L’anziano ex senatore Ludovico Corrao “anima” ispiratrice del nuovo Belìce, motore culturale dedicato ad unire e non a dividere le sponde del Mediterraneo, è da ieri chiuso dentro una bara colore noce sopra la quale c’è la sua foto, la stessa che campeggia in ogni punto dell’aula consiliare del Comune di Gibellina, e poi anche un grande cappello di paglia a falde larghe, come usava portarli, posato in cima al sarcofago funerario. E’ così che sta ricevendo gli ultimi saluti nella camera ardente apposta allestita nell’aula consiliare del Comune di Gibellina, domani alle 10 nella chiesa madre della sua Gibellina, dentro quelle navate opera d’arte del maestro Quaroni. Le sue spoglie, violentate dalla mano assassina che lo ha ucciso domenica scorsa, sono state composte come hanno chiesto i suoi familiari, le figlie Antonella e Francesca, l’altro Vincenzo è in America e il buon fortuito caso ha voluto che proprio poche settimane addietro sia tornato rivedendo il padre senza sapere che era per l’ultima volta. Non c’era nessuno mercoledì pomeriggio all’obitorio del cimitero di Castelvetrano dove il prof. Paolo Procaccianti e il medico Vincenzo Margiotta hanno eseguito l’autopsia. Non c’era nessuno a parte un paio di giornalisti. C’ero anche io. Non ho mai amato scrivere articoli in prima persona, ma oggi lo faccio. Lo merita il compianto ex senatore che mi ha onorato della sua amicizia e degnato sempre di grande disponibilità, fino a lunedì sera 1 agosto quando ci siamo visti a Gibellina, ripeto la “sua” Gibellina”, nello slargo del “sistema delle piazze” dove il “Circuito del Mito”, cartellone di spettacoli della Regione Sicilia, ha portato in scena le “Supplici” un progetto di “teatro civile” proposto dal regista Gabriele Vacis, ideato da Monica Centanni e messo in scena dall’attore Vincenzo Pirrotta. Un tema attualissimo: hanno proposto il dramma di Eschilo assieme ad un dramma di oggi, un identico comune denominatore, gli stranieri che arrivano nei paesi dirimpettai, succedeva nella Grecia di 2 mila anni addietro, succede nell’Italia, nella Sicilia, di oggi. E il sen. Corrao mi rilasciò una pesante, dura intervista contro le politiche del nostro Governo, parlando di un “rinascente nazismo” per come questa gente viene trattata, una intervista anche piena di dolore quando ha immaginato (non tanto di fantasia le sue parole ma perfettamente riscontrabili) come oggi il Mediterraneo sia diventato una tomba, sepolcro di tante donne, uomini e bambini, “un mare sul quale – mi disse – solo la luna versa qualche lacrima”, come dire gli “uomini no”. Ci eravamo ripromessi di rivederci per parlarne meglio, per una intervista più approfondita, e invece l’ho rivisto mercoledì pomeriggio composto sul tavolo dell’obitorio dopo l’autopsia. Vestito di bianco, giacca, pantaloni, le calze, la sua sciarpa, anche questa bianca e bordata di rosso, e poi l’immancabile cappello posto sulla testa. E però la sensazione è stata quella che la morte non è riuscito a prenderlo del tutto, si è avvertito il suo spirito, nonostante quel volto in parte stravolto dall’inaudita violenza subita, mi sono sentito guardato, come per sentirmi dire che ci eravamo rivisti per come eravamo rimasti, e che c’è un impegno da proseguire, un messaggio che ho portato all’amico Giulio Ippolito collaboratore fedele di Corrao, suo braccio destro nella fondazione delle Orestiadi, la creatura artistica, letteraria, creata da Corrao e che è uno dei capisaldi del ponte d’arte che Ludovico Corrao è riuscito a realizzare tra la rinata Gibellina e la Tunisia, sua seconda patria come è venuto a ricordare tra le lacrime il console Ben Mansour. Portare dentro lo sguardo del senatore Corrao non potrà che essere un continuo sprone a non abbandonare quegli ideali, quei propositi, dei quali tante volte, giornalisticamente, si era discusso.
Belle le parole delle figlie. Francesca, docente alla Luiss di Roma, ha parlato davanti alla bara quando è stata posta all’interno del Baglio delle Case Di Stefano (sede delle Orestiadi e dove Corrao aveva la sua stanza, dove è stato ucciso dal suo domestico colto da raptus di follia): davanti alla “montagna di sale” di Mimmo Paladino, Francesca ha ricordato il senso della vita appreso dalla padre, “la nostra filosofia di vita è come la storia di una tazza da the che di colpo si rompe, cadono i cocci, ma il thè si cosparge ovunque, addosso, per terra, scorre, lascia nella gola il suo sapore, ecco la vita che finisce è come il the che scorre, va via, ma lascia tanto”. Poi è toccato ad Antonella parlare nella camera ardente in Comune, ha mostrato la stella regalo del padre, “è la stella che mi ha indicato e continuerà a indicarmi la strada da percorrere ogni giorno, lui ha dato tanto, fatto tanto perché oggi Gibellina è quella che è, io continuerò, sacrificherò qui la mia vita come ha fatto lui”. Un particolare lo ha anche ricordato Francesca, risaliva ai tempi del terremoto del 1968: “Noi eravamo piccole, abitavamo ad Alcamo, nostro padre il giorno del terremoto andò via, non lo abbiamo visto più, venne a Gibellina, ci sentivamo quasi abbandonate, poi abbiamo saputo della storia di quella bambina “Cudduredda” tirata fuori, ancora viva, ma per poco, dalle macerie, e così abbiamo capito che nostro padre doveva prendersi cura di altri bambini in quel momento, e abbiammo condiviso quella sua volontà”.
Dentro la camera ardente tantissima la gente che è accorsa da ogni punto della “sua” Gibellina, ai lati della bara due schermi dove sono state fatte scorrere le più belle foto di Ludovico Corrao e poi la musica di sottofondo, quella che lui aveva già scelto. Combatteva contro un male, ed era una dura lotta, ma non pensava che il male vero sarebbe venuto da tutt’altra parte, da quel giovane Saiful, 21 anni, originario del Bangladesh, che lui aveva voluto come proprio domestico. Anziano aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui. Non c’era e non ci poteva essere altro tra loro, Corrao affianco alla vita pubblica carica di impegni, di qualità, di valori non comuni, come tutti aveva una vita privata, che se vera poteva essere condivisa o meno, come la vita privata di qualsiasi altra persona. In questa nostra terra però spesso si finisce per interessarsi più ai fatti privati che non a quelli pubblici. E anche la storia di Ludovico Corrao non è sfuggita a questa assurda regola. Solo che in questa sua morte a parte le pruriginosità che qualcuno ha voluto sbandierare ai quattro venti, la sensazione e le notizie vere parlano di un assurdo raptus di follia che ha stravolto quel giovane, follia che non può avere nulla a che vedere con il colore della pelle o con altri fatti. Corrao era una persona gracile, debole, a 84 anni, il suo unico pensiero era quello di lasciare una eredità che non finisse con il mettere la parola fine alle sue cose, ma ne garantisse la continuità. E Michele La Tona, direttore della Fondazione delle Orestiadi, è venuto a dirlo, a raccontare degli ultimi colloqui poche ore prima di quella morte violenta, “abbiamo parlato di lavoro, di cose da fare a Gibellina, in Tunisia, abbiamo parlato di lavoro”.
La storia di Ludovico Corrao non è la storia di una “Malitalia” ma quella della “migliore” Italia, dell’Italia che assuma consapevolezza piena di essere al centro di un Mediterraneo che nei secoli è stato il mare che ha portato uomini e culture facendoli viaggiare da una sponda all’altra, e che non può diventare oggi teatro di guerre senza ragioni. La storia di Ludovico Corrao è la storia di un uomo che ha fatto cambiare il volto di un Belìce che sconquassato dal terremoto doveva diventare più povero di prima del terremoto, scherzando (poi mica tanto) con lui durante una intervista fatta in coincidenza di un anniversario del sisma del 15 gennaio 1968, mi disse, parlando dello Stato, “hai visto non solo sono state cancellate le leggi per la ricostruzione, ma sono stati pure incapaci di ricreare quella povertà che qui nella Valle c’era prima del terremoto, facendo segnare semmai un livello ancora più basso”. Era risentito con il parlamento e con il Governo per come il Belìce veniva trattato, era risentito contro il Governo per come ha fatto diventare un dramma l’approdo degli immigrati sulle nostre coste. Era risentito e aveva una gran voglia di fare, il riscatto era il suo costante pensiero. E usava l’arte per questa sua azione: al suo fianco si è trovato dal 1968 in poi grandi uomini d’arte e di lettere, Consagra, Pomodoro, Sciascia. Oggi la porta d’ingresso di Gibellina è una grande stella, Corrao immaginava potesse essere questa la porta del Mediterraneo e non solo di quel paese da lui tanto amato.
Tutto il resto di cui si sente dire in queste ore non appartiene alla vita di Corrao che è fatta di tante cose ancora. Politicamente lascia un’altra eredità da completare, quella di una Sicilia che davvero possa vantarsi di essere Regione a Statuto Speciale. L’Autonomia siciliana perfetta e compiuta dentro lo Stato italiano era un altro dei suoi sogni, fu anima di un governo, controverso, quello di Milazzo, negli anni ’50, ma è di quel Governo che ancora oggi si parla se si parla di Autonomia Siciliana. E poi l’ultimo capitolo l’impegno sociale con le battaglie legali, non deve essere stato facile per lui negli anni ’60 difendere la giovane Franca Viola nel processo contro i mafiosi sequestratori della donna che doveva per forza andare sposa ad un boss, Filippo Melodia. La donna rifiutò il matrimonio riparatore e quasi finì lei sotto accusa per essersi sottratta a quella assurda regola che comandava allora le nostre comunità. Corrao non ebbe dubbi e tentennamenti e quando entrò in Parlamento si impegnò per fare cancellare le norme che consentivano il delitto d’onore.
Ecco chi era Ludovico Corrao, ecco cosa ci ha lasciato, tante belle cose e non quelle cose di chi incapace di interpretare bene il suo percorso di vita, parla di altro e confonde quel delitto come la corretta conseguenza di una condotta di vita non regolare. La vita di Ludovico Corrao non è da calpestare ma da prendere come perenne esempio. E la presenza che c’è stata e forse ci sarà nuovamente del presidente Giorgio Napolitano a Gibellina, ieri come visita privata all’amico Ludovico, domani, 11 agosto, per l’ultimo saluto, è la prova che Corrao ha vissuto e ci ha lasciato la migliore delle vite. Ciao senatore!