Il massacro in corso a Gaza è senza precedenti. Non si salva nessuno: donne, bambini, uomini, medici, giornalisti… Una guerra che sta radendo al suolo la striscia di Gaza rendendo i palestinesi che la abitano un popolo di profughi nella propria terra, distruzione, umiliazione, annientamento. Come si può rappresentare una guerra che riduce la popolazione che la subisce a morire non solo di bombardamenti ma di fame e di epidemie. Il mondo assiste attonito, certo ci sono prese di posizione come quella della Corte internazionale di giustizia dell’Aja sollecitata dal Sudafrica, quelle del presidente dell’Onu, critiche di potenti della terra come Biden che non fanno seguire alle parole i fatti. Basterebbe sospendere gli aiuti a Israele per far pesare le critiche, ma i benpensanti si limitano a dire che la reazione di Israele all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre è sproporzionata.
In questo quadro di distruzione si inserisce il prezzo – mai così alto, oltre 120 morti e molti feriti e scomparsi – pagato dai giornalisti e operatori dell’informazione palestinesi per testimoniare al mondo intero cosa sta succedendo a Gaza. Oltre al massacro di giornalisti le continue interruzioni delle comunicazioni e la distruzione degli spazi adibiti alla informazione.
A livello internazionale un appello per la libertà di informazione in tempo di guerra ha raccolto oltre mille adesioni, molte anche in Italia, per chiedere ad Israele la possibilità di entrare a Gaza per garantire una informazione indipendente. Si sa, in tempi di guerra la propaganda utilizza ogni mezzo per imporsi, da parte di tutti i contendenti dei conflitti. Garantire una informazione indipendente è quindi arduo, ma non impossibile. E tuttavia, nei conflitti in corso, abbiamo verificato che non basta essere sul campo per garantire l’indipendenza dell’informazione, la guerra in Ucraina lo dimostra.
Anche per quanto riguarda la guerra israelo-palestinese, almeno per quanto riguarda l’Italia, assistiamo a una polarizzazione che purtroppo difficilmente sarebbe attenuata dalla presenza sul terreno. Finora chi è entrato a Gaza lo ha fatto sui carri armati israeliani e senza nemmeno poter fare riprese. Come sempre i giornalisti embedded vengono scelti dagli eserciti.
Con questo non voglio dire che si debba rinunciare alla possibilità di raccontare quanto sta avvenendo a Gaza, da dove finora ci giungono solo le voci di volontari di Organizzazioni internazionali, difficilmente ci si avvale della testimonianza di palestinesi.
Per denunciare la situazione e chiedere a Israele l’accesso alla striscia di Gaza per garantire una informazione indipendente fondamentale per una società democratica, i firmatari italiani dell’appello invitano a ritrovarsi il 1 marzo alle ore 11 a Largo argentina a Roma.