Politica e social: come i poteri forti tecnologici ci usano e come provare a resistere
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Politica e social: come i poteri forti tecnologici ci usano e come provare a resistere

Un dialogo su social e internet con Fabio Pasqualetti professore di Sociologia dei media digitali e preside della facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana di Roma

Politica e social: come i poteri forti tecnologici ci usano e come provare a resistere
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

11 Agosto 2023 - 14.37


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Fabio Pasqualetti insegna Sociologia dei media digitali ed è preside della facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Attento conoscitore del mondo dei social, lo incontro per qualche battuta sul rapporto tra partecipazione politica e social media.

Prima di demonizzare o esaltare un aspetto ormai fondamentale della nostra vita quotidiana è importante capire. Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok, Snapchat, WhatsApp, ecc. sono amici o nemici della nostra vita sociale?

Quasi tutti sono nati con la promessa di offrire legami di amicizia, libertà di espressione, apertura e conoscenza. Di fatto, per ragioni economiche, sono diventati macchine per far soldi che spesso estraggono il peggio che c’è in ognuno di noi. Dopo ormai quasi vent’anni sono convinto che il beneficio dei social è assolutamente insignificante rispetto al danno che producono a livello cognitivo, culturale, sociale, politico e affettivo. A causa degli effetti collaterali della profilazione, queste piattaforme sono la palestra quotidiana della banalità, del narcisismo, dell’arroganza e dell’aggressività a basso prezzo, oltre al fatto che la frequenza di esposizione a strumenti che iperstimolano continuamente il cervello senza dargli il tempo di riflettere producono il prototipo di persona perfettamente funzionale al potere che non vuole gente che rifletta e pensi, ma che consumi e si diverta. Non solo, ma questa riconfigurazione cognitiva certamente sviluppa alcune abilità, a scapito però della perdita di valutazione critica, resilienza e meditazione che sono quelle abilità necessarie per crescere come persone mature e responsabili.

Questo aspetto mi interessa molto. Dobbiamo dedurre che i social non aiutano a diventare “cittadini sovrani”, come scriveva don Milani? 

La democrazia è già morta da tempo anche se continuiamo a volerci illudere che esista ancora. Ciò che esiste in realtà è un sistema per cui, come direbbe Byung-Chul Han, «Il dominio si compie nel momento in cui libertà e sorveglianza coincidono». Un regime che non usa la coercizione ma la seduzione tecnologica. Viviamo interconnessi a tecnologie dalla modificazione comportamentale, con un potere asimmetrico enorme. Loro conoscono tutto di noi, noi non conosciamo quasi nulla di quello che fanno a noi. Non è quindi una deriva anti-democratica, ma semmai un processo di svelamento di un potere tecnocratico decisamente funzionale ai poteri forti del mercato e ai governi autoritari che li usano come laboratori di controllo sociale e politico. Tra le colpe di una certa sinistra, la paura di criticare i sistemi tecnologici come i social media perché si sentirebbe conservatrice; quindi si è sempre associata alle narrazioni dei progressisti tecnologicamente avanzati: peccato che i poteri forti tecnologici, come le multinazionali del digitale, siano costitutivamente neoliberiste, private e promotrici esclusivamente di interessi economici.


Un’analisi, la tua, spietata quanto vera. Che fare? Uscire dai social? Uso ridotto dei social?

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Jaron Lanier, guru della realtà virtuale, nel suo testo del 2018 Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social spiegava come il problema sia proprio nel modello economico al quale i social obbediscono, e anche il fatto che la gente vuole tutti i servizi di rete gratuiti, anche se poi non lo sono mai. Fino a quando non saremo disposti ad avere servizi con un ragionevole pagamento, la merce saremo noi e il sistema inevitabilmente userà i nostri dati e produrrà queste distorsioni che sono funzionali, come dicevo, all’attuale macrosistema economico. 

Allora che fare? Da una parte si possono creare comunità di resistenza: non vuol dire non accedere alla rete, ma non utilizzare i social e usare la rete con tante altre possibilità. Se si vuole sviluppare indipendenza non si devono frequentare luoghi che la creano. Sui social non c’è dialogo, non c’è confronto, ma solo pregiudizio e scontro. Non puoi fare ragionamenti sottili, argomentare, perché è l’emotività che prevale, inoltre manca il tempo e le immagini vincono sempre sulle parole. Dall’altra se ci stai devi essere cosciente di dove sei e cosa puoi ottenere, e avere sufficiente nutrimento culturale alternativo, altrimenti un po’ alla volta vieni risucchiato nel vortice dell’abitudine.

Tuttavia voglio precisare che i social media sono una cosa, mentre la Rete (Internet) è un’altra. In Internet c’è lo spazio per la ricerca, per l’approfondimento, per il dialogo, la condivisione, per proporre anche questioni molto serie. Oggi è impensabile un futuro senza rete: quello che dovremmo evitare sono i dispositivi e le piattaforme che ci usano e ci strumentalizzano. 

Ma ci sarà un via di uscita… Non credi?

Più che una via d’uscita si tratta di riattivare e recuperare la dimensione del legame sociale che indirettamente le piattaforme social denunciano come insoddisfacente, visto il loro successo. I contenuti dei social ci ricordano che abbiamo la famiglia spesso allo sbando, la scuola che non funziona, la politica che è distante, ma anche una Chiesa che non sa più costruire comunità. Non è un caso che la comunicazione dell’incontro che promuove papa Francesco insista proprio sul costruire comunità. Il messaggio per la Gionata Mondiale della Comunicazione del 2019 si intitolava «“Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana». E gli ultimi tre messaggi sono quelli che io chiamo l’algoritmo dell’incontro. 2021 – “Vieni e vedi” (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono (la Chiesa in uscita che va incontro alla gente); 2022 – Ascoltare con l’orecchio del cuore; se ci si pensa questa è una rivoluzione procedurale visto che sui social media la prima cosa che uno fa è parlare e ostentare se stesso mentre qui è l’altro che prende la priorità e devi ascoltarlo con il cuore; infine, 2023 – Parlare col cuore. «Secondo verità nella carità» (Ef 4,15), che non è uno scherzo, perché mentre oggi si parla spesso a vanvera, qui il cuore richiama un parlare con saggezza e profondità. Tutto questo è molto difficile da praticare sui social, ecco perché è necessario riportare la gente all’incontro interpersonale, che deve essere però significativo; oggi non è più tempo di fare le cose per tradizione o per consuetudine: la gente esige qualità e coerenza.

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Il ragionamento, come ben sai, è prima, dopo e durante l’uso di un strumento; eppure colgo un po’ nelle tue risposte che il ragionamento non abiti per niente il mondo dei social. Sbaglio?

Questo è un punto delicato perché non sono i dispositivi in sé la causa della riconfigurazione cognitiva che disabilita alcune attività come il pensiero critico, la capacità di ponderare e valutare, di leggere in profondità gli avvenimenti. Viviamo in una cultura della velocità e dell’immediato funzionale al consumo, intossicata poi da aspetti di narcisismo, culto della giovinezza, successo, fama, venerazione dell’apparenza, ecc. I social media da una parte rispondono a questa cultura e la favoriscono perché, come ho spiegato prima, i servizi dati sono finanziati dalle aziende di marketing e quindi rispondono a questa cultura. L’altro aspetto è che inoltre creano un effetto illusione, perché le tecnologie digitali si presentano come tecnologie dell’accesso al sapere. Ma accedere non equivale a possedere e rielaborare personalmente i contenuti. Confondere la possibilità di accesso con la capacità invece di elaborazione del pensiero fa sì che oggi molte persone si illudano di sapere, rischiando di diventare dei saputelli arroganti. Da questo punto di vista i social media non facilitano il ragionamento e nemmeno il confronto. I social sono luoghi dell’emozione, è più un sentire che un ragionare. I parametri sono quelli del piacere o non piacere. Se si analizzano i commenti agli articoli o ai post, si vede immediatamente che dopo i primi due o tre commenti inerenti al tema, il resto della discussione è un botta e risposta emotivo, distante da ogni logica e razionalità.

Torniamo alla politica. E’ fuorviante pensare che quanto più i governi sono segnati da populismo e derive antidemocratiche tanto più si allineano con i “padroni” dei social? Ovvero con i tecnocrati? 

Potere e controllo dell’informazione (quindi tecnologie della comunicazione) è il modo con cui il potere si manifesta. Non è un caso che ad ogni colpo di Stato le prime infrastrutture che si controllano sono quelle dell’informazione e della comunicazione. Oggi per un certo senso, come dice Byung-Chul Han, il potere non necessariamente deve essere coercitivo: grazie al capitalismo della sorveglianza, la gente felicemente esibisce se stessa, produce quella necessaria visibilità (dati che diventano poi big-data) che permette ad un qualsiasi governo di esercitare un potere di controllo che fino ad oggi era inimmaginabile.
Oggi la politica ha in mano strumenti di manipolazione mai avuti prima. Basterebbe ricordare il caso del coinvolgimento dell’azienda Cambridge Analytica nelle votazioni per la Brexit e quello per la campagna politica di Donald Trump. Quindi si hanno strumenti di personalizzazione e manipolazione molto precisi. Ma c’è un altro modo per corrompere la democrazia che è più invisibile. Da decenni si stanno iniettando nella gente i germi dell’individualismo, del narcisismo e dell’indifferenza che minano il bene comune, principio di ogni democrazia.
Non è un caso che papa Francesco abbia più volte denunciato la globalizzazione dell’indifferenza che è il contrario dell’ I care di don Milani e ha una certa somiglianza con il “me ne frego” di stampo fascista. La deriva dell’indifferenza è che porta poi al cinismo e oggi di gente cinica in giro se ne vede parecchia.
.Un altro aspetto è che la democrazia richiede tempi incompatibili con i regimi di velocità ed efficienza della tecnologia. La complessità delle nostre metropoli poi richiede strutture di gestione e di intervento che esigono procedure più rapide.
I grandi cambiamenti in atto necessitano anche loro di decisioni che difficilmente si combaciano con procedure democratiche come le abbiamo fino ad ora pensate. Forse è tempo di ripensare la democrazia in un contesto di metropoli complesse gestite da apparati digitali; certo non sarebbe sano per l’umanità demandare questo ruolo a sistemi di Intelligenza Artificiale, controllati da pochi, il compito di decisione e comando.

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Si parla spesso di larghe fasce della popolazione ormai lontane dall’impegno politico, persino dall’esercizio del voto. Quale utilizzo dei social potrebbe aiutare la formazione e la partecipazione politica?

Sono convinto che prima occorre ricostruire la fiducia nella politica e questo avviene solo attraverso testimoni impegnati nel sociale e nel politico che siano credibili. Attorno a questi è necessario ripartire con giovani che riscoprano il gusto di un impegno per un mondo migliore. Oggi non è facile con i grandi problemi dei cambiamenti climatici, la percezione di un futuro corto e di una imminente catastrofe, ma è necessario scommettere e tentare, almeno per rispetto alle nuove generazioni. La rete e persino anche i social vanno bene come casse di risonanza, ma non li userei come prima carta su cui scommettere il cambiamento. La carta prioritaria su cui puntare in questa mano difficile dell’esistenza umana è sempre l’uomo.

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