Ci risiamo. Ancora una volta si sta tentando di mettere mano ai limiti stabiliti per l’inquinamento elettromagnetico dalla legge del 22 febbraio 2001 n.36 e dal decreto legislativo 29 agosto 1997 n.281.
Il tetto sancito all’epoca (6 V/m), frutto di un lungo e serio lavoro istruttorio in seno ai ministeri competenti e alla comunità scientifica, è rimasto fermo malgrado i numerosi propositi di revisione. L’unico risultato, ancorché parziale, conseguito dall’offensiva liberista fu ottenuto in uno dei provvedimenti del governo presieduto da Mario Monti (legge del 24 marzo 2012, n.27) in cui si sanciva che la misurazione andava svolta non ad intervalli di sei minuti, bensì in una media di 24 ore.
Tuttavia, quel tetto che scotta ha tenuto, persino nell’età berlusconiana, quando la sete di impianti era massima.
Ancora due anni fa, su impulso di Legambiente, fu dato uno stop ad un emendamento di Italia Viva volto ad innalzare la soglia. Si trattava, data l’esile consistenza del gruppo in questione, di un fuoco fatuo.
Ma ora il pericolo diventa davvero serio, perché il governo di destra gode del sostegno di un’ampia maggioranza e intende aggirare per tale pericolosissima via li buco nero della deficitaria copertura del territorio con la banda larga e ultralarga. Insomma, l’esecutivo e i dicasteri formalmente delegati ad occuparsi di una materia che ci vede nella bassa classifica europea stanno cercando di recuperare il tempo perduto con un vero e proprio sopruso.
Infatti, il desiderio evocato di portare il limite a ben 61 V/m, decuplicando così la misura in vigore, va nel senso di permettere l’aumento geometrico delle antenne, per garantire la copertura del territorio con un surrogato della rete in fibra ottica. Sarebbe come ovviare all’assenza di linee metropolitane o ferroviarie con l’incremento del numero e della velocità delle autovetture, togliendo per di più ogni controllo sulla velocità massima.
Si confonde colpevolmente la Raccomandazione del Consiglio europeo del 1999 n.519, volta a definire i confini degli effetti termici, con la questione oggetto ora dell’insidiosa controriforma.
I 6 V/m rappresentano un fondamentale principio di cautela nei riguardi dell’esposizione ai campi elettromagnetici, la cui potenziale ricaduta negativa sulla salute è da lustri oggetto dell’analisi epidemiologica. Siamo di fronte ad un fattore di rischio tra i più elevati, peraltro già confermato da casistiche tutt’altro che marginali. Comunque, vi sono centri di ricerca che hanno fornito studi assai inquietanti.
L’iniziativa in corso fa parte di un testo governativo su presunte misure urgenti in materia di reti di comunicazione elettronica. Il settore, premuto com’è dallo strapotere degli Over The Top, versa in una situazione difficile e l’affidamento alla stagione di apparecchi dotati di tecnologie di nuova generazione (oggi il 5G, domani il 6G) sembra la zattera cui aggrapparsi.
Saremo, dunque, avvolti da un fascio capillare e invasivo di onde invisibili e allo stesso tempo micidiali. Le citate onde, del resto, hanno una loro forte materialità. Basti pensare a ciò che succede, ad esempio, ai microfoni di un convegno quando nelle vicinanze squillano i cellulari.
La testata Nuova ecologia ha pubblicato un bel testo in merito, che critica severamente il progetto e riferisce di una precisa valutazione dell’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (Icnirp, organismo non governativo, riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità) che distingue tra valori da non superare: non da raggiungere.
Il testo ha raccolto molte adesioni, tra le quali vanno segnalate quelle della direttrice scientifica emerita del prestigioso Istituto Ramazzini Fiorella Belpoggi; nonché dell’ex direttore del dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità Pietro Comba.
È necessario bloccare simile aggressione reazionaria contro una regola essenziale per l’ecosistema delle comunicazioni.
Speriamo che il grido di allarme sia raccolto dai parlamentari di buona volontà. Il tetto minacciato gronda di sangue, con probabili effetti mortiferi.