Il crepuscolo della Sardegna (e dell’Italia)
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Il crepuscolo della Sardegna (e dell’Italia)

Possiamo rimanere pavidi spettatori della crisi della relazione tra governo nazionale e quello dell'isola?

Il crepuscolo della Sardegna (e dell’Italia)
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redazione Modifica articolo

2 Settembre 2011 - 12.55


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Mentre, angosciati, assistiamo al crepuscolo politico ed economico dell’Italia possiamo rimanere spettatori di quello della Sardegna?
Ma, soprattutto, possiamo rimanere pavidi spettatori della crisi della relazione tra governo nazionale e la Regione Sardegna?


Le vicende di questi mesi
costituiscono un punto di non ritorno nelle relazioni tra Regione Autonoma della Sardegna e lo Stato italiano. La “specialità” è negata di fatto, la Sardegna è posta sotto ricatto e sotto scacco. Il governo Berlusconi ha rotto i patti economici siglati pochi anni or sono sulla questione della “vertenza entrate” e si pone in collisione totale rispetto alla questione strategica dei collegamenti marittimi. La reazione di Cappellacci e La Spisa è stata del tutto insufficiente e ha umiliato il governo regionale.

Nel frattempo, si è acuita la crisi di due comparti economici simbolo della tradizione e della modernità: pastorizia e industria. L’economia della Sardegna sembra arrivata al capolinea tra gli inganni e le illusioni del governo italiano.


L’ultima umiliazione della Sardegna
e del suo governo è relativa alla questione della riduzione del numero dei consiglieri regionali. Occorre coglierne la portata politica e istituzionale. Il Consiglio regionale viene letteralmente declassato ad una sorta di organismo consultivo di provincia proprio in una materia di importanza costituzionale. Dall’altra, il Consiglio viene posto sotto ricatto, adeguarsi alla dettatura o perdere i finanziamenti statali relativi al fondo di perequazione. Questo ricatto pone un ulteriore problema politico e istituzionale: costituisce un attacco alla “specialità” dello statuto della Sardegna.

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La Sardegna dominata politicamente viene così declassata anche da un punto di vista istituzionale.
Occorre però essere chiari: questi elementi segnano la rottura di quel patto repubblicano che ha giustificato l’adesione del popolo sardo allo stato italiano. Il governo Berlusconi ha messo in atto un paradossale processo di devoluzione dello stato e gli atti del governo italiano sono atti di ostilità che vanno contro gli interessi dei sardi.

Occorre ora difendere il Consiglio regionale come istituzione, al di là del giudizio che diamo ai singoli consiglieri regionali o sul complesso del ceto politico sardo. La maggioranza che governa la Regione è inadeguata politicamente e moralmente ed esprime un governo dilettantesco e raffazzonato. La stessa opposizione è nel suo complesso inadeguata.

Questo è il punto centrale: il ceto politico sardo è incapace di essere una classe dirigente nazionale per la Sardegna e della Sardegna. La nostra Isola non ha dunque un gruppo dirigente capace di definire gli interessi strategici della Sardegna, di considerarli la propria missione e di porsi in termini di parità con i partner italiani.

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Questo consiglio non ce la può fare. Non ne ha le capacità morali e politiche. Non ne ha l’energia. Non ne ha l’intelligenza e non rappresenta più gli equilibri politici sardi.


Che fare? Nessun compromesso è più possibile
. Le forze politiche e i consiglieri che sostengono questo governo si pongono ipso facto contro la Sardegna e il suo popolo. Occorre dare una spallata e tornare subito a votare.

Innanzitutto, però, dobbiamo rifiutare gli ordini di Roma e mettere il governo italiano di fronte alla responsabilità della rottura dei patti e della sostanziale “devoluzione dello stato”. Non si può lasciar passare l’umiliazione della Sardegna e delle sue istituzioni sotto un falso moralismo politico-istituzionale. Occorre reagire rilanciando innanzitutto sul piano simbolico. Si elabori un nuovo statuto che sia una vera Carta costituzionale della Sardegna e si chieda una trattativa con lo Stato italiano sugli “eventuali” rapporti di federazione della Sardegna nel quadro della Repubblica italiana. Il Consiglio regionale sia sciolto per sempre e nasca il Parlamento della Sardegna. Si avvii una trattativa con lo Stato avendo il coraggio di dire a tutti sardi che fuori dal “contratto” repubblicano i sardi sono pronti ad andare da soli.

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