Chi è davvero Elon Musk? Il proprietario di SpaceX, di X (ex Twitter), amministratore delegato di Tesla e cofondatore di OpenAI e altro ancora fino a collocarsi nella punta della piramide delle persone più ricche, ha indossato i panni dell’aspirante dittatore.
Come ogni autocrate che si rispetti, tutto è svolto in nome della libertà.
La parabola di un imprenditore sui generis, accolto pochi mese fa come un eroe alla festa di Fratelli d’Italia (Atreju), oggi fervente seguace di Donald Trump -già espulso dal social-, fa pensare che siamo solo agli inizi dell’avventura.
Da ultimo, la presunta intervista via X all’ex presidente degli Stati Uniti ha chiarito bene che il personaggio ha fatto la discesa in campo nel territorio della politica, per usare il linguaggio di Silvio Berlusconi cui pure un po’ assomiglia.
Oggi è alleato di Trump e gli viene in soccorso dopo il calo nei sondaggi con una conversazione al di sotto di quelle a Giorgia Meloni trasmesse dal Tg1 o da Rainews o da Porta a Porta. Ma non si è trattato solo di un esempio di piaggeria, bensì di un affiancamento del candidato alla Casa Bianca, per superarlo in curva appena possibile. Come in una gara di velocità.
Insomma, la vicenda di Musk ci ammonisce su diversi aspetti della traiettoria di Silicon Valley e del predominio tecnologico: il digitale fa politica, è la politica. Mentre la politica che abbiamo conosciuto in Occidente versa in una crisi né limitata né transeunte.
Come il citato Cavaliere di Arcore inaugurò la centralità della comunicazione in barba ai tradizionali riti della rappresentanza, oggi Musk sembra dirci che l’era dell’intelligenza artificiale sta spodestando gli altri poteri. È, anzi, il primo di essi, non già il quinto o il sesto che sia secondo una nomenclatura analogica diventata persino grottesca.
E, poi, va registrata la deflagrazione dei conflitti nei e tra gli Over The Top (Microsoft, Google, Apple, Amazon, Facebook, X), tendenzialmente co-protagonisti della saga nordamericana e non certamente semplici tifoserie ricche.
Se siamo di fronte alla irresistibile (o meno) ascesa di una forma post-moderna di dittatura che il rigoroso filosofo Nicos Poulantzas non ha -purtroppo- potuto classificare nella varietà dei regimi, il tecnofeudalesimo è alle porte.
Piovono multe sugli oligarchi (da Apple a Microsoft a Google) per violazione di basilari norme antitrust. Ma qui siamo ben al di là della mera aggressione ai principi del diritto.
Se Musk alimenta apposite e crudeli fake per fomentare la vandea parafascista in Gran Bretagna, se a braccetto con Trump inneggia alla cacciata degli immigrati in nome di un’America yankee e rancorosa, siamo entrati in una zona ad altissimo rischio. Dove la consueta (e già impervia) dialettica tra utilizzo buono o cattivo della rete svanisce in un cielo nebuloso e denso di tempeste.
Ha certamente ben scritto al bizzarro magnate (dove sei Charlie Chaplin) il commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton, sottolineando che il regolamento dell’Unione 2022/2065 –il Digital Services Act, pienamente in vigore dal febbraio 2024- costituisce un atto impegnativo di 93 articoli costantemente contraddetti dalle pratiche di X: dal contrasto alla manipolazione delle notizie alla lotta contro l’illegalità, al non utilizzo di modalità ingannevoli. Si indicano codici di condotta accolti da Musk come un attacco illiberale.
In verità, la massima pena prevista è una multa equivalente al 6% del fatturato complessivo. Non è poco, ma neppure granché. Comunque, il testo, malgrado le proteste dell’interessato, si applica in Europa, in quanto quest’ultima ospita oltre il 10% dell’utenza di X.
Il DSA sarà sì una trincea, ma pensata per un contesto ordinario, e non di eccezione. Servirebbe, nel nuovo scenario globale, qualcosa di inedito, affidato all’autorità delle Nazioni Unite.
In fondo, quella di Musk è una guerra, fredda perché avviene attraverso la rete e non nei campi di battaglia, terribile.
Per l’intanto, va aperta la discussione sull’utilità di cinguettare portando acqua al guerrafondaio.