I guai della sanità calabrese e le sue strutture fatiscenti
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I guai della sanità calabrese e le sue strutture fatiscenti

La sanità calabrese continua a fare acqua da tutte le parti. Le ferite, aspettando gli interventi straordinari del governatore si fanno sempre più profonde.

I guai della sanità calabrese e le sue strutture fatiscenti
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23 Luglio 2011 - 17.07


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di Angela Corica

La sanità calabrese continua a fare acqua da tutte le parti. Le ferite, aspettando il Piano di rientro regionale e gli interventi straordinari del governatore, Giuseppe Scopelliti, (che è il commissario ad acta nominato dal Consiglio dei ministri, al fine di dare attuazione al piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Calabria), si fanno sempre più profonde. In sostanza, nella Piana di Gioia Tauro, in attesa della riconversione di alcune strutture, del potenziamento di altre, del nuovo ospedale nella Piana che superi le carenze di presidi come Polistena, Palmi, Gioia Tauro, Oppido Mamertina e Taurianova (dove già si sono visti gli effetti del Piano), medici, personale dei nosocomi e pazienti, vanno avanti fra mille difficoltà. Per capire cosa succede dentro le strutture, basta fare un giro (anche nei corridoi) di uno fra questi ospedali. Polistena, per esempio. Punto di riferimento dell’intera Piana, l’ospedale più grande e con più reparti. All’ingresso, gli automobilisti sostano il più possibile vicino all’ingresso. Il risultato è che se transita un mezzo (ambulanza compresa) più grande di una utilitaria, non ci passa. E allora si va avanti a suon di clacson, urli e nervosismo. Macchine in fila che tentano di avvisare i parcheggiatori “abusivi” senza successo. Superato il primo degli ostacoli, si riesce ad entrare. Il caldo è insopportabile. Nessun condizionatore acceso. Guasti! Si tenta di raggiungere i reparti con l’ascensore. Quello più piccolo non funziona da tre anni, quello grande da un mese (giusto giusto per l’estate!). Un solo ascensore funzionante: quello che arriva direttamente nella sala operatoria, che ovviamente non può essere utilizzato se non nei casi di urgenza e per il trasporto degli ammalati. Il punto è che ora l’ascensore è usato proprio da tutti i pazienti, anche quelli che provengono dal Pronto soccorso. Anche quelli che hanno infezioni, virus ecc. Nello stesso ascensore salgono i pazienti che sono pronti per la sala operatoria. L’ufficio tecnico non esiste. Nei reparti – secondo quanto siamo riusciti a constatare – non funzionano nemmeno i campanelli, in alcuni (uno fra tutti, Ginecologia e ostetricia) i bagni consistono solo di wc e lavandino. Il personale infermieristico è carente e le ferie di agosto sono in discussione. In Pediatria, Ostetricia e Chirurgia pare che manchi il personale di supporto, spesso sostituito da infermieri chiamati per 15 – 20 giorni. Infermieri che supportano altri infermieri e non il personale di supporto sanitario Oss. Il regolamento di sala operatoria sembra inesistente, né si fa fede a procedure o protocolli. In casi di urgenza si deve aspettare che arrivi l’anestesista. Siamo nello stesso ospedale dove nel 2009 è stato arrestato il boss latitante Antonio Pelle, detto Gambazza, ricoverato come un paziente “normale”.

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Nei giorni scorsi la Commissione d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, ha bocciato il Piano di rientro. La parlamentare Angela Napoli, è intervenuta sulla questione, illustrando le criticità che la Commissione ha rilevato. La Napoli ha citato anche il “caso” di Polistena. Dove, proprio rispetto a tutte le anomalie di cui abbiamo scritto, il 13 luglio scorso, il commissario regionale del sindacato infermieri italiani “Nursing Up”, Stefano Sisinni, ha presentato una denuncia alla locale stazione dei carabinieri. Evidenziando le carenze strutturali, tecnologiche ed organizzative interne a quel presidio. «È inimmaginabile – scrive la Napoli – continuare a pensare che la grave e dannosa situazione emergenziale nella quale versa la sanità in Calabria venga ancora oggi coperta dall’impunità dei vari responsabili ed invece pesi indiscriminatamente su tutti i cittadini, privandoli della garanzia di vedere assicurato il loro diritto alla salute».

A una settimana dalla denuncia ai carabinieri nulla è cambiato. Il commissario straordinario dell’Asp 5 di Reggio Calabria, Rosanna Squillacioti, non ha fatto sentire la sua voce rispetto alle richieste del sindacato. Né il direttore sanitario del nosocomio di Polistena “Santa Maria degli Ungheresi”, Loredana Carrera, ha dato risposte. Il clima di tensione si percepisce varcando il portone d’ingresso. Con i limiti e le lacune che presenta il Piano di rientro anche i tempi per la riconversione delle strutture ospedaliere calabresi e l’apertura di presidi unici, più efficienti e completi, saranno ancora più lunghi. I politici locali, tendenzialmente, vogliono mantenere il presidio e se non si muovono, lo fanno per evitarne la chiusura. Per cui il problema sta passando sotto il silenzio dei più. A parte l’inaugurazione del nuovo pronto soccorso di Polistena (realizzato grazie a fondi provinciali e non regionali). In quella occasione però, il governatore della Calabria non mancò di arrivare in pompa magna nella cittadina della Piana. Dove annunciava ancora una volta la sua azione per il rilancio della sanità calabrese. Ma intanto i pazienti che fanno? Il rischio clinico in strutture del genere è alto. E poi si grida alla tragedia? Un “caso nel caso” quello della sanità calabrese, dove 3 Asl sono già state sciolte per infiltrazione mafiosa, una delle quali è tutt’oggi commissariata e dove si punta sempre più ad una sanità privata cara, molto cara, per le tasche dei cittadini che abitano una regione in crisi.

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