia contemporanea dell’Università di Siena.

Quanta e quale propaganda viene messa in atto in questa guerra?
Vorrei fare una premessa. Spesso la comunicazione di guerra, tra cui la propaganda, è studiata da figure legate alla semiotica e ai mass media. Non va, però, sottostimata l’importanza degli storici che in modo oggettivo, da osservatori scientifici, riescono a ricostruirne il cambiamento nel tempo, anche a seguito dei nuovi dispositivi tecnologici. Le informazioni veicolate dalla propaganda implicano un certo grado di occultamento, manipolazione e di selettività rispetto alla verità. In relazione al conflitto tra Russia e Ucraina le informazioni e le immagini che vediamo sono per lo più legate alla sfera umana e poco a quella prettamente bellica.

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Bisogna, quindi, stare molto attenti anche alle molte immagini che vediamo in continuazione…
Noi di questa guerra non sappiamo quasi niente di vero, di concreto. Vediamo solo alcune cose: non abbiamo visto immagini dei combattimenti, né tantomeno le azioni delle forze armate russe o la reazione delle forze ucraine o ancora i combattenti della cosiddetta resistenza ucraina e nemmeno cosa stanno facendo le milizie armate delle auto-definite repubbliche. Le immagini che stanno circolando sui bombardamenti sono allo stesso tempo immagini vere e immagini propaganda. Bisogna quindi avere un atteggiamento di valutazione critica nei confronti di quello che vediamo.

È bene, cioè, saper valutare le notizie, verificando le fonti e saperle distinguere?
Per quanto si discuta su notizie vere o false il problema vero è, in questo caso, comprendere il valore della notizia in sé. Sapere “cosa” trapela dai governi degli Stati coinvolti. Specie quando si tratta di regimi totalitari o autoritari e in questo caso non c’è da stupirsi del fatto che vengano messe in circolazione “notizie orientate” o che si faccia uso di censure, come nel caso del governo russo. È evidente che quando uno Stato è in guerra, quando i propri giovani perdono la vita combattendo, esso cerchi di tutelare la propria comunità nazionale. Si evita anche di dire dove si combatte per far sì che il nemico, leggendo la stampa avversaria, non sappia troppo. Ed è normale, non mi stupisco, che ci sia la propaganda perché i familiari di quei combattenti devono essere assicurati e il fronte combattente deve avere alle spalle un fronte interno solidale.

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La comunicazione attraverso i vari media, tra cui i social network come Facebook che è stato di recente limitato dal governo russo, assume un valore sempre più importante?
Che la comunicazione sia diventata centrale nella guerra lo dimostra il bombardamento alla torre della televisione a Kiev, lo scorso lunedì. Oggi si dice che questa è la prima guerra in diretta, ma non è così: già le guerre in Iugoslavia, dei primi anni Novanta, erano guerre dove la comunicazione aveva un grande ruolo. Non è dunque la prima guerra in diretta, ma certamente ci sono aspetti nuovi che vanno considerati e studiati. I social networks in altri conflitti hanno avuto un ruolo importante: Una decina di anni fa nelle rivoluzioni della cosiddetta primavera araba i mezzi di comunicazione sono serviti per mettere in contatto le persone.

Cosa ne pensa del ruolo degli hacker e di Anonymous, in particolare?
Gli hacker possono servire, anche quelli come Anonymous; possono essere utilizzati sia dagli stati maggiori per controllare la popolazione sia dai cittadini per controbattere la propaganda dei regimi. In qualunque latitudine, in qualunque tempo della storia, la comunicazione è stata un terreno di battaglia: le guerre si vincono anche sulla base di chi ottiene il controllo dei mezzi di comunicazione perché tramite questi si può ottenere un’egemonia totale o parziale sulla pubblica opinione. Tutti i mezzi di comunicazione servono per l’azione sociale e politica, servono allo Stato che attraverso loro influenza il proprio elettorato e la propria cittadinanza. Non c’è un’opposizione del tipo: il governo è autoritario e i mass media sono la democrazia, la parità. Sono molto controllati. È drammatico ma non è una novità. Per lo storico è l’ennesima ripetizione di ciò che sempre avviene anche se ogni volta assume forme diverse, legate alla tipologia dei combattenti, alla tecnologia del tempo e alla realtà del momento.

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