Dio, manca l'aria! Moriamo come topi!
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Dio, manca l'aria! Moriamo come topi!

Ai ragazzi coperti da un telo azzurro sulla banchina del porto di Lampedusa. Morti come topi ed erano la speranza delle loro famiglie, dei loro popoli. [Onofrio Dispenza]

Dio, manca l'aria! Moriamo come topi!
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2 Agosto 2011 - 14.40


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di Onofrio Dispenza

“Dio, manca l’aria… Qui moriremo come topi. ..Lo dicevo io, lo dicevano anche gli altri. Non hanno sentito ragione.
Non si respira. Dovrei urlare anch’io come loro, ma non ce la faccio. I motori, il caldo, sulla mia testa i bambini piangono, le madri pregano. Sembra d’essere in mare da un’eternità e invece il mare da fare per arrivare in Italia è ancora tanto.
Vi prego, urlate per me che non riesco, dite loro di farci uscire. Qui si crepa. Siamo tutti giovani, forti, gettateci pure in mare, proveremo a nuotare. In mare come quello che mi stava accanto e che è riuscito a venir fuori da questa maledetta botola. Vi ha implorato… per lui, per noi. Non avete ascoltato. Uno per le mani, l’altro per i piedi, e in mare. Lo avete gettato in mare senza pensarci due volte. L’ho sentito gridare aiuto fino a quando la botola è rimasta aperta. Poi, solo i motori e le urla. Ancora urla.Urla accanto e di sopra.

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Dio, manca l’aria. ..Qui moriamo…

Padre, i tuoi occhi andavano più lontano dei miei. Quando mi hai salutato, mi hai guardato come si guarda chi muore. E comunque, per te sarei morto, sparito. Anche se ce l’avessi fatta. O così, come un topo o per la lontananza. Tu sei vecchio e non ti avrei mai più visto. Non ti vedrò. Chi ascolterà i tuoi racconti d’estate, davanti alla porta, con le stelle sulle teste e l’odore di polvere bagnata. Lo fa ogni sera tua moglie, mia madre: spruzzare l’acqua di una bacinella davanti la porta di casa, perché i nostri racconti siano accompagnati dal fresco, perché il vento caldo non sollevi la polvere, possa cadere nei piatti delle nostre insalate. Il profumo dei cetrioli, del pomodoro e del gelsomino che cresce davanti la vostra finestra.

Dio, muoio, con me muoiono tutti gli altri. Siamo saliti per primi, i più giovani, i più forti. La spiaggia era buia e ci facevano fretta. Fretta anche perché entrassimo senza fiatare n quella dannata botola. E poi, su di noi, in coperta altri uomini, donne e tanti bambini. E le donne, sentivo prima che la barca accendesse i motori e prendesse il mare;le donne si passavano il consiglio di dare il seno ai più piccoli. Per non farli piangere, per tentare di farli dormire. Lo avevano consigliato le più anziane. E lo avevano fatto sapere in paese le donne che ce l’avevano fatta. A cullarli i bambini ci avrebbe pensato il mare.

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Padre, chi ascolterà adesso i tuoi racconti? Sempre gli stessi e sempre nuovi. Chi ti guiderà, incerto e vecchio, al mercato? Anche tua moglie è vecchia e non riesce più a darti forza e a darsi forza.

E chi sposerà mia sorella?

Dio, Dio, Dio…i miei figli! Quello che nascerà a novembre e quella che, finita l’estate, avrà il suo primo giorno di scuola. Chi le comprerà la cartella, i quaderni. Chi l’accompagnerà? Il latte per chi nasce. ..Dio, perché devo morire qui e adesso. E così…

Mi manca l’aria, moglie. Non saprai di me. Al tramonto andrai nella parte più alta della città, con le altre donne,facendoti strada nella breccia del muro, sullo strapiombo, seduta a guardare il mare. Per sperare, per capire, per provare ad andare con gli occhi più lontano possibile. Dove è impossibile arrivare. Un passo indietro, mio padre e mia madre. Se non i vestiti, gli occhi avranno il colore del lutto. Poi il lutto scenderà anche nei vostri vestiti.

Avessi potuto morire in mare, lasciarmi andare. Essere scaraventato come quell’altro. Sperare che il mio corpo spinto dalle correnti potesse fare il viaggio all’indietro.

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Il viaggio. Ora inizia il mio viaggio. Quello di cui tu, padre mi parlavi. Quello che tu pensavi più vicino a te. Non respiro… Non si muovono più. ..Ora, davvero, è il tempo di partire.”

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