Disabili e giovanissimi stranieri scappati dalle guerre e dalle calamità di paesi come Ghana, Costa d’Avorio, Niger, Tunisia, Guinea: tutti insieme in uno stabile confiscato ai clan ndranghetisti locali ed assegnato alla Progetto Sud per scopo sociale. Un palazzo a tre piani nel quartiere Capizzaglie, alla periferia Sud di Lamezia nella zona “off limits”, nel regno delle cosche che in queste ultime settimane si stanno facendo la guerra a colpi di tentati omicidi, atti intimidatori e sparatorie in pieno giorno.
Come la bomba fatta scoppiare la notte di Natale davanti all’ingresso del centro accoglienza per minori stranieri senza famiglia, “ultimo nato” nella grande famiglia della Progetto Sud fondato da don Giacomo Panizza, sacerdote bresciano che da oltre trent’anni opera in Calabria Per il prete definito “l’emigrante alla rovescia” si è trattato dell’ennesimo attentato, di una gravissima intimidazione che colpisce non solo i ragazzi ospiti e gli operatori impegnati nel centro, ma anche tutte le altre persone che vivono e lavorano nella struttura.
In mezzo al fuoco incrociato di chi usa ogni mezzo per assicurarsi il dominio dei traffici illeciti sul territorio, c’è don Giacomo che commenta: “Sull’ondata di solidarietà che sta crescendo di ora in ora, se la gente sta rispondendo in questo modo vuol dire che approva il nostro operato. La Calabria va cambiata non servono solo servizi sociali ma occorre un vero e proprio mutamento sociale”. Il sacerdote ammette che è sicuramente più difficile operare nel mondo del sociale in territori come quello calabrese a forte rischio criminalità.
“Ma la colpa non è solo della ‘ndrangheta – sostiene don Giacomo – anche la politica ha le sue colpe perché non sa progettare. La classe dirigente dovrebbe aiutare la gente ad emanciparsi, dovrebbe accompagnare, assicurare servizi al cittadino in ogni ambito ma la progettualità sembra ancora un sogno lontano”. Ciò senza dimenticare che “la solidarietà è vera solo quando si fa, quando è concreta e non solo quando è enunciata”. Il prete ormai naturalizzato calabrese insiste.
“Quando ci hanno assegnato il palazzo confiscato di Capizzaglie abbiamo avviato un percorso di legalità dal basso che intendiamo portare avanti perché ci crediamo”. Un iter avviato ormai da qualche anno deve essere realizzato insieme a tutta la società locale. “Ognuno di noi deve fare la sua parte. A tutti coloro che dicono di stare dalla nostra parte dico di unire le forze per incoraggiare la popolazione lametina e calabrese ad alzare la testa. Per difendere le tante persone oneste e laboriose che vivono nel quartiere di Capizzaglie, a Lamezia e in Calabria”.
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