Tutto maledettamente somigliante a quell’estate di dieci anni fa, a Genova. Come se qualcuno avesse tirato fuori dal cassetto un copione già utilizzato al G8 di Genova. Unica differenza, fortunatamente, il morto che non c’è stato a Roma in questo disastroso 15 ottobre 2011, e che ci fu in piazza Alimonda, Carlo Giuliani.
Gli stessi protagonisti: un popolo pacifico di ragazzi, ragazze, uomini e donne indignati dall’ingiustizia del mondo e dal potere smisurato e spesso criminale della Finanza, e i black block con la stessa divisa di dieci anni fa, previsti e prevedibili, oltre che riconoscibili. E le forze dell’ordine.
A Roma sfilavano gli Indignati, come in tante città del mondo, come a Madrid, capitale di questo nuovo, straordinario, planetario movimento che si ribella allo sgretolio delle vite degli uomini e dei Paesi determinato da scellerate e ingiuste scelte finanziarie di pochi. A Madrid festa colorata e civile, a Roma battaglia.
Battaglia impossibile e impari tra i manifestanti indignati dai black block e quest’esercito in nero che sfasciava tutto quello che voleva, senza essere disturbato. Indisturbato, si, perché le immagini hanno fatto vedere, ad esempio, un gruppo in nero armato del palo di un cartello stradale alle prese con la vetrina blindata di una banca che non voleva cedere. Lavoro lungo, faticoso, che a guardarlo tanto era lungo che rischiava di annoiarti. Perché indisturbati? Chi doveva fermarli? Forse la ragazza con una maschera di sangue, spaventata e atterrita e che a piazza San Giovanni c’era”soltanto” perché le sta a cuore il suo futuro e quello del mondo? Il ragazzino che alla manifestazione c’era andato perché ha ben presente il quadro che gli si prospetta per il futuro, niente lavoro e anni di studio inutili? I tanti ( ed è stato davvero straordinario ) che con le mani nude e le parole dell’indignazione hanno urlato alle divise nere di andare via, che non volevano avere niente a che fare con la violenza?
Diciamolo, la grande divisione, forse la prima, tra un Paese civile e moderno e un Paese arretrato è la capacità di questo di garantire l’ordine pubblico. E garantire l’ordine pubblico prevede la garanzia della manifestazione del pensiero democraticamente espresso così come ogni altra espressione, anche quella del più semplice piacere.
Un piccolo esempio che solo apparentemente è distante dalle cose di cui oggi parliamo.
Avete presenti le tante cose inutili decise attorno alla domenica calcistica? Un esercito di forze di polizia, due, tre e anche quattro cordoni per controllare gli ingressi, i sorveglianti all’interno degli spalti, la tessera del tifoso, trasferte si trasferte no, bus di tifosi scortati, ecc…ecc…. Ebbene, provate ad andare allo stadio a Madrid o a Barcellona. E parliamo di un Paese che alla democrazia c’è arrivato dopo di noi, un Paese per il quale abbiamo manifestato nelle nostre piazze invocandone la liberazione dal fascismo. Ebbene, prendiamo Barcellona: stadio esaurito o quasi ad ogni partita, anche se la squadra di Messi decidesse di affrontare gli ammogliati. Tu, italiano, ti ritrovi a Barcellona e decidi di andare allo stadio. Apri il pc, anche in albergo, entri nel settore al quale sei interessato, scorri la fila segnata dai posti in verde perché disponibili. Una volta scelto il posto, ti compare l’immagine reale di quello che vedrai dalla tua poltroncina, paghi, stampi il biglietto e vai allo stadio. Niente fila, niente resse e risse. Entri come se andassi all’Auditorium per un concerto. A Barcellona ti godrai uno spettacolo, a Roma ( nonostante tutti i controlli ) potrai beccarti un petardo in bocca o la cinghiata di un ultrà, magari uno di quelli che in occasione del 15 ottobre degli Indignati si mette la sua felpina nera e fa in piazza San Giovanni quello che magari con difficoltà ( minima ) non gli riesce di fare, in scala, allo stadio.
Pensateci, non siamo andati fuori tema. Il tema resta quello centrale che presiede tutto il nostro quotidiano in questo Paese: non siamo riusciti a costruire uno Stato civile e garante dei diritti democratici. Tutti, dal diritto al lavoro alla espressione del pensiero.