La scomparsa di Andrea Purgatori è stata come un fulmine a ciel sereno. Anziano, ma neanche troppo, lo si vedeva settimanalmente nella trasmissione Atlantide su La7, in grande spolvero. Anzi, in una seconda giovinezza. Grazie al cronista cresciuto nel Corriere della sera nel lungo e complesso periodo che va dal 1976 al 2000 (quando in via Solferino di Milano accadde di tutto, ivi compresa la loggia P2) e poi sceneggiatore, scrittore, conduttore televisivo e persino attore, si sono rotti diversi muri di omertà e svelati segreti indicibili.
Quanti esempi virtuosi: la trasmissione di Purgatori contribuì a riaprire il caso dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini, o quello di Emanuela Orlandi diventato una serie su Netflix; oppure, e qui siamo davanti ad un gioiello da studiare nelle scuole, l’omicidio di Mino Pecorelli a suo tempo derubricato a brutale regolamento di conti, mentre un’analisi puntigliosa lo inquadrava in un contesto che toccava Giulio Andreotti, il rapimento e la fine di Aldo Moro, fino all’enigmatico trapasso di Giovanni Paolo I° avvenuto poco dopo l’invio in Vaticano di una lettera compromettente per le alte gerarchie.
Insomma, siamo al cospetto di un giornalismo carico di deontologia (la verità è un obbligo per chi racconta) e -insieme- di passione.
Un maestro ci lascia in un momento infelice per l’informazione, attraversata da editori impuri e attacchi all’arma bianca di una destra bulimica, e fondata su un precariato dilagante esposto alla crudele moda delle querele temerarie.
Purgatori ha indagato su questioni drammatiche e a lungo irrisolte: da Ustica (sua la sceneggiatura del film Il muro di gomma), all’esecuzione del giovane giudice Livatino (Il giudice ragazzino), al rapimento da parte della Cia con la complicità di settori dei servizi segreti italiani di Abu Omar, alla camorra di Fortapàsc, all’epopea criminale di Renato Vallanzasca.
A guardare la biografia non si finisce mai di stupirsi per la varietà di un lavoro che ha sconfinato con notevole brillantezza nel cinema, nella scrittura di libri, nella partecipazione ironica ed efficace alle finzioni di Corrado Guzzanti o di Carlo Verdone o della serie di culto Boris.
È stato pure organizzatore culturale, contribuendo alla nascita dell’associazione 100Autori. Inoltre, ha fatto parte dell’Accademia del cinema italiano e dell’omologa europea, della Siae. Ha presieduto le Giornate degli Autori connesse alla Biennale di Venezia. Ha diretto dal 2014 al 2020 Greenpeace Italia, con un impegno civile rilevante e riconosciuto.
Emerge un filo rosso inequivoco, vale a dire l’incessante desiderio di servire lettrici e lettori, spettatrici e spettatori non attraverso il ricorso ad espedienti da brutto avanspettacolo -come, purtroppo, si usa in certi talk-, bensì con un giornalismo di precisione.
La cifra (e l’eredità difficile) che ci lascia Purgatori sta proprio qui: non si improvvisa, si studia, si approfondisce, ci si espone protetti dalla attendibilità e dalla propria coscienza.
Abbiamo conosciuto una persona gentile e generosa, disponibile a partecipare sempre a incontri e dibattiti, pur se non blasonati o di immediato successo. La qualità professionale ne ha sempre connotato l’attività, spesso in viaggio nelle zone di confine dove va compresa la differenza tra il segreto di stato intangibile (un’eccezione) e l’apertura – invece- degli armadi chiusi dei poteri innominabili. E lì il pericolo corre sul filo, perché la libertà di cronaca è insidiata dall’ondata di regime che percorre il quadro politico e istituzionale.
Seguire l’esempio di Purgatori è, oggi, una scelta di campo, secondo la quale non ci si arrende ai richiami autoritari e ai pensieri unici. Lo spirito critico è essenziale per preservare i principi democratici. Il destino ci ha privato troppo presto di una grande figura, il cui valore si coglierà nella sua assenza.